Due sorelle zitelle zoppe, fra cinesi, avarizia e telenovele

Giuliana De Sio e Isa Danieli in un momento de «Le signorine», in scena al Diana (le foto che illustrano l'articolo sono di Noemi Ardesi)

Giuliana De Sio e Isa Danieli in un momento de «Le signorine», in scena al Diana
(le foto che illustrano l’articolo sono di Noemi Ardesi)

NAPOLI – Avevo sempre apprezzato i testi di Gianni Clementi: poniamo «Una volta nella vita», «L’ebreo» e «Alcazar», centrati rispettivamente su una riedizione in sedicesimo dei replicanti di «Blade Runner», sul dramma delle leggi razziali rivisitato in chiave di giallo surreale e sul teatro come difesa dalle brutture del mondo. Ed è per questo che adesso mi trovo in imbarazzo di fronte ai due atti di Clementi, «Le signorine», presentati al Diana in un allestimento prodotto dal Nuovo Teatro per la regia di Pierpaolo Sepe.
Per cominciare, non so di chi sia veramente il testo. Me lo son fatto mandare, e l’ho letto con l’attenzione dovuta e per me da oltre mezzo secolo abituale. È in napoletano, un napoletano che solo con un più che generoso eufemismo si può definire approssimativo. E a tutta prima ho pensato che questo fosse da spiegare col fatto che Clementi è romano. Ma poi, leggendo un’intervista con Giuliana De Sio, una delle due protagoniste in campo, ho appreso che è stata lei a varare il progetto dello spettacolo e a tradurre il testo di Clementi, scritto, come volevasi dimostrare, in romanesco. E dal momento che la De Sio è salernitana, ecco svelata la causa effettiva dell’approssimazione di cui sopra.
C’è da chiedersi, però, quanto del testo originario di Clementi sia rimasto nel copione oggi portato in scena e quanto di quest’ultimo sia, invece, da attribuire a Giuliana De Sio. L’interrogativo viene imposto dallo scarto piuttosto notevole che si rileva tra le forme e le atmosfere qui dispiegate e i temi e i risvolti profondi per solito praticati dall’autore romano, quelli a cui ho accennato all’inizio. E non potendo sciogliere il dubbio (avrei bisogno di fare un confronto col citato copione originario di Clementi, che non ho), mi limito a riassumere quel che vediamo e sentiamo.
Sono in azione due sorelle zitelle di una certa età: Rosaria e Addolorata, la prima di una ventina d’anni più vecchia della seconda. Gestiscono una merceria ormai assediata dai negozi cinesi e, per il resto, conducono un’esistenza monotona e senza luce, quasi sempre chiuse in casa a baccagliare fra loro di continuo. Giacché Rosaria è avara e si preoccupa solo di far crescere il conto in banca, mentre Addolorata è alquanto incline a spendere, fin dall’energia elettrica che – le rinfaccia la sorella – consuma tenendo acceso il televisore per assistere senza posa a telenovele e reality.
Ora, le didascalie iniziali ci avvertono subito che le due sorelle zoppicano entrambe ed entrambe calzano delle scarpe ortopediche, in dipendenza della poliomielite che le colpì. E il particolare lascerebbe intendere che Rosaria e Addolorata sono facce di una stessa medaglia, e che la commedia voglia disegnare uno spaccato psicologico e comportamentale della specie «foemina neapolitana». Ma ben presto restiamo disillusi, perché «Le signorine» si attesta sul terreno del semplice e innocuo intrattenimento, orientato in prevalenza verso la comicità. Una comicità, specifico, che occhieggia «Made in Sud».

Giuliana De Sio e Isa Danieli in un altro momento dello spettacolo, diretto da Pierpaolo Sepe

Giuliana De Sio e Isa Danieli in un altro momento dello spettacolo, diretto da Pierpaolo Sepe

Ne volete qualche esempio? Se Addolorata dice del cugino Tonino che «a uno e 59, uno e 60 ci arriva di sicuro», Rosaria commenta: «Nu Watusso!». Se Addolorata, per giustificare la spesa del neon, osserva: «Almeno in cucina ce vedimmo, Rosa’», Rosaria obietta: «…Sì, ma ce avimm’a mettere gli occhiali da sole». Se Addolorata propone a Rosaria di comprarsi pure lei «nu bello taglierino», quella sbotta: «Eh, e accussì facimmo ‘e gemelle Kessler!». E se Addolorata pronuncia «Aliena» il nome «Alena» della moldava fidanzatasi con il suddetto Tonino, Rosaria la corregge con un sardonico: «Eh, viene da Marte!».
Inoltre, a simili battute s’affiancano, sempre allo scopo di strappare risate a un pubblico di bocca buona, reiterate escursioni sul solito versante scatologico: tipo, ancora a titolo d’esempio, i vari «Chi v’è stramuorte!», «Ma vafanculo!», «Ce ‘o pulizze tu ‘o culo a’ zia?» e «Maronna, me stongo piscianno sotto». Sicché, drammaturgicamente parlando, si rivelano appiccicati, o quantomeno affrettati (e in ogni caso alquanto prevedibili), i sottofinali in serie a base dell’ictus che costringe Rosaria sulla sedia a rotelle e la rende muta, del cuscino con cui Addolorata la soffoca, dell’armadio in cui ne rinchiude il cadavere e della riapparizione di Rosaria non si capisce bene se in veste di fantasma o d’incubo o di sogno.
Non resta, insomma, che la prova delle due interpreti, Isa Danieli (Rosaria) e, appunto, Giuliana De Sio (Addolorata). D’altronde, è a questa prova che si riduce lo scopo dell’intera operazione. E adeguata appare la risposta delle mattatrici a quanto ci si attendeva da loro, soprattutto sul piano degli spunti comici: con una netta prevalenza della Danieli, che, ovviamente, vanta rispetto alla De Sio una pratica del palcoscenico assai più lunga e articolata.
Completano il quadro la scena scontata di Carmelo Giammello, che trasporta dentro casa la parete di cassetti della merceria, e la voce registrata che Sergio Rubini presta al «mago» televisivo consultato da Addolorata. E se non pare che Pierpaolo Sepe abbia fatto molto più che piazzare stacchetti musicali fra una scena e l’altra, in compenso la produzione distribuisce agli spettatori un volantino in carta patinata che offre, oltre a una sintesi della trama, la ricetta di Eduardo De Filippo circa gli spaghetti «a vongole fujute» nominati nel testo. Quando si dice il teatro «gastronomico» di cui parlò un certo Bertolt Brecht…

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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2 risposte a Due sorelle zitelle zoppe, fra cinesi, avarizia e telenovele

  1. Rosa Startari scrive:

    Caro Enrico,
    il testo originale di Gianni Clementi, dal titolo “Sugo finto”, se vuole, può leggerlo qui, a pag. 20
    http://www.siadteatro.it/pagine/ridotto08/ridotto_novembre.pdf
    A suo tempo, quando l’avevo letto io, mi aveva commosso, e mi sembrava di sentire odori e suoni partenopei aggirarsi per la stanza.
    Quanto al regista, dopo aver sofferto di mal di stomaco per aver visto le sue irrimediabilmente arroganti e per me oltraggiose versioni di “Uscita di emergenza” al Bellini di Napoli e di “Anna Cappelli” al Piccolo di Milano, ho deciso che mi terrò alla larga da qualunque cosa pretenda di dirigere.
    Sempre un piacere leggerla.
    Rosa Startari

  2. Enrico Fiore scrive:

    Grazie per l’informazione, cara Rosa.
    A presto.
    Enrico Fiore

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