Quando il masochista viene scarrozzato in limousine

Francesco Aiello in un momento di «Confessioni di un masochista» (foto di Angelo Maggio)

Francesco Aiello in un momento di «Confessioni di un masochista» (foto di Angelo Maggio)

CASTROVILLARI – «Hai mai pensato a lui? Al fatto che anche lui, il capo, anche lui ha dei figli? Bimbi piccoli e indifesi, già. Perché la mamma, eh, la loro mamma è morta, che cosa triste. Non ti pare? E lui deve venire qui al lavoro. E lasciare a casa i suoi sei orfanelli. Sei! Sei orfani, di cui tre malati. Gravemente. Peste, colera, cancro. E lui se ne sta qui. A occuparsi di noi. Di noi tutti. Quante preoccupazioni, ogni giorno! Da un lato noi, dall’altro i suoi orfanelli. E tu gliene hai a male. Per delle cretinate».
È la battuta che, diventato vicesegretario del Partito, il personaggio protagonista, il Signor M., rivolge al commesso del supermercato Kaufland, venuto da lui a lamentarsi perché quel capo non vuol dargli le ferie. E mi sembra davvero la battuta-chiave, in quanto centra direttamente il cuore del testo – «Confessioni di un masochista», del quarantottenne drammaturgo e giornalista ceco Roman Sikora – presentato dalla compagnia Rossosimona nell’ambito della XIX edizione del festival «Primavera dei Teatri».
Qui, certo, si parte dall’elencazione puntigliosa di tutte le possibili o immaginabili pratiche (il «bondage», lo «spanking», il «tickling», il «tonfing»…) relative, giusto, al masochismo. Ma ci accorgiamo ben presto che il vero masochismo di cui parla il testo di Sikora – lo dico subito, ad un tempo intelligente e divertente, profondo ed agile – è l’atteggiamento di sottomissione che oggi soffoca la nostra vita, quella morale e psicologica prima che sociale e politica.
Attenzione, però: il pregio di «Confessioni di un masochista» sta nel fatto che questo tema non viene svolto per mezzo di un’analisi ancorata all’ideologismo, bensì attraverso un continuo slittamento di senso, spinto a sua volta sul terreno del paradosso e dell’iperbole surreale. Non a caso, il testo comincia e finisce con il Signor M. che protesta perché hanno calpestato la sua dignità, ma scopriamo subito che quella dignità consiste proprio nel piacere che a lui deriva dal sottomettersi.
Infatti, quando il Signor M. vince (contro un cinese!) la gara a chi produce di più (e la vince perché s’è dotato di una giornata lavorativa di quarantotto ore), diventa, sì, «un pezzo da esposizione», richiestissimo nei dibattiti e impegnatissimo a concedere autografi, ma poi sbotta: «Che me ne faccio, io, di trastullarmi sulla spiaggia? Di essere un nullafacente? Di farmi scarrozzare in limousine, cazzo? A me? ‘Sta roba qui? Non la voglio, non mi interessa».
Su questa strada Sikora arriva a una satira che più affilata non potrebb’essere. E succede, tanto per fare solo un esempio, con la sequenza in cui il capo del Kaufland informa il Signor M. che è stato scelto per rappresentare il supermercato «alle Olimpiadi delle Risorse. Umane, s’intende» e gli spiega: «Il tuo volo è domani. Per Singapore. Ti hanno scelto come la più grande testa di cazzo, la migliore. Sei quello che potrebbe farcela, sì. Tutte le più grandi aziende hanno scelto tra gli impiegati i loro coglionazzi migliori. Per mandarli laggiù. Con il patrocinio dell’Onu. E dell’Unicef, pure. Ma quello solo per gli Stati più sviluppati, dove i bambini hanno di nuovo, cioè, hanno il diritto di lavorare».
Persuade, rispetto a tutto questo, anche la regia di Francesco Aiello, che giustamente è fondata sul rapporto dialettico fra il tema dichiarato e quello effettivo. Sicché a un Signor M. che compare spesso al proscenio, vestito con il panciotto, la camicia e la cravatta grigi tipici del proverbiale «travet», corrisponde il «coro» di due «alter ego» in nero, col torace e le braccia nudi e un collare borchiato, ai quali viene affidato il tessuto dei riferimenti testuali al masochismo vero e proprio. Un ottimo esempio di sottolineatura per contrasto. Che si esalta addirittura quando al termine i tre scaraventano in terra, alla ribalta, un pupazzo con la faccia di Gramsci.
Notevole, infine, la prova fornita dagl’interpreti: lo stesso Francesco Aiello, nel ruolo del Signor M., Alessandro Cosentini e Francesco Rizzo. E insomma, uno spettacolo da vedere.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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