Rinascere. Ma l’unica differenza è che si tratta di vino bianco

Un momento di «Reneixer», lo spettacolo di Enrique Vargas in programma ancora oggi a Palazzo Fondi (la foto è di Sigrid Spinnox)

Un momento di «Reneixer», lo spettacolo di Enrique Vargas in programma ancora oggi a Palazzo Fondi
(la foto è di Sigrid Spinnox)

NAPOLI – Sempre per la serie «novità» fra virgolette, Enrique Vargas e la sua compagnia, il Teatro de Los Sentidos, hanno portato in questa dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia uno spettacolo, «Reneixer», che – salvo minime variazioni – appare come la copia conforme di quello, «Fermentación», che presentarono nel settembre del 2011 a Benevento, nell’ambito della rassegna «Città Spettacolo». Infatti, il tema è lo stesso, e nel caso dello spettacolo beneventano era indicato inequivocabilmente dal sottotitolo: «Il viaggio dell’uva».
Vargas giunge così – dopo «La memoria del vino» (2004) e, per l’appunto, «Fermentación» – alla terza tappa della ricerca che va compiendo su e intorno al vino in quanto simbolo della vita. E il fatto che «Reneixer» sia uno spettacolo allestito ben cinque anni fa, nel 2014, costituisce a sua volta un simbolo di quanto di già visto ripropone, e sul piano dei contenuti e sul versante delle forme. Senza contare che va fuori strada, il drammaturgo e regista colombiano, quando, nelle sue note, tira in ballo Dioniso. A proposito del quale sono, dunque, costretto a ripetere ciò che scrissi in merito a «Fermentación».
La danza in cui davvero si manifesta l’anima dei greci non è quella corale del sirtaki ammannito ai turisti. È quella che si può rintracciare, ma non sempre, in certi locali sperduti del bouzouki: si chiama «zeibeikiko», dalla fusione di Zeus e Bacco, l’appellativo con cui Dioniso viene indicato nel momento della possessione estatica; e viene ballata da un uomo solo, quando il vino bevuto gli fa l’anima leggera. E il ritmo è dato dall’infrangersi dei piatti che dai tavoli gli scaraventano tra i piedi. Da un lato il vino, che regala l’onnipotenza di un dio, e dall’altro un gesto che simboleggia la rottura dell’equilibrio codificato e l’avvento della libertà. Se ne va lontano, l’uomo che balla da solo. Se lo portano memorie e malinconie, segreti e sorrisi. E nessuno lo può raggiungere.

Enrique Vargas

Enrique Vargas

Ma credo che oggi, in Grecia, quei locali sperduti del bouzouki siano quasi se non del tutto scomparsi. E figuriamoci, quindi, se possiamo considerare una città «dionisiaca» Napoli, come Vargas ha dichiarato di ritenere nella conferenza stampa in cui è stato presentato «Reneixer». Non resta, allora, che elencare, a titolo d’esempio, alcuni dei momenti dello spettacolo.
Una ragazza asciuga dei bicchieri e ricorda che un tempo sono stati pieni di quel vino che ha influenzato certe situazioni, prima fra tutte quella che portò alla nostra nascita. Ci s’invita ad aprire delle scatoline disseminate su un tavolo e a rovistarvi dentro, ripescandone i minuscoli oggetti che parlano del passato. Ci fanno bendare e voci prendono a sussurrarci brandelli di storie e mani ci accarezzano e ci spingono a danzare…
Sì, le solite cose tipiche del teatro di Vargas, ma riproposte in maniera pedissequa. Al posto del corto circuito poetico-sensoriale che aveva costituito in precedenza il valore e la godibilità di quel teatro s’è instaurata una stasi manieristica. E in questo senso l’acme si tocca con la sequenza più importante.
Un chicco d’uva viene disseppellito dal terriccio e passa da una mano all’altra. Quindi tutte le mani pigiano molti chicchi e il succo che ne spremono finisce in un’ampollina che a sua volta viene seppellita. E tutti gli spettatori, stesi a casaccio in terra, si ritrovano nel buio totale, ricoperti da un telo per parecchi minuti. Son diventati essi stessi il chicco d’uva, sepolto perché possa riemergere in una vita diversa. Quella, per l’appunto, del vino che viene offerto al termine fra canti e danze.
È la sequenza che si svolgeva, pari pari, anche in «Fermentación». L’unica differenza è che adesso si tratta di vino bianco, poiché Vargas dice che, avendo il vino bianco una doppia fermentazione, lui intende invitarci a riflettere sul fatto che non solo si può rinascere («reneixer», in catalano, significa per l’appunto rinascere) ma si può rinascere più volte. E insomma, in quest’edizione del Napoli Teatro Festival Italia in cui tutti scoprono l’America (o l’acqua calda, se più vi piace), lui ha scoperto la metempsicosi.
Non parliamo, infine, dei risultati che «Reneixer» ottiene quando tenta di spostarsi sul terreno filosofico. Ci toccano affermazioni tipo: «Il peggior nemico del silenzio sono le parole». E si trascura, bellamente, che qualcosa del genere avevano già detto, tanto per fare solo alcuni nomi, certi signori che si chiamavano Cervantes, Kafka e Hofmannsthal.
Lo spettacolo, in programma ancora oggi pomeriggio e stasera a Palazzo Fondi, si conclude con l’invito agli spettatori a scrivere su un foglietto un pensiero circa l’esperienza appena vissuta. Io ho scritto: «Rinascere, ma rinascere davvero: al di là del teatro». Perché io, che volete farci, è da parecchio tempo che ho smesso di far finta di giocare.

                                                                                                                                          Enrico Fiore

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