Trimalcione s’identifica con Petronio. E pure lui si taglia le vene

Un momento di «Satyricon»: in primo piano, sulla sinistra, Antonino Iuorio e Noemi Apuzzo (le foto che illustrano questo articolo sono di Mario Spada)

Un momento di «Satyricon»: in primo piano, sulla sinistra, Antonino Iuorio e Noemi Apuzzo
(le foto che illustrano questo articolo sono di Mario Spada)

POMPEI – L’idea, bella e intelligente, su cui si fonda «Satyricon» – il testo di Francesco Piccolo, ovviamente ispirato al «Satyricon» di Petronio, che è stato presentato nel Teatro Grande, in un allestimento diretto da Andrea De Rosa, nell’ambito della rassegna «Pompeii Theatrum Mundi» – consiste nell’identificarsi del personaggio più famoso del romanzo, Trimalcione, con il suo autore.
Come sappiamo, Petronio, compromesso nella congiura pisoniana e raggiunto dal messaggio di Nerone che gli imponeva di non muoversi da Cuma, si uccise tagliandosi le vene. E allo stesso modo muore anche il Trimalcione di Piccolo, mentre, nel romanzo, quello di Petronio la propria morte si limitava a metterla in scena per burla. Di conseguenza, dunque, questo Trimalcione/Petronio contraddice radicalmente il ritratto di Petronio che compare negli «Annali» (XVI, 18-19) di Tacito.
Secondo Tacito, Petronio – fasciandosi e riaprendosi «a suo piacimento» le vene che s’era tagliate – «parlava con gli amici non di cose serie o di argomenti che potessero procurargli la fama di fermezza»; e «non stette ad ascoltare discorsi sull’immortalità dell’anima o altre questioni care ai filosofi, ma poesie leggere e versi senza pretese». Secondo Piccolo, invece, Petronio, per bocca di Trimalcione, immediatamente prima di tagliarsi le vene rivolge a Fortunata la meditazione seguente: «Ma che te credi, Fortunà, pure a gente superficiale c’ha na sofferenza dentro. Pure chi va a e feste se pò sentì solo. Pure i cafoni c’hanno un gusto loro. Pure gli stronzi se mettono a sognà. Tu e l’amici tua tutte ste cose ve le scordate. Ma io ve voglio di’ na cosa: nun è bello pensà pe tutta ‘a vita d’avé sempre ragione, nun è importante avé ragione, poi uno se fissa e vo’ fa sempre le cose giuste, e poi crede de fa sempre le cose giuste e poi nun s’accorge più d’a gente che vive, che more, che sta male, che soffre, che vo’ capì…».
Peccato, però, che su questa stessa idea (e il ricordo mi sorge spontaneo, dal momento che Piccolo è di Caserta) si fondasse anche «Satyricon – La cena di Trimalcione», uno spettacolo di Renato Giordano dato nel luglio del 2007 al Belvedere Reale di San Leucio nell’ambito del Leuciana Festival diretto da Nunzio Areni.
La sola differenza è che allora si discettava su Cicerone, Publio Siro e addirittura sulla «caducità delle umane cose», mentre adesso – avendo stabilito Piccolo una sin troppo evidente e sin troppo facile e scontata equazione fra la decadenza della Roma imperiale narrata da Petronio e quella dell’odierna Italia repubblicana narrata dai giornali, dalle televisioni e dai «social» – c’imbattiamo in personaggi emblematici che si chiamano, poniamo, la Signora Disperata, la Donna delle Canzoni, l’Intellettuale, la Ragazza Anoressica e l’Attrice Impegnata.

Da sinistra, Michelangelo Dalisi, Alessandra Borgia e Anna Redi in un altro momento dello spettacolo

Da sinistra, Michelangelo Dalisi, Alessandra Borgia e Anna Redi in un altro momento dello spettacolo

Che cosa si dicono e ci dicono? Per esempio, la Signora Disperata spiega perché è disperata: «Io vado a tutte le feste, ma odio andare alle feste perché non c’è mai una sola festa e quando vai a una festa ce n’è sempre un’altra più bella e tutta la vita penso che sono andata alla festa sbagliata e che l’altra festa era più bella»; la Donna delle Canzoni parla di «spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè»; l’Intellettuale intima: «Devi scegliere. O Joyce o Proust. O i Beatles o i Rolling Stones. O Hegel o Schopenhauer. O Ronconi o Strehler. O uno spettacolo brutto e necessario o uno spettacolo bello e inutile»; la Ragazza Anoressica chiede alla Signora Disperata che ha portato il tiramisù: «Ma è artigianale? Lo fate in casa?»; e l’Attrice Impegnata replica all’Intellettuale: «Nel panorama paludoso e istituzionalizzato della teatropoli degli “scambismi” e degli “algoritmi”, dei clientelismi e familismi nastasiani, franceschiniani, lettiani, etc, nella teatropoli beckettiana dove gli under 35 una volta arrivati a 36 sono destinati alla rottamazione, nella teatropoli dello sperpero legalizzato delle risorse pubbliche per spettacoli ministeriali che muoiono subito dopo il debutto, e mi fermo qui, l’aggettivo “necessario”, forse, andrebbe attribuito al “teatro”, che tesorizzando e difendendo la memoria e l’azione dei grandi maestri del ‘900, ancora resiste e vive nonostante tutto questo “squallore”».
Insomma, due terzi di satira a buon mercato con l’occhio a «La grande bellezza» di Sorrentino, un terzo di cabaret alla Littizzetto, una spruzzata della solita denuncia in nome dell’ormai mitico teatro «duro e puro»… e il cocktail è servito. Dimenticando, fra l’altro, che questo spettacolo partecipa a una rassegna, appunto «Pompeii Theatrum Mundi», non propriamente assolvibile dalle accuse mosse dall’Attrice Impegnata, almeno da quelle relative agli «scambismi» e ai «clientelismi lettiani».
Facili e scontate, del resto, appaiono anche le invenzioni di De Rosa. A partire dall’oro che qui ricopre l’intero impianto scenografico di Simone Mannino, dal pavimento al fondale, dalle panchette ai cuscini sparsi qua e là, e che – se nessuno l’avesse capito – allude al kitsch delle inconfondibili dimore dei boss malavitosi. E d’oro, manco a dirlo, è il water (ma, nella circostanza, siamo obbligati a usare il termine cesso) che campeggia al centro, su un piedistallo, in funzione di totem/trono che allude – sempre se nessuno l’avesse capito – alla volgarità di Trimalcione. Mentre la casa di quest’ultimo diventa una sorta di discoteca in cui i personaggi descritti, guidati da un metronomo, si esibiscono dall’inizio alla fine, a parte rari intervalli, con i passi di un iterativo ballo di gruppo.
L’invenzione principale è quella di una Fortunata che se sta al proscenio completamente nuda, salvo, verso la fine, allacciarsi in un «lento» con un Trimalcione che, sceso dal «trono», di lì a poco darà luogo all’eclatante effetto da Grand Guignol (inteso, ancora se nessuno l’avesse capito, a sottolineare ulteriormente la sua identificazione con Petronio) del sangue che schizza sul fondale dalle proprie vene recise. E peraltro, a dire che quella della Fortunata nuda è l’invenzione principale arriva pure lo stesso Stabile di Napoli che produce questo «Satyricon»: in un comunicato stampa mette in rilievo (scrivendolo in neretto) che «nello spettacolo è presente un nudo femminile integrale».
La cronaca, infine, registra la buona prova degl’interpreti in campo: intorno ad Antonino Iuorio, un Trimalcione assai convincente per il mélange di grottesco, livore e malinconia che lo connota, si muovono con precisione anche tutti gli altri, fra i quali occorre citare almeno Alessandra Borgia (la Signora Disperata), Francesca Cutolo (la Donna delle Canzoni), Anna Redi (l’Attrice Impegnata) e, s’intende, Noemi Apuzzo, la Fortunata alla quale è demandato, giusto il comunicato stampa citato, il compito di attirare l’attenzione dei giornalisti. A me, però, viene il sospetto che anche il suo nudo rientri fra le cose che a teatro abbiamo già visto.

                                                                                                                                          Enrico Fiore

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6 risposte a Trimalcione s’identifica con Petronio. E pure lui si taglia le vene

  1. Enzo Salomone scrive:

    Sì, caro Enrico, definirei questo spettacolo “Paralipomeni della Grande Bellezza”.
    Un abbraccio.
    Enzo Salomone

  2. Enrico Fiore scrive:

    Caro Enzo,
    mi sembra una definizione sostanzialmente condivisibile.
    Ti ricambio l’abbraccio.
    Enrico Fiore

  3. Giovanni Negri scrive:

    Condivido la critica. L’ho visto in scena all’Argentina ieri. E oggi son corso a leggere Controscena. “Satira a buon mercato”. L’unica intuizione, per me, la schiuma che trasborda dal vaso invadendo la scena… avrei azionato la macchina sin dall’inizio, da quando inizia la lettura cronachistica.
    Giovanni Negri

  4. Enrico Fiore scrive:

    Grazie dell’attenzione, gentile signor Negri.
    Come si vede, una volta tanto il critico e lo spettatore sono d’accordo. Mi dispiace solo che nella circostanza abbia sbagliato una persona di valore qual è Andrea De Rosa.
    Voglia gradire i miei più cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  5. Claudio Lombardi scrive:

    Da semplice spettatore ho apprezzato il ritmo dello spettacolo, meno il testo: che sembra mirare in alto, ma poi deve invertire la rotta perché non riesce a prendere il volo e sfocia in una inevitabile semplificazione e superficialità. L’analogia con i luoghi comuni odierni è un po’ scontata e difficile da sostenere. Il nudo che occupa la parte centrale e avanzata della scena non si capisce che senso possa avere, perché una semplice tunica bianca avrebbe svolto la stessa funzione se ingenuità e purezza si voleva suggerire. D’altra parte la foto sulle locandine una sua funzione ce l’ha e in tempi di crisi si può capire. Apprezzabile comunque l’attrice. Bravi ovviamente tutti. Il teatro è sempre una scelta onorevole.
    Claudio Lombardi

  6. Enrico Fiore scrive:

    Accade raramente che, circa lo stesso spettacolo, arrivino a questo sito ben tre commenti, e tutti decisamente negativi. Significa, oltre ogni dubbio, che nel “Satyricon” di Piccolo e De Rosa c’è qualcosa, almeno qualcosa, che non va.
    Enrico Fiore

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