«Trent’anni Uniti», il lungo viaggio per rifondare il teatro

Da sinistra, Toni Servillo, Antonio Neiwiller e Mario Martone, i fondatori di Teatri Uniti (tutte le foto che illustrano l'articolo sono di Cesare Accetta)

Da sinistra, Toni Servillo, Antonio Neiwiller e Mario Martone, i fondatori di Teatri Uniti
(tutte le foto che illustrano l’articolo sono di Cesare Accetta)

NAPOLI – Riporto il commento alla mostra «Trent’anni Uniti» pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

«Falso Movimento o dell’immagine», «Teatro dei Mutamenti o dell’ideologia», «Teatro Studio o dell’autobiografia». Sono le formule con cui la mattina del 5 giugno 1987, tenendo a battesimo la nascita di Teatri Uniti nel salone del museo di Villa Pignatelli, mi sembrò di poter sintetizzare il percorso dei tre gruppi che davano vita al nuovo organismo. E subito trovarono riscontro, quelle formule, nella poetica di Teatri Uniti così come venne annunciata da Mario Martone, Antonio Neiwiller e Toni Servillo.
Si trattava, dissero, di procedere a una vera e propria «rifondazione del teatro»: che per Martone significava la razionalizzazione della ricerca teatrale alla luce dei nuovi linguaggi imposti dai mass-media, per Neiwiller la verifica e il rafforzamento delle proprie potenzialità nell’ambito della riscoperta del teatro come assemblea civile, per Servillo l’adozione di una pratica teatrale costantemente nutrita da un sentimento profondo verso la città. E non v’è dubbio che il miracolo compiuto da Teatri Uniti nel corso della sua storia sia stato per l’appunto quello fondere tali punti di vista e tali prospettive in un’esperienza unica, e distinta e garantita da una coerenza esemplare.
Di tanto offrirà testimonianza «Trent’anni Uniti», la mostra curata da Maria Savarese che s’inaugura oggi pomeriggio nella sala dorica del Palazzo Reale. Attraverso fotografie, documenti e installazioni di carattere sonoro, luminoso e visuale, si potrà ripercorrere le tappe di un viaggio straordinario che da Napoli, mai abbandonata, ha portato Teatri Uniti sui palcoscenici di quattro continenti, dal Centre Pompidou di Parigi allo Stadio Antico di Delfi, dal Lincoln Center di New York all’Hebbel Theater di Berlino, dal Barbican Centre di Londra ai festival del Cairo, di Keoghang e di Mar del Plata.

Andrea Renzi e Renato Carpentieri in una scena di «Riccardo II», regia di Mario Martone

Andrea Renzi e Renato Carpentieri in una scena di «Riccardo II», regia di Mario Martone

Davvero, insomma, Teatri Uniti ha mostrato e fatto agire una sua natura «scarrozzante», come ha ben detto Toni Servillo citando il grandissimo Testori. E perciò, sarà utile e affascinante insieme seguire le linee tematico/compositive proposte dalla mostra: il «percorso del realizzabile e dell’irrealizzato» (progetti da Sant’Aniello a Caponapoli a Rea/Fiorito – La parola del padre), il «percorso elleniclassico» dedicato a Thierry Salmon e Theo Anghelopoulos (da «Filottete» a «Teatro di guerra»), il «percorso neiwilleriano» dedicato a Steve Lacy e Tadeusz Kantor (da «Storia naturale infinita» a «Titanic the end»), il «percorso napoletano» dedicato a Leo de Berardinis (da «Ha da passa’ ‘a nuttata» a «Sabato, domenica e lunedì»), il «percorso al femminile» dedicato a Fabrizia Ramondino e Alda Merini (da «Terremoto con madre a figlia» a «Manca solo la domenica»), il «percorso francese e del ‘700» dedicato a Cesare Garboli (da «Le false confidenze» alla «Trilogia della villeggiatura»), il «percorso dei buoni samaritani e degli onorevoli casertani» (da «Rosencrantz e Guildenstern sono morti» a «Birre e rivelazioni»), il «percorso dell’Europa (centr)orientale» (da «Insulti al pubblico» a «Diario di un pazzo»), il «percorso fra Shakespeare e Pasolini» (da «Riccardo II» a «Calderón»), il «percorso della musica» (da «Benjaminowo: padre e figlio» a «Sconcerto») e il «percorso del cinema» (da «Morte di un matematico napoletano» a «Le conseguenze dell’amore»).
Inutile sprecare parole sulla pregnanza culturale di un simile viaggio, del resto ampiamente illustrata dai personaggi oggetto delle dediche. Piuttosto, voglio soffermarmi sui tre spettacoli teatrali che, secondo me, onorano al meglio la poetica di cui sopra: «Riccardo II», «Sette contro Tebe» e «Da Pirandello a Eduardo».
«Riccardo II», dato nel 1993 alla Galleria Toledo con la regia di Mario Martone, fu l’occasione per chiamare a raccolta e mandare in campo un’articolata e significativa comunità teatrale. E, al riguardo, mi sia consentito di ricordare la commozione che provai nel ritrovare – materializzati in quegli attori di due generazioni presenti sul palcoscenico: Enzo Salomone (Libera Scena Ensemble), Lucio Allocca, Mario Santella (Compagnia «Alfred Jarry»), Renato Carpentieri, Massimo Lanzetta e Lello Serao (Teatro dei Mutamenti) e Andrea Renzi, Licia Maglietta e Roberto De Francesco (Teatri Uniti) – trent’anni della mia vita, spessissimo trascorsi nelle piccole e semiclandestine sale della sperimentazione a far da levatrice nella nascita, appunto, di quei protagonisti di un teatro costruito, con intelligenza e coraggio, sulle ceneri delle neo-avanguardie.

Anna Bonaiuto in una scena di «Sette contro Tebe», regia di Mario Martone e Andrea Renzi

Anna Bonaiuto in una scena di «Sette contro Tebe», regia di Mario Martone e Andrea Renzi

«Sette contro Tebe», datato 1996 e allestito nella Sala Assoli con la regia ancora di Martone e di Andrea Renzi, metteva in scena un Eteocle che sembrava una sorta di Mladic in sedicesimo che s’ubriacava, rompeva in nevrotici scarti e addirittura organizzava insieme con gli avvinazzati commilitoni lo scherzo macabro della propria morte. Ma ecco che all’improvviso l’eco della guerra fratricida nell’ex Jugoslavia veniva sovrastato, apertasi la porta della Sala Assoli equiparata a una delle sette porte di Tebe, dall’urlìo dei Quartieri Spagnoli fatto di motorini e di sguaiati richiami da un basso all’altro. E si accoglieva così, con immediatezza persino feroce, l’acuta osservazione di Jean-Pierre Vernant: «Il vero personaggio dei “Sette” è la città, cioè i valori, i modi di pensare, gli atteggiamenti che essa impone».
Infine, «Da Pirandello a Eduardo» andai a vederlo nel 1997, in compagnia di Angelo Curti e di Toni Servillo, che firmava la regia, al Teatro Nacional S. Joao di Oporto. Si trattava di uno spettacolo composto da «L’uomo dal fiore in bocca» e «Sik-Sik, l’artefice magico». E non sarebbe stata possibile una migliore dimostrazione della volontà programmatica di Teatri Uniti di proiettarsi sul piano internazionale senza, con ciò, recidere il cordone ombelicale che legava la compagnia a Napoli. E il simbolo visivo di quel legame s’incarnò nelle sembianze di Alexandre Falcao, l’attore portoghese che interpretava Sik-Sik: era un autentico sosia di Eduardo.
Dunque, credo di poter concludere osservando che Teatri Uniti, pur avendo acquistato nel corso dei suoi primi trent’anni sempre diverse e più avanzate connotazioni, ha il merito ineguagliabile di non aver mai smarrito, e men che mai tradito, le motivazioni ideali e artistiche che dichiarò nella lontana mattina del 1987 in cui annunciò la sua nascita. Era questo che dimostrava Toni Servillo quando, in «Elvira», ripeteva il pensiero di Jouvet: «Recitare è l’arte di smuovere la propria sensibilità per trovare nuove voci, nuove strade, nuovi punti di partenza».

                                                                                                                                           Enrico Fiore

(«Corriere del Mezzogiorno», 30/6/2018)

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