Eduardo l’italiano

Un momento di «Pericolosamente», compreso in «Eduardo per I Nuovi» (foto di Filippo Manzini)

Un momento di «Pericolosamente», l’atto unico compreso in «Eduardo per I Nuovi» (foto di Filippo Manzini)

NAPOLI – Riporto la riflessione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

«Eduardo per I Nuovi» – lo spettacolo presentato nei giorni scorsi al Nuovo dal Teatro della Toscana e dalla Compagnia di Luca De Filippo (si trattava degli atti unici «Pericolosamente», «I morti non fanno paura», «Amicizia» e del primo atto di «Uomo e galantuomo») – si presta a un commento fondato per un verso su una certezza e per l’altro su un dubbio: la certezza consiste nel merito che s’è conquistato il Teatro della Toscana con l’affidare a un gruppo di giovani diplomati della scuola di teatro «Orazio Costa», costituitisi in una compagnia chiamata per l’appunto «I Nuovi», la gestione dello storico Teatro Niccolini di Firenze, mentre il dubbio coincide con l’interrogativo se si possa e in che modo tradurre Eduardo, nella circostanza – per scelta del regista dello spettacolo, Gianfelice Imparato – completamente in italiano.
Eduardo si può tradurre, è ovvio. Basta considerare, tanto per fare solo un esempio, che «Sabato, domenica e lunedì» è stata rappresentata, con relativa traduzione nelle lingue di quei posti, da Londra e Mosca a Malmoe e Berlino, da New York e Chicago a Lubiana e Copenaghen, da Oslo e Amsterdam e Tokyo fino a Tampere, in Finlandia, e Napao, in Sud Africa. E nelle loro lingue hanno potuto fra le altre interpretare «Filumena Marturano», che venne tradotta persino in coreano, attrici del calibro e della personalità spiccata di Valentine Tessier, Käthe Dorsch e Magda Janssens. Anzi, in qualche caso la traduzione ha addirittura aggiunto al testo originale ulteriori significati e suggestioni.
Faccio, al riguardo, l’esempio di «Napoli milionaria!». Quando venne rappresentata a Praga, nel 1957, il manifesto che l’annunciava nelle strade recava l’immagine di un biglietto da 500 «amlire» attraversato dalla scritta in ceco: «Neapol mesto milionu». Così tradotto, il titolo del capolavoro eduardiano significava, letteralmente, «Napoli città milione». Sparito il punto esclamativo finale, che qualificava il titolo originale di Eduardo come un’allusione ironica, l’aggettivo «milionaria» si tramutava in un sostantivo concreto, «milionu», che identificava la smania di guadagno avventuroso e spesso illegale di quegli anni disperati come un connotato intrinseco (starei per dire ontologico) di Napoli.

Eduardo De Filippo

Eduardo De Filippo

Ma ecco il punto. Si può tradurre (intendo tradurre utilmente) un certo Eduardo, non tutto Eduardo. E cioè: si possono tradurre i testi maggiori, perché basati su una vera e propria (e ferrea) drammaturgia fatta di contenuti preponderanti, e non si possono tradurre (intendo tradurre in maniera convincente) testi come, per l’appunto, gli atti unici che scandirono l’inizio dell’attività di Eduardo insieme con Titina e Peppino, in quanto si configurano sotto specie di puri meccanismi sostanzialmente comici che, per ciò stesso (prescindendo, voglio dire, dai contenuti preponderanti di cui sopra), trovano nella forma – ossia, in questo caso, nel dialetto napoletano – tutta o quasi tutta la loro ragion d’essere.
È sufficiente, in proposito, l’esempio di «Requie a l’anema soja…», l’atto unico del 1926 ribattezzato nel 1952 col titolo «I morti non fanno paura». A un certo punto, la vicina di casa Carmela rivolge alla fresca vedova Amalia, che, affranta, si rifiuta di mangiare, il rimprovero: «Volete sconocchiare per la debolezza?». E quella battuta, nella traduzione in italiano adottata dallo spettacolo in questione, diventa: «Volete cadere per la debolezza?». Così non solo si cancella tutto il sapore del termine dialettale, ma, ciò ch’è peggio e inammissibile, si annulla completamente il discorso profondo di Eduardo, condensato nel fatto che «sconocchiare» è scritto in corsivo.

Gianfelice Imparato

Gianfelice Imparato

La scena di «Requie a l’anema soja…» in cui Enrico fa di tutto per trattenere il dottore che vuole andar via (ha paura, Enrico, di rimanere solo nella stanza che ha ospitato il cadavere del marito di Amalia) prelude, con ogni evidenza, a quella di «Questi fantasmi!» tra Raffaele e i facchini. E lo scarto fra il respiro contratto che ha l’atto unico in questione e le ampie volute dei tre atti che nel 1946 ne costituiranno lo sviluppo si riassume proprio nello «sconocchiare» scritto in corsivo.
È un punto fermo, per sottolineare il tono farsesco dell’insieme: che toccherà l’acme nella pantomina, da vero e proprio «improvviso» della Commedia dell’Arte, fra il portiere Nicola e la citata Carmela intenti a sgombrare la stanza di Enrico dagli arredi funerari. In breve, Eduardo non si limita a utilizzare il dialetto, ma lo esibisce, lo addita come spia d’allarme di un impianto testuale votato solo all’immediatezza dell’azione. Mentre in «Questi fantasmi!» il dialetto medesimo, stavolta messo in campo con naturalezza, in tono assolutamente colloquiale, diventa un puro espediente, l’accessorio di una drammaturgia che affronta temi assai meno occasionali e in se stessi esauriti: a partire da quello del tempo, di cui conto d’occuparmi in un prossimo articolo.
Insomma, occorre convincersi che, negli atti unici di Eduardo, la forma (ossia, ripeto, il dialetto napoletano) coincide perfettamente con il contenuto. E invece, in «Eduardo per I Nuovi», la scelta di tradurre in italiano «Pericolosamente», «I morti non fanno paura», «Amicizia» e il primo atto di «Uomo e galantuomo» provoca conseguenze nefaste. Nel primo atto di «Uomo e galantuomo» qui rivisitato la famosissima prova di «Mala nova» di Libero Bovio viene sostituita con la prova de «La morsa» di Pirandello. E ne discende un autentico disastro.
Non si tratta solo di rilevare che, perciò, risulta messa fra parentesi la corrispondenza fra la battuta che in «Uomo e galantuomo» Viola rivolge a Gennaro che s’è sporcata la giacca di sugna («Vedite, vedite! Tu già stavi pulito… mò si’ cchiù ‘nzevuso ‘e primma!») e quella che in «Pericolosamente» Dorotea rivolge ad Arturo che s’è strappata la giacca («È questione che sei sbadato! ‘O cazone ‘e flanella, nun ‘o purtaste â casa cu ‘na ‘ncappatura? ‘O vestito marrò nun ce faciste ‘na macchia d’inchiostro?»). Fin qui torneremmo sul carattere di puro meccanismo (tale da tollerare, appunto, i ricalchi) che, insisto, hanno, in sé, gli atti unici di Eduardo. Laddove la questione decisiva è che, sostituendo «La morsa» a «Mala nova», viene bellamente mandata in cavalleria la fondamentale e sacrosanta polemica contro il verismo bozzettistico che a Bovio arrivava «per li rami» dalla sceneggiata.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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4 risposte a Eduardo l’italiano

  1. Rosa Startari scrive:

    Buon giorno, Enrico.
    La sua riflessione sulla “traducibilità” degli atti unici di Eduardo è molto interessante. Anche perché è un po’ come chiedersi (tentando anche di rispondere) quanta parte del perfetto meccanismo comico è riconducibile (esclusivamente, cioè non altrimenti producibile) alla lingua usata.
    Per chi (come noi) recita Eduardo, ma anche altri napoletani come Gaetano Di Maio, Samy Fayad e Manlio Santanelli, in territori non “partenopei”, il tema della “traduzione” è molto importante e delicato, assolutamente determinante per la qualità dell’allestimento.
    Le sue opinioni, di sicuro, ci aiutano ad approfondire ancora questo aspetto, ad entrare sempre più nel dettaglio.
    Come sempre, la leggo con entusiasmo.
    Cordialità.
    Rosa Startari

  2. Enrico Fiore scrive:

    Cara Rosa,
    ancora grazie per l’attenzione appassionata che mi dedica.
    A presto.
    Enrico Fiore

  3. Rosa Startari scrive:

    Buona sera, Enrico.
    Il suo articolo è stato per noi una spinta prepotente a dare forma a riflessioni che da tempo andavamo conducendo sul nostro portare Eduardo su palcoscenici (amatoriali) lombardi. Mi permetto di segnalarLe, se avesse tempo e voglia di leggerlo, il nostro approfondimento:
    http://www.ilsoccoelamaschera.it/pages/approfondimenti/traducibilit%C3%A0%20di%20Eduardo.pdf
    Grazie, Enrico. Per noi leggerLa porta sempre buoni frutti.
    Rosa Startari

  4. Enrico Fiore scrive:

    Cara Rosa,
    grazie a Lei per l’attenzione e la stima che continua a riservarmi. Accolga i miei più cordiali saluti e i più sentiti auguri per l’attività teatrale che con tanta passione porta avanti.
    Enrico Fiore

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