Quei trecentomila bambini rapiti nella Spagna di Franco

Un momento di «Cine», presentato nell'ambito del Festival Internazionale del Teatro di Lugano (la foto è di Mario Zamora)

Un momento di «Cine», presentato nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro di Lugano
(la foto è di Mario Zamora)

LUGANO – Sapevamo dei duecentomila giustiziati con la garrota o la fucilazione, sapevamo dei trecentomila incarcerati. Ma non sapevamo, o sapevamo pochissimo, dei trecentomila bambini rapiti dal regime franchista. Erano rimasti sconosciuti, al pari dei trentamila falangisti le cui ossa furono sepolte nel sacrario monumentale della Valle de los Caídos accanto al Generalissimo. Adesso è venuta a far luce su quella tragedia, largamente rimossa dalla memoria collettiva spagnola, la compagnia La Tristura, con lo spettacolo «Cine» presentato nel LAC (Lugano Arte e Cultura) nell’ambito della ventottesima edizione del Festival Internazionale del Teatro e della Scena Contemporanea.
Si entra subito nel tema, con icastica semplicità, quando all’inizio Pablo Und Destruktion, il musicista folk e avant-rock chiamato a far da personaggio protagonista, si mette davanti allo specchio e dice: «Sono un uomo, sono un uomo». Infatti, quella di essere un uomo è l’unica certezza che ha. Perché Pablo, l’avete capito, fu uno dei trecentomila bambini sottratti da Franco ai genitori naturali. E il titolo dello spettacolo, etimologicamente riferito al movimento, richiama il viaggio alla ricerca della propria identità che ora il giovane trova finalmente la forza di compiere.
Ma si tratta, capite anche questo, di un viaggio ad un tempo reale, allegorico e politico: è il viaggio di Pablo che cerca di rintracciare la sua madre biologica, il viaggio della Spagna intera che cerca di mettere a fuoco la sua identità collettiva e il viaggio di qualsiasi cittadino spagnolo di oggi che cerca di trarre dalla riflessione sul passato un’indicazione di rotta per il presente. Di modo che «Cine» si muove, costantemente e sagacemente, fra l’esterno e l’interno.
Ecco, poniamo, il colloquio di Pablo con una funzionaria madrilena dei Servizi Sociali. Apprende da lei che i documenti relativi alla sua nascita sono custoditi in un bunker sotterraneo a cui è difficilissimo accedere. Né si trova il documento che attesta la rinuncia al bambino da parte della madre biologica: la cosa più probabile, dice la funzionaria, è che la madre biologica non abbia mai dato un’autorizzazione all’adozione di Pablo. Quest’ultimo riesce a sapere soltanto che fra le principali organizzazioni che gestivano le adozioni dei bambini rapiti c’era una certa Fondazione Maria Maddalena presieduta dal giudice Gabriel C. Lora, un cittadino esemplare insignito di numerosi premi. Ma costui, dopo essere andato in pensione, è sparito. Si è arrivati ad appurare unicamente che vive a Torino. E lì lo raggiunge Pablo.
Ebbene, proprio l’arrivo a Torino coincide con il momento-chiave dello spettacolo: il giovane va a prendere una stanza in albergo, ma dietro il banco del ricevimento non c’è alcun portiere o impiegato che sia: c’è solo un grande specchio in cui Pablo si riflette. Ed è l’eclatante traduzione della battuta decisiva, che suona: «Chi guarda fuori sogna. Chi guarda dentro si risveglia».
Appunto, ciò che vuole veramente Pablo (e con lui vuole la Spagna) è ridestarsi alla luce di una nuova e piena coscienza di sé. E al riguardo di grande impatto risultano due battute non a caso contrapposte. La prima la pronuncia la funzionaria dei Servizi Sociali: «I bambini venivano sequestrati sulla base di un motivo ideologico, per eliminare il gene “rosso”». E la seconda è quella che rivolge a Pablo l’ex presidente della Fondazione Maria Maddalena: «Tu non stai cercando tua madre, ma la Spagna. E non la troverai».
La prima battuta appartiene all’interpretazione della storia della Spagna in chiave democratica e progressista, la seconda alla visione di quella storia in chiave franchista: giacché, com’è noto, il Generalissimo si considerava investito direttamente da Dio della missione di salvare l’integrità cattolica e conservatrice della Nazione ed era assolutamente convinto che, senza di lui, la Nazione spagnola sarebbe scomparsa.
Funzionale a tutto questo appare, infine, la regia di Itsaso Arana e Celso Giménez, che firmano anche il testo. E molto bravi sono i tre interpreti: la stessa Arana, Fernanda Orazi e il citato Pablo Und Destruktion. Insomma, uno spettacolo intelligente e, soprattutto, coraggioso. Di questi tempi è davvero una perla rara.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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