Tra marito e moglie la prova d’amore è la reticenza

Serena Autieri e Paolo Calabresi in un momento de «La menzogna» (la foto è di Fabio Lovino)

Serena Autieri e Paolo Calabresi in un momento de «La menzogna»
(la foto è di Fabio Lovino)

NAPOLI – Il vero tema de «La menzogna» – la commedia di Florian Zeller che, nell’allestimento prodotto da Artisti Riuniti, chiude la stagione del Diana – non è quello indicato dal titolo, ma la reticenza: poiché si discute, qui, non sul travisamento della verità, bensì sull’opportunità o meno di dire la verità. E intorno a quest’opportunità si gira continuamente, e si gira in tondo, dall’inizio alla fine. Da quando Alice ci mette un’infinità di tempo a rivelare il vero motivo per cui, all’ultimo momento, vuole annullare la cena alla quale lei e il marito Paolo hanno invitato la coppia di amici composta da Lorenza e Michele.
Quel motivo consiste nel fatto che Alice, mentre passava in taxi, ha visto Michele abbracciato a una donna che non era Lorenza. Tanto, almeno, finisce per dichiarare, aggiungendo che adesso si sente in imbarazzo a cenare in compagnia di una Lorenza che, presumibilmente, è una cornuta ignara di esserlo. Ma, pur di non metterlo sul tappeto, tale motivo, non si fa che divagare, spostando il discorso, poniamo, sul vino pregiato («Chateau Babille») comprato da Paolo per l’occasione o sull’abito indossato da Lorenza. E si gira in tondo, come ho detto: giacché, per esempio, Alice non fa che tornare sui dettagli del posto di Parigi («vicino alla rue Mathurins, non dalla parte della rue Tronchon, dall’altra parte vicino alla chiesa») in cui, a quanto racconta, ha avuto la visione del tradimento di Michele verso sua moglie.
Una variante sul tema, poi, è che – sempre allo scopo di evitare il problema da affrontare – si finge d’interessarsi a un argomento solo perché ha un’attinenza con quello di cui in realtà si vorrebbe discutere: come nel caso della domanda rivolta da Alice a Michele, che fa l’editore, circa la verità da dire o meno a un autore amico del quale si è appena letto un libro brutto. E a questo divagare e girare in tondo obbedisce anche la sistematica ripetizione di certe battute, quali, ancora a titolo d’esempio, la stroppiatura di sbalordito in «zbalordito» o il «Non chiuderti a riccio» con la variante «Perché ti chiudi a riccio?» scaricati da Alice sul marito.
Insomma, Zeller conferma anche in quest’occasione la caratteristica che ne ha fatto uno dei più affermati autori francesi di oggi: l’abilità tecnica, e non scevra di gusto, con cui attribuisce alla «conversation play» di ascendenza britannica la velocità e la vivacità tipiche del più classico teatro boulevardier, e in particolare del vaudeville targato Feydeau. Ma il limite, ne «La menzogna», è che la teoria sostenuta da Paolo, secondo il quale la prova d’amore fra marito e moglie consiste proprio nel tacersi certe cose, ossia proprio nella famosa reticenza, va ad impegolarsi in troppe e troppo prevedibili parafrasi, tutte centrate, per giunta, sull’altrettanto scontata ipotesi che Alice si sia inventata la storia delle corna fatte da Michele a Lorenza per stornare eventuali sospetti dalla relazione che lei, Alice, ha con lo stesso Michele. E la prevedibilità si spinge, insieme con l’ipotesi che a sua volta Paolo abbia una relazione con Lorenza, sino al punto che l’epilogo ripete pari pari il finale della seconda delle sette scene di cui si compone la commedia.
Dal canto suo, la regia di Piero Maccarinelli (il quale firma pure la traduzione e l’adattamento del testo originale) punta, giustamente, sul ritmo, tagliando alcune battute superflue o ingombranti, e – trattandosi di un tipo di teatro volto sostanzialmente all’intrattenimento – sugli effetti comici estraibili dalle varie situazioni proposte dal plot. Molto, allora, ricade sulle spalle degl’interpreti: Serena Autieri (Alice), che nell’occasione fornisce una delle sue prove più convincenti in quanto attrice di prosa, Paolo Calabresi (Paolo), il migliore sul versante della comicità, e i corretti comprimari Totò Onnis (Michele) ed Eleonora Vanni (Lorenza). Nel complesso, il pubblico della «prima» ha mostrato di gradire.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Enrico Fiore

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