«Preferirei di no»: la risposta dei Bartleby alle offerte di lavoro

Un momento di «Lettres de non-motivation» di Vincent Thomasset (le foto che illustrano l'articolo sono di Andrea Avezzù)

Un momento di «Lettres de non-motivation» di Vincent Thomasset
(le foto che illustrano l’articolo sono di Andrea Avezzù)

VENEZIA – Partendo dalla constatazione dei sempre più labili confini fra le varie arti e fra le diverse specializzazioni all’interno di una stessa arte, Antonio Latella, al suo secondo anno da direttore del Settore Teatro della Biennale, punta sul tema «Attore/performer». E nella nota premessa al cartellone del quarantaseiesimo Festival Internazionale del Teatro si chiede dove si trovi e, soprattutto, se esista ancora la distinzione fra attore e performer. Per poi specificare: «Può un attore essere un performer o un performer essere un attore? E se ciò non è possibile, dove sono le mancanze dell’uno o dell’altro, se si possono definire tali?».
Ebbene, qualche fondata risposta a simili interrogativi viene da «Lettres de non-motivation», lo spettacolo del francese Vincent Thomasset basato su un progetto di Julien Prévieux che assembla materiali eterogenei, scritti o parlati, allo scopo di svolgere un’indagine sul linguaggio. E l’ipotesi sembrerebbe essere quella dell’identità o, almeno, della coabitazione delle due figure: poiché, se la presenza di un testo rimanda al regno naturale dell’attore, la sua interpretazione da parte di artisti di formazione disparatissima conduce al dominio specifico del performer.
L’argomento è il lavoro, e più esattamente la ricerca su un lavoro che non solo manca, ma, se pure si profila all’orizzonte, assume maschere che lo rendono irriconoscibile e, alla fine, inaccettabile. E il pregio dello spettacolo sta nel fatto che, come annuncia il titolo, tale argomento viene affrontato nel solco di un sistematico e travolgente paradosso surreale. C’imbattiamo in una serie di personaggi che rispondono alle offerte di lavoro pubblicate sui periodici specializzati, tipo «Le Marché du Travail», solo per comunicare che le rifiutano.
Faccio al riguardo due soli esempi. Rivolgendosi alla Signora Sindaco del Comune di Vaucresson, che offre il lavoro di impiegato amministrativo contabile e supervisore dei servizi finanziari, un tizio che non a caso si chiama proprio come l’autore del testo, Julien Prévieux, scrive: «Per paura di vincere per puro caso un posto nel vostro municipio, mi permetto di segnalarvi che non potrei lavorare per voi negli anni a seguire. Sono veramente molto impegnato in questo momento e non ho molto tempo libero per passatempi culturali del tipo “impiegato amministrativo contabile e supervisore dei servizi finanziari”». E un altro tizio , rispondendo all’offerta di quattro posti di tecnico di produzione per i giorni di sabato e domenica in alternanza giorno/notte, tira subito in ballo «lo stretto legame tra lo stress lavorativo e lo sviluppo di malattie fisiche e mentali», aggiungendo: «Per quanto mi riguarda non intendo essere vittima di depressione, di “burnout” (appunto lo stress da lavoro, n.d.r.) o di “karoshi” (la morte per troppo lavoro, n.d.r.). Nell’ambito di una campagna di prevenzione personale, preferisco rifiutare questo tipo di impiego e vi consiglio di riguardarvi».

Un altro momento dello spettacolo, che ha aperto la «personale» dedicata a Thomasset dalla Biennale Teatro

Un altro momento dello spettacolo, che ha aperto la «personale» dedicata a Thomasset dalla Biennale Teatro

L’ipotesi dell’identità e della coabitazione dell’attore e del performer viene poi simbolicamente sottolineata, in particolare, dalla risposta che un terzo tizio fornisce a un annuncio corredato da un’immagine che mostra la corsa sfrenata di due individui in un corridoio. Come spiegarla? Il tizio prospetta, nell’ordine, le spiegazioni seguenti: un incendio provoca la fuga dei due individui per il corridoio; una campanella ha appena suonato, sono le quattro, i due dirigenti escono correndo perché sanno che li aspetta la merenda; il direttore ha appena proposto un aumento a chi corre più veloce tra i suoi impiegati; i cento metri sono stati organizzati nei corridoi dell’azienda per stabilire lo sprinter migliore; Cédric (30 anni) prende in giro Jérôme (27 anni) perché è calvo, quest’ultimo ha giurato di vendicarsi e l’insegue gridando insulti; due individui in giacca e cravatta hanno ricevuto le loro lettere di licenziamento e filano al centro per l’impiego per trovare un altro lavoro. E l’ultima spiegazione forse l’avete già immaginata: «Cédric e Jérôme corrono per annunciarvi la notizia: io non lavorerò per voi».
Paradosso nel paradosso, infine, c’è anche il caso della donna che vorrebbe accettare il lavoro offerto da un annuncio ma è costretta a rifiutarlo perché, dopo aver impiegato diciotto giorni e diciassette notti a scrivere la lettera con cui comunicava di accettarlo, al momento d’imbustarla non la trova più. E come si vede, divertono non poco queste «Lettres de non-motivation». Ma, lo avete capito, si tratta di un divertimento fondato su un’analisi lucidissima, e impietosa, dei meccanismi di potere e di sopraffazione in atto nella società cosiddetta post-capitalistica.
Infatti, il testo si conclude – in riferimento all’offerta di un posto di conducente di mezzi pubblici – con un ricalco perfetto del ritornello («Preferirei di no») reso celebre dal Bartleby di Melville: «Preferirei non vendere dei titoli di trasporto. Preferirei non garantire il controllo dei biglietti. Preferirei non essere titolare di una patente CQC. Preferirei non avere un’esperienza nel trasporto di passeggeri. Preferirei non avere capacità interpersonali ed essere cortese. Preferirei non essere puntuale. Preferirei non lavorare dalle 6,30 alle 9,30 e dalle 16 alle 20 tutti i giorni tranne il week-end. Preferirei non prendermi le ferie obbligatoriamente durante il periodo di non-funzionamento della linea ovvero nel mese d’agosto. Preferirei non essere pagato 1284 euro lordi mensili. Preferirei non avere un contratto a tempo determinato. Preferirei non essere un conducente di mezzi pubblici. Nell’attesa di un riscontro porgo distinti saluti».
Rispetto a tutto questo, l’allestimento funziona come uno specchio fedele. Perché la regia di Thomasset si preoccupa, ottenendo risultati assai convincenti, proprio d’inverare la compresenza dell’attore e del performer per poi sfruttare l’interazione fra l’uno e l’altro: sicché – mentre le offerte di lavoro pubblicate dai giornali e le risposte alle lettere dei «candidati» vengono proiettate sul fondale – in scena la gestione di quelle lettere si fonda senza scarti sulla combinazione di toni da drammone ottocentesco e cadenze da teatro boulevardier con esercizi ginnici e microballetti. Ed è inutile sottolineare con quanta precisione si comportino, al riguardo, gli attori/performer in campo: David Arribe, Johann Cuny, Michèle Gurtner, François Lewyllie e Anne Steffens.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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