Teatro gastronomico, con assaggi per gli spettatori

Da sinistra, Samuela Sardo, Roberta Lanfranchi, Tosca D'Aquino e Rossella Brescia in «Belle Ripiene» (la foto è di Antonio Agostini)

Da sinistra, Samuela Sardo, Roberta Lanfranchi, Tosca D’Aquino e Rossella Brescia in «Belle Ripiene»
(la foto è di Antonio Agostini)

NAPOLI – In libera uscita dai territori del musical, nei quali s’è conquistata una notorietà che l’ha portato fino alla direzione artistica del Sistina, il tempio italiano del genere, Massimo Romeo Piparo è tornato all’Augusteo, aprendone la stagione, con uno spettacolo in prosa, «Belle Ripiene», di cui ha scritto il testo insieme con Giulia Ricciardi.
«Belle Ripiene» è il nome del ristorante aperto da quattro amiche: la pugliese Ida, la laziale Dada, la campana Ada e la lombarda Leda. E data l’assonanza fra i loro nomi di battesimo, io – in uno dei miei ormai sempre più rari conati di ottimismo – avevo pensato, iniziando a leggere il testo, che le quattro amiche in questione fossero le quattro facce di un’unica donna. Avevo pensato, in breve, che la commedia di Piparo e della Ricciardi si proponesse lo scopo di tracciare un ritratto dell’unicum femminile. E invece lo scopo è solo quello di raccontare come nel loro ristorante Ida, Dada, Ada e Leda abbiano portato ciascuna le tradizioni culinarie della propria regione di origine, poi fondendole in un menu «generalista».
Per la verità, Piparo, che ho incontrato la sera della «prima» (era una «prima» nazionale), afferma che lo spettacolo – mettendo nella cucina del ristorante «Belle Ripiene» uno spaccato (sia pure appena gastronomico) dell’Italia – ha lo scopo di lanciare un appello a favore dell’unità nazionale minata dalle divisioni politiche. Ma questo, allora, è il classico caso del teatrante che vuole la botte (lo spettacolo) piena e la moglie (le motivazioni dello stesso) ubriaca. Perché, a conti fatti, parliamo di un allestimento che si limita, senza porsi troppi problemi, ad occhieggiare le forme e i ritmi della più innocua sit-com televisiva.
A mia volta, dunque, mi limito a fornire in proposito un unico esempio: quello delle gag spesso prevedibili che si susseguono a partire dal fatto che, sparito il consorte perché aveva il calcetto, Dada si presenta nel ristorante portandosi dietro i suoi cinque figli dagl’improbabili nomi di Kevin, Giastin, Maraia, Geson e Kimberly. Un fatto che, per intenderci, si traduce, allorché la bambina Kimberly produce la sua brava cacca davanti ai fornelli, nel dialogo seguente: Ada: «Mamma d’ ‘o Carmine! Aprite l’aeratore! Ma che ci dai da mangiare, a ‘sta creatura?» – Dada: «Figurati! Prende solo il latte mio!» – Leda: «Ti saranno scadute le tette!».
Il resto, come potete immaginare, è fatto di battute tipo quella di Dada in riferimento al marito che lamenta di aver preso una botta mentre giocava: «Tu madre l’ha presa ‘na botta, quanno t’aspettava!». E per giunta, in barba al presunto appello in favore dell’unità nazionale tirato in ballo da Piparo, circola nel testo una cert’aria di destra, se dobbiamo badare alla sortita di Ada («Ricchioni! Ah… chiamiamo le cose col loro nome! Che qua ogni volta cagnamm’ ‘o nomme d’ ‘e ccose perché ci mettiamo paura di offendere») e alla presa di posizione di Leda («Da noi si dorme ancora con la chiave attaccata alla porta, volendo») rinforzata dalla risposta («Sai che ti dico? Ci vorrebbe proprio un bel ritorno! Vedresti allora come cambierebbero le cose!») che dà alla replica ironica («Come quando c’era lui!») di Ida.
Non restano, insomma, che la simpatia e l’impegno delle quattro interpreti: Tosca D’Aquino (Ada), Samuela Sardo (Dada), Rossella Brescia (Ida) e Roberta Lanfranchi (Leda). Ma, intrattenimento per intrattenimento, la regia, dello stesso Piparo, dovrebbe badare almeno a stringere i tempi. Alla «prima» m’è parso che il pubblico abbia gradito soprattutto gli assaggi che di tanto in tanto venivano distribuiti dalle attrici nella platea considerata sotto specie della sala di «Belle Ripiene».

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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