Napoli Teatro Festival Italia senza sorprese

Il logo della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia

Il logo della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia

NAPOLI – Riporto il commento, pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno», sulla dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia.

A dire la verità (e a dirla con un generoso eufemismo), il cartellone del dodicesimo Napoli Teatro Festival Italia mi sembra piuttosto deludente. Così come, del resto, erano quelli degli anni scorsi. Al gigantismo esteriore (37 giorni di programmazione, 12 sezioni, oltre 150 eventi) corrispondono contenuti che, al di là della possibile qualità estetica dei singoli spettacoli, appaiono datati e, in ogni caso, poco stimolanti. Ancora una volta, in breve, prevale l’idea vecchia del teatro che vige nella nostra città, sia per quanto riguarda lo Stabile sia per ciò che attiene alle sale private: l’idea di un teatro basato sulla rappresentazione e quindi volto, in sostanza, all’intrattenimento.
Comincio dalla sezione internazionale: perché, non dimentichiamolo, i soliti imbonitori in servizio permanente effettivo travestiti da critici e cronisti hanno avuto l’impudenza di spingere il loro servilismo fino al punto di sostenere che il Napoli Teatro Festival Italia è pari, e addirittura superiore, a quelli di Edimburgo e Avignone.

Eimuntas Nekrosius (foto di Audronis Liuga)

Eimuntas Nekrosius
(foto di Audronis Liuga)

Ebbene, nella sezione internazionale del Napoli Teatro Festival Italia spiccano i soli nomi dello scomparso Eimuntas Nekrosius e di Robert Lepage. Del primo (la cui parabola creativa era comunque da anni in fase discendente) viene proposto «Zinc (Zn)», uno spettacolo del 2017 sulla guerra combattuta dall’Unione Sovietica in Afghanistan e sull’esplosione dei reattori a Cernobyl, e del secondo (che oggi non è più fra i registi di punta nel panorama mondiale) «Kanata – Épisode I – La controverse», uno spettacolo sull’oppressione subita dagli indigeni in Canada.
C’è da osservare, peraltro, che Lepage non costituisce una novità, dal momento ch’era presente già nella terza e nella quarta edizione del Napoli Teatro Festival Italia, rispettivamente con gli spettacoli «Lipsynch» e «Le dragon bleu». Mentre, se parliamo di Canada, il Festival Fabbrica Europa, che si svolge a Firenze, presenterà proprio in coincidenza con l’apertura del Napoli Teatro Festival Italia «Sang bleu», uno spettacolo della compagnia Nadère Arts Vivants, l’autentica rivelazione della scena canadese, in cui Andréane Leclerc e Dany Desjardins attuano un’esplorazione del corpo in relazione alla materia che lo compone. Siamo di fronte – ecco un tema davvero attuale – a una visione della degenerazione fisica non come annientamento ma come processo di evoluzione e trasfigurazione della carne, in riferimento ai miti, e all’illusione, dell’eterna giovinezza e dell’eterna bellezza contrabbandati dall’odierna civiltà dell’immagine.

Robert Lepage

Robert Lepage

Sì, sto ribadendo per l’ennesima volta il concetto che ogni giudizio di valore implica un termine di paragone. E in proposito rilevo che nel cartellone del Napoli Teatro Festival Italia non compaiono né l’autore e regista franco-uruguaiano Sergio Blanco, né il regista ungherese Kornél Mundruczó, né il messicano Colectivo Escénico El Arce. Sono, al momento, tra le maggiori espressioni del nuovo teatro internazionale ed erano tutti e tre presenti nel cartellone di Vie Festival, la piccola (dura solo dieci giorni) ma preziosa rassegna organizzata a marzo da Emilia Romagna Teatro. E qui mi limito appena ad accennare che Mundruczó, nello spettacolo «Imitation of life», affrontava sotto gli occhi di Orbán i problemi del sovranismo e del razzismo, mentre il Colectivo Escénico El Arce proponeva «Casa Calabaza», il testo terribile scritto da María Elena Moreno Márquez, meglio nota come Maye Moreno, nel carcere femminile di Santa María Acatitla, in cui sconta una pena di ventotto anni per aver ucciso la madre Hilda.
Questo per non parlare di Milo Rau, il fondatore dell’International Institute of Political Murder, che realizza i suoi spettacoli, basati su testimonianze storiche dirette, operando spesso una particolare forma di «reenactment»: ovvero la ricostituzione di eventi (come il processo Breivik o le ultime ore di Elena e Nicolae Ceausescu) che, per essere stati estremamente «volgarizzati» dai media, fanno ormai parte della memoria collettiva. E per non parlare del collettivo tedesco Rimini Protokoll, una delle punte di diamante della ricerca teatrale, che di recente ha portato all’Arena del Sole di Bologna uno spettacolo, «Granma. Metales de Cuba», in cui analizza la rivoluzione di Castro e Che Guevara mettendo sul palcoscenico i diretti discendenti di coloro che vi parteciparono, a partire da Daniel Cruces-Pérez, trentaseienne matematico e filmmaker il cui nonno, Faustino, si occupò, per l’appunto, dell’organizzazione del battello «Granma» che trasportò i rivoluzionari dal Messico a Cuba.

Enzo Moscato

Enzo Moscato

Per venire, adesso, alla sezione italiana del Napoli Teatro Festival Italia, in queste pagine ho dato conto ampiamente, e con giudizi largamente positivi, dei tre eventi principali che vi sono compresi: il nuovo testo di Enzo Moscato «Ronda degli Ammoniti», la prima commedia di Maurizio de Giovanni «Il silenzio grande» e l’atto unico di Wanda Marasco «Giulietta e le altre». Ma anche qui siamo al cospetto dell’ovvio, ossia dell’assenza di sorprese. È ovvio accogliere in un Festival che si svolge a Napoli il nuovo testo di un napoletano che è considerato il maggiore drammaturgo italiano. È ovvio accogliere in un Festival che si svolge a Napoli l’esordio come drammaturgo di un napoletano che oggi è uno dei romanzieri più popolari. Ed è ovvio, infine, accogliere in un Festival che si svolge a Napoli il saluto al teatro di una napoletana che è fra le narratrici di vaglia in campo nazionale.
Chiudo con una piccola osservazione circa la nuova sezione del Napoli Teatro Festival Italia aggiunta alle undici che già c’erano, quella dedicata al teatro per ragazzi. È stata presentata con grande enfasi, come se si fosse scoperta un’altra delle meraviglie del mondo. Ma già negli anni scorsi aveva riservato ampio spazio al teatro per ragazzi la Biennale di Venezia. E quest’anno ha attribuito il Leone d’Argento all’olandese Jetse Batelaan, che proprio al teatro per ragazzi si dedica. La differenza è che mentre il teatro per ragazzi del Napoli Teatro Festival Italia farà riferimento ai soliti Biancaneve, il Brutto Anatroccolo, Cappuccetto Rosso e Barbablù, che davvero non credo siano fra i personaggi più frequentati dai ragazzi d’oggi, quello di Jetse Batelaan affronta – con stile visionario, e addirittura sulla base di un approccio filosofico – i temi, i drammi e le ossessioni del presente.
Assolutamente significativi, infatti, sono nel merito i due spettacoli che porterà a Venezia. In «The story of the story» s’interroga sul concetto stesso di storia in questi nostri tempi postmoderni, mettendo in scena, fra l’altro, una famiglia della classe media i cui membri assomigliano molto a Cristiano Ronaldo, Beyoncé e Donald Trump. Batelaan si chiede, in ultima analisi, se per le generazioni future l’immaginazione sarà ancora fondamentale. E intanto, in «War», sviluppa il tema, appunto quello della guerra, tenendo presente anche l’anarchico rincorrersi dei giochi per bambini.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

(«Corriere del Mezzogiorno», 7/6/2019)

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