La caduta della ragione fra il Bombetta Mascelluto e il Capitano

Licia Lanera e Danilo Giuva in un momento di «Lingua erotica», lo studio presentato al Contemporanea Festival (le foto che illustrano questo articolo sono di Ilaria Costanzo)

Licia Lanera e Danilo Giuva in un momento di «Lingua erotica», lo studio presentato al Contemporanea Festival
(le foto che illustrano questo articolo sono di Ilaria Costanzo)

PRATO – «Alveare» – da sempre progetto-cardine del Contemporanea Festival promosso dal Teatro Metastasio e giunto alla ventesima edizione – stavolta ha puntato al suo obiettivo, quello di porre in evidenza il processo creativo, per il tramite di dodici artiste: Silvia Costa, Sara Leghissa, Rita Frongia, Elena Bucci, Francesca Macrì, Katia Giuliani, Elisa Pol, Chiara Bersani, Licia Lanera, Chiara Lagani, Ilaria Drago e Daria Deflorian. Mi soffermo adesso, dopo averlo fatto con quella della Bucci, sulla performance della Lanera.
Nell’ambito del teatro di ricerca, a Licia Lanera presto da qualche anno particolare attenzione. Ex punta di diamante della compagnia Fibre Parallele, adesso – da autrice, regista e attrice – prosegue da sola, ma con lucidità e determinazione immutate. E di quella lucidità e di quella determinazione lo studio che ha presentato a Contemporanea 19, «Lingua erotica», costituisce un’ulteriore conferma: a partire dal fatto che invera perfettamente il tema del Festival, «Vivere al tempo del crollo».
Non a caso, una nota della Lanera al testo si apre con la dichiarazione: «In questo momento in Italia sto assistendo ad un processo inarrestabile di analfabetismo, distruzione del linguaggio e arretratezza del pensiero, in una parola: barbarie». Una dichiarazione tanto semplice quanto ferma, che poi trova un riscontro estremamente persuasivo nella struttura della performance, basata sul confronto tra «Eros e Priapo» di Carlo Emilio Gadda e il discorso pronunciato da Matteo Salvini al Senato in occasione del voto di fiducia sul secondo governo Conte.
Sappiamo che cos’è «Eros e Priapo»: è, insieme, un «libello» (come Gadda stesso lo definì, nel senso di «minimo libro»), un anti-romanzo, una sorta di saggio storico e un vero e proprio pamphlet su e contro il fascismo; e rappresenta, proprio in virtù di questa sua multiformità, una delle opere più emblematiche e centrali della produzione dell’«ingegnere» lombardo, perché spinge fino al calor bianco l’incomparabile coacervo lessicale e sintattico che fa di lui uno degli indiscussi maestri della prosa del Novecento.
Ora, del libro in questione Licia Lanera affronta solo il tema della «moltitudine» come femmina (anzi, secondo Gadda, come «femina» con una «m», alla latina e per degradarne ulteriormente, sotto specie di contrasto linguistico, lo «status» psico-sociologico): quella «femina» sempre pronta all’«accoppiamento» con il politicante da strapazzo di turno. E così la Lanera motiva la scelta nella sua nota al testo: «Mi interessa seguire il processo che porta mie coetanee a diventare queste invasate, aggressive, eccitate italiane che commentano a più non posso, che sputano sentenze sgrammaticate contro immigrati, “pidioti”, alcune pure contro il Papa (se contraddice il Capitano), che si eccitano a vedere quel bell’uomo del Capitano ingozzarsi nei ristoranti di mezza Italia e che mandano tanti bacioni. Sono femmine, femmine come me, femmine che ogni giorno parlando di patria e famiglia fanno torto non solo a se stesse e a noi che siamo intorno, ma soprattutto fanno torto alla storia».

I due «conferenzieri», a sinistra Giuva/Salvini e a destra Lanera/Gadda

I due «conferenzieri», a sinistra Giuva/Salvini e a destra Lanera/Gadda

Già, Licia Lanera davvero non le manda a dire. E, fatte le debite differenze e proporzioni, il parallelo che stabilisce tra il Bombetta Mascelluto di Gadda, «Primo Maresciallo (Maresciallo del cacchio), lui il primo Racimolatore e Fabulatore ed Ejettatore delle scemenze e delle enfatiche cazziate», e il «Capitano» leghista risulta oltremodo fondato, anche se oggi il Salvini Matteo è sceso dal cavallo ministeriale. Poiché proprio la vicenda del «Capitano», vicenda che fra l’altro incarna alla lettera il sottotitolo («Da furore a cenere») del libro gaddiano, dimostra che – come avvertì «Eros e Priapo», in cui si analizzava lo scontro fra il Logos, la ragione, e la cieca istintualità narcisistica, ovvero, per l’appunto, la trasformazione di Eros in Priapo – il terreno di coltura sul quale crebbe il «batterio» Mussolini continua a esistere.
Dunque, pur se ancora allo stadio di abbozzo preliminare, «Lingua erotica» si rivela come un’operazione di non comune spessore: dal momento che attiene, per usare ancora le parole di Gadda, a «que’ procedimenti oscuri, o alquanto aggrovigliati e intorti, dell’essere, che pertengono alla zona della carne ov’ella si dà vestita in penziero».
Venendo adesso ai particolari dello spettacolo (perché di uno spettacolo vero e proprio si tratta, la definizione di performance è giusta solo in rapporto alla sua breve durata, quaranta minuti circa), constato che lo stesso si traduce nell’autentico trionfo di un’ironia plateale, debordante e, s’intende, affilatissima. A cominciare dalla forma che la regia di Licia Lanera gli ha dato: quella di una conferenza.
Siedono dietro un tavolo lei, a far la parte di Gadda, in giacca nera e occhiali, e un attore della sua compagnia, Danilo Giuva, a impersonare Salvini, in giacca e con la cravatta dal nodo allentato proprio di chi la cravatta non è abituato a portarla.
Che cosa dire, inoltre, del fatto che il discorso di Salvini viene pronunciato con un non meno plateale accento pugliese, per l’esattezza foggiano? Davvero non poteva darsi contrappasso più feroce e impagabile. E si chiude nel segno dei (ne)fasti del Papeete, con Danilo Giuva che si denuda fino alla cintola indossando la maschera del «Capitano» e Licia Lanera che resta in un eclatante bikini leopardato, indossando sulla bocca una protesi che le fa le labbra gonfie e sporgenti, adatte in tutta evidenza a quella certa pratica.
In conclusione, non posso fare a quest’operazione (inclusa, è ovvio, la prova eccellente dei due interpreti) elogio migliore del verificare come riporti alla mente il giudizio che di Gadda diede Gianfranco Contini, assegnandolo alla razza dei supremi «macaronici» quali Teofilo Folengo, il suo coetaneo francese Rabelais e, nei tempi moderni, James Joyce.
Un’ultima cosa. Accompagna lo spogliarello del Papeete il «Lacrimosa» di Mozart. Che è un requiem.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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