Il viaggio del principe Pericle finisce in un ospedale psichiatrico

Da sinistra, Valentine Catzéflis, Christophe Grégoire e Camille Cayol in un momento di «Pericle, principe di Tiro» (foto di Patrick Baldwin)

Da sinistra, Valentine Catzéflis, Christophe Grégoire e Camille Cayol
in un momento di «Pericle, principe di Tiro» (foto di Patrick Baldwin)

NAPOLI – Prima di passare all’analisi dell’allestimento di «Pericle, principe di Tiro» che per la regia di Declan Donnellan la compagnia Cheek by Jowl ha presentato al Politeama nell’ambito dell’undicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia, faccio qualche breve considerazione circa il testo di Shakespeare.
Siamo di fronte a uno dei «romances», ossia dei drammi romanzeschi che caratterizzarono l’ultima fase creativa di Shakespeare: secondo taluni, anzi, «Pericle, principe di Tiro» sarebbe il primo dei «romances», e questo – insieme all’altra ipotesi avanzata dagli stessi filologi, che cioè i primi due atti e forse l’intera opera andrebbero attribuiti a un collaboratore del Bardo, George Wilkins – spiegherebbe le sue cadute di tono, i suoi impacci e le sue ricorrenti ingenuità, appunto tipiche di un momento «sperimentale». E comunque, sulla base di un intreccio straordinariamente complesso, sospeso fra l’improbabile e il fiabesco e ricalcato sulla storia di «Apollonio re di Tiro» secondo la versione dell’antico testo latino cantata da John Gower nel «Confessio Amantis», Shakespeare accenna qui la medesima «situazione» che, poi, «La tempesta», l’ultimo dei «romances», svolgerà compiutamente: Pericle, e così avverrà a Prospero, scopre che giusto nel Viaggio attraverso il dolore (e mille saranno le prove che gl’imporranno il mare, i tiranni e i negromanti, mentre finiranno l’una nel tempio di Diana e l’altra in un bordello di Mitilene la moglie Taisa e la figlia Marina da lui credute morte) sta l’unica strada per giungere alla Conoscenza e, quindi, alla pacificazione con se stesso e col mondo.
Ora, Donnellan conosce bene lo stretto rapporto che lega «Pericle, principe di Tiro» e «La tempesta». Se non altro perché conosce benissimo «La tempesta», di cui ha firmato due allestimenti: quello dato in «prima» mondiale a Taormina nel 1988 (fu lo spettacolo che fece conoscere in Italia il regista inglese e la sua compagnia, appunto la Cheek by Jowl) e quello dato nel 2011 proprio nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia. Ma sceglie, inopinatamente e del tutto infondatamente, di trasformare il Viaggio di Pericle (continuo a usare l’iniziale maiuscola perché, insisto, si tratta di un vero e proprio rito sapienziale) nel delirio di un malato ricoverato in un ospedale psichiatrico.
Ecco, quindi, che intorno al letto di quest’ultimo – nella stanza disegnata da Nick Ormerod, il fedele scenografo di Donnellan – s’affaccendano medici e infermieri che, alternativamente, agiscono come tali e come i personaggi del «romance» di Shakespeare: misurano la pressione, fanno iniezioni e addirittura infliggono la camicia di forza al nostro inedito (e assai malcapitato) Pericle mentre gli fanno adeguatamente (e piuttosto disordinatamente) da spalla appena lui si sveglia dal sonno comatoso indotto dai calmanti e attacca col racconto delle sue vicissitudini.
La trovata dà luogo, sostanzialmente, a una serie di pantomime dal tono in prevalenza comico, e con esiti che oscillano, poniamo, fra la svagata citazione della scena-simbolo di «Titanic», con Di Caprio e la Winslet allacciati sulla prua della nave, e la sequenza (oddio, una delle famigerate «provocazioni»?) in cui, nel bordello di Mitilene, Boult si masturba guardando una rivista pornografica dopo che inutilmente ha cercato di ottenere un pompino da Marina.
Non rimane, insomma, che annotare l’impegno e la bravura tecnica esibiti dagli attori francesi qui in campo, fra i quali son da citare almeno Christophe Grégoire, Camille Cayol e Valentine Catzéflis nei ruoli, rispettivamente, di Pericle, Taisa e Marina. Per il resto s’impone il solito interrogativo a cui ci costringono, fra malinconia e fastidio, troppe delle cosiddette «riletture» dei classici oggi dilaganti: perché? Va bene che parliamo, ripeto, di uno dei testi più deboli e controversi di Shakespeare (in locandina, infatti, ne viene attribuita la paternità tanto al Bardo quanto al predetto Wilkins), ma non gliel’aveva imposto il medico, a Donnellan, di mettere in scena proprio «Pericle, principe di Tiro».

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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