Il dialogo? L’abbiamo sostituito con il comunicato

Renato Carpentieri in un momento de «La caduta», prima parte di «Una serata con Albert Camus »

Renato Carpentieri in un momento de «La caduta», prima parte di «Una serata con Albert Camus»

NAPOLI – È singolare che nel 1956, appena un anno prima di ricevere quel Premio Nobel che gli diede il massimo della visibilità e della riconoscibilità, Camus abbia pubblicato un romanzo, «La caduta», che costituisce, insieme con «Lo straniero», il massimo dell’ambiguità che lo connota come uomo e come scrittore.
Ho fatto innanzitutto questa considerazione mentre, nel giardino dell’Istituto Francese, assistevo alla prima parte di «Una serata con Albert Camus», il progetto di Renato Carpentieri presentato nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia e basato sugli adattamenti de «La caduta», per l’appunto, e de «Il malinteso». E altrettanto immediatamente mi son detto che, nel merito, forse bisogna riandare al Camus del saggio «Il mito di Sisifo».
Chi è il personaggio protagonista de «La caduta», questo Jean-Baptiste Clamence che, dopo una brillante carriera d’avvocato a Parigi, abbandona tutto, si ritira ad Amsterdam come un recluso e adesso rovescia sull’anonimo avventore di un lurido bar, il Mexico-City, l’intero campionario approntato dal veleno della sua cattiva coscienza?
Sarebbe troppo facile dire che si tratta di un uomo che s’è reso conto della sua colpa, quella di aver speso la vita nella falsità, e la confessa. In realtà, egli mette in campo una strategia tanto nascosta quanto decisa, che intende contagiare chi lo ascolta con lo stesso virus, appunto il virus della cattiva coscienza, che ha preso dimora dentro di lui. Per riassumere, Jean-Baptiste Clamence vuole che anche gli altri confessino la propria ipocrisia, e così, in breve, si libera del peso che gli grava sull’anima e sul cervello scaricandolo sul prossimo.
Ma occorre chiedersi: nel mettere in atto questa strategia Clamence è veramente sincero? E occorre considerare, di conseguenza, le varie risposte che a tale interrogativo hanno dato i principali fra gli studiosi di Camus.
C’è chi ha paragonato quel personaggio a un Tartufo moderno, che si presenta come un mostro per meglio esercitare il potere. C’è chi lo ha interpretato come il «portatore» di una satira contro il filosofo esistenzialista, giusta la rottura fra Camus e Sartre. E c’è, infine, chi ha visto in Clamence un commediante vero e proprio, in linea con la battuta relativa al motto della sua casa di Amsterdam («Non fidatevi») e la scritta sui suoi biglietti da visita («Jean-Baptiste Clamence, attore»).

Renato Carpentieri in un altro momento de «La caduta» nel giardino dell'Istituto Francese

Renato Carpentieri in un altro momento de «La caduta» nel giardino dell’Istituto Francese

Ebbene, proprio quest’ultima interpretazione rimanda, e con ben altre implicazioni, a «Il mito di Sisifo», opera, per suo conto, di non meno difficile lettura. L’assioma posto da Camus in quel saggio è che, dal momento che la vita è assurda, non resta che darsi ad attività che siano ugualmente assurde: come, per l’appunto, quella dell’attore, il quale sa benissimo che ciò che fa non è serio, ma lo fa proprio perché è l’unico modo di sentirsi vivo, ovvero parte integrante di un universo che a sua volta non è serio.
Forse abbiamo capito, allora, perché un attore come Renato Carpentieri ha scelto un testo quale «La caduta». Lui stesso, per tanti anni, è stato la «vox clamans in deserto» a cui allude il nome del personaggio di Camus. E adesso, dopo aver vinto il David di Donatello, si sente, fatte le debite proporzioni, nella medesima posizione in cui si sentì Camus dopo aver vinto il Nobel. In altri termini, leggo nella proposta di Carpentieri lo stesso appello circa il ruolo e la responsabilità dell’artista nell’ambito della società che lanciò Camus col discorso pronunciato, giusto, nel ricevere il Nobel.
Siamo, insomma, di fronte a un esempio eccellente di sottolineatura per contrasto. Carpentieri riafferma il primato della comunicazione significante e dello stile espressivo fondante proprio nel momento in cui porta in scena un testo da cui si effonde il nichilismo teorizzato da «Il mito di Sisifo» e che riscontriamo – vedi, per intenderci, le battute: «L’essenziale è poter andare in collera senza che l’altro abbia il diritto di rispondere» e «Al dialogo abbiamo sostituito il comunicato» – nelle pratiche sociali e culturali di oggi.
È per questo, dunque, che non ho bisogno di dire che Renato Carpentieri, nell’occasione adeguatamente affiancato dal violoncello di Federico Odling, è come al solito bravissimo. Con «Una serata con Albert Camus» – l’unica cosa, per contro, davvero seria che ho visto finora del Napoli Teatro Festival Italia – stabilisce, oltretutto, una continuità ideale con «Museum», la meritoria rassegna da lui organizzata insieme con Lello Serao e che, basata proprio sull’interscambio fra la letteratura e il teatro, finì perché, colpevolmente, le furono negati i fondi per poter proseguire.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Il dialogo? L’abbiamo sostituito con il comunicato

  1. Franco Valente scrive:

    Non ho visto la recensione de “Il malinteso”, uno spettacolo che meritava davvero di essere esaltato. Dimenticanza?
    Franco Valente

  2. Enrico Fiore scrive:

    No, semplicemente concomitanza con altri impegni: del che, naturalmente, mi son subito scusato col bravissimo Renato Carpentieri.
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *