Addio a Pina Cipriani, voce dell’anima

Pina Cipriani in concerto

Pina Cipriani durante un suo concerto

NAPOLI – Una notizia tristissima mi ha colpito stamattina. È morta nel corso della notte Pina Cipriani. E qui la ricordo con poche parole: perché a lei, che impareggiabilmente cantò nel nostro dialetto, s’attagliavano come a pochissimi altri artisti un’osservazione di Andrea Zanzotto («Ho capito che il dialetto serviva a conservare e a conservarmi») e la decisiva analisi di Lévi-Strauss («La maggior parte delle culture che noi chiamiamo “primitive” si serve del linguaggio con parsimonia; in esse non si parla in qualunque momento e a proposito di qualunque cosa. Le manifestazioni verbali sono spesso limitate a circostanze prescritte, al di fuori delle quali le parole si risparmiano»).
Ecco, Pina Cipriani era questo, l’essenzialità di una voce ch’era la voce della nostra anima. Di questa ridestava gli echi profondi, inseguendo le superstiti tracce della bellezza in un mondo sempre più avaro di aneliti. Preziosa come l’oro antico, quella voce si faceva storia, la storia dei nostri sentimenti, delle nostre sconfitte e delle nostre memorie.
Ti saluto, Pina, con i versi di Alfonso Gatto che il tuo Franco rivestì di una musica da ballata popolare, e tenerissima e ardimentosa insieme: «[…] ascolta venire dal fondo / degli anni la voce perduta […] per qualche sera la vita / si scalda con le sue mani / a quegli accordi lontani / del tempo che fu».

                                                                                                                                          Enrico Fiore

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