Se le parole del Corano sono lette dalla ragione o dal fanatismo

Franco Branciaroli e Marina Occhionero in un momento di «Lettere a Nour», presentato al Festival dei Due Mondi

Franco Branciaroli e Marina Occhionero in un momento di «Lettere a Nour», presentato al Festival dei Due Mondi

SPOLETO – «Quando venne loro imposto d’autorità: “Dovete credere come solo sanno credere gli esseri umani!” se ne infischiarono: “Proprio noi? credere alla maniera dei pazzi?”. In realtà i pazzi sono loro e senza rendersene conto, per giunta».
È un passo della Sura II («La vacca») del Corano. E ben a ragione potremmo assumerlo come epigrafe per «Lettere a Nour», il testo di Rachid Benzine (un islamologo e filosofo francese di origine marocchina, fautore del dialogo fra le culture e le religioni) presentato al Caio Melisso, nell’ambito della sessantunesima edizione del Festival dei Due Mondi, da Emilia Romagna Teatro, Centro Teatrale Bresciano e Teatro de Gli Incamminati.
Infatti, si tratta dello scambio di lettere fra un padre, un professore universitario chiuso nella torre d’avorio dei suoi libri e delle sue certezze, e una figlia, giusto Nour, che improvvisamente, a vent’anni, decide di andarsene in Iraq e di aderire allo Stato Islamico, sposando uno dei suoi combattenti. Ed entrambi, il padre e la figlia, sono tanto prigionieri di quello in cui credono da considerare per l’appunto «pazzo» l’interlocutore.
Il pregio del testo di Benzine sta, dunque, nell’indagine circa l’intercambiabilità che si determina a proposito del senso delle parole del Corano a seconda che le leggano, le analizzino e le pronuncino il padre o la figlia. A seconda, cioè, che con le stesse parole vengano a contatto la ragione o il fanatismo. Basti, al riguardo, l’esempio della seguente dichiarazione fatta da Nour nella prima lettera che manda al padre: «Grazie a te, mi sono impregnata di tutti quei valori nei quali tu credi: la libertà, la democrazia, l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, la cultura, l’emancipazione delle donne, la giustizia e la benevolenza verso i poveri. E tu mi hai insegnato anche l’Islam».
Senonché, poi, l’atto unico in questione si perde per strada. E approda a due esiti entrambi discutibili. Troppo affrettatamente Nour si pente, proprio lei ch’era una roccia inscalfibile al punto di aver chiamato la figlia Jihad; e non meno affrettatamente il padre passa dalla disperazione più nera alla più luminosa fiducia nel futuro: «Perché un giorno prossimo, il mondo arabo sarà un mondo migliore, sereno, aperto al pianeta».
Per innescare tale conversione dell’analisi concettuale e ideologica nella mozione degli affetti basta, nel testo di Benzine, il fatto che Nour, tornando ancora una volta sui propri passi, diventi una kamikaze per ottenere dal marito che Jihad venga affidata al nonno. E non resta, insomma, che prendere atto della prova tutto sommato apprezzabile degl’interpreti, Franco Branciaroli e Marina Occhionero, guidati dalla regia sin troppo discreta di Giorgio Sangati e accompagnati dalle musiche, sospese fra Oriente e Occidente, eseguite dal vivo dal Trio Mothra.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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