CASTROVILLARI – «Hai mai pensato a lui? Al fatto che anche lui, il capo, anche lui ha dei figli? Bimbi piccoli e indifesi, già. Perché la mamma, eh, la loro mamma è morta, che cosa triste. Non ti pare? E lui deve venire qui al lavoro. E lasciare a casa i suoi sei orfanelli. Sei! Sei orfani, di cui tre malati. Gravemente. Peste, colera, cancro. E lui se ne sta qui. A occuparsi di noi. Di noi tutti. Quante preoccupazioni, ogni giorno! Da un lato noi, dall’altro i suoi orfanelli. E tu gliene hai a male. Per delle cretinate».
È la battuta che, diventato vicesegretario del Partito, il personaggio protagonista, il Signor M., rivolge al commesso del supermercato Kaufland, venuto da lui a lamentarsi perché quel capo non vuol dargli le ferie. E mi sembra davvero la battuta-chiave, in quanto centra direttamente il cuore del testo – «Confessioni di un masochista», del quarantottenne drammaturgo e giornalista ceco Roman Sikora – presentato dalla compagnia Rossosimona nell’ambito della XIX edizione del festival «Primavera dei Teatri».
Qui, certo, si parte dall’elencazione puntigliosa di tutte le possibili o immaginabili pratiche (il «bondage», lo «spanking», il «tickling», il «tonfing»…) relative, giusto, al masochismo. Ma ci accorgiamo ben presto che il vero masochismo di cui parla il testo di Sikora – lo dico subito, ad un tempo intelligente e divertente, profondo ed agile – è l’atteggiamento di sottomissione che oggi soffoca la nostra vita, quella morale e psicologica prima che sociale e politica.
Attenzione, però: il pregio di «Confessioni di un masochista» sta nel fatto che questo tema non viene svolto per mezzo di un’analisi ancorata all’ideologismo, bensì attraverso un continuo slittamento di senso, spinto a sua volta sul terreno del paradosso e dell’iperbole surreale. Non a caso, il testo comincia e finisce con il Signor M. che protesta perché hanno calpestato la sua dignità, ma scopriamo subito che quella dignità consiste proprio nel piacere che a lui deriva dal sottomettersi.
Infatti, quando il Signor M. vince (contro un cinese!) la gara a chi produce di più (e la vince perché s’è dotato di una giornata lavorativa di quarantotto ore), diventa, sì, «un pezzo da esposizione», richiestissimo nei dibattiti e impegnatissimo a concedere autografi, ma poi sbotta: «Che me ne faccio, io, di trastullarmi sulla spiaggia? Di essere un nullafacente? Di farmi scarrozzare in limousine, cazzo? A me? ‘Sta roba qui? Non la voglio, non mi interessa».
Su questa strada Sikora arriva a una satira che più affilata non potrebb’essere. E succede, tanto per fare solo un esempio, con la sequenza in cui il capo del Kaufland informa il Signor M. che è stato scelto per rappresentare il supermercato «alle Olimpiadi delle Risorse. Umane, s’intende» e gli spiega: «Il tuo volo è domani. Per Singapore. Ti hanno scelto come la più grande testa di cazzo, la migliore. Sei quello che potrebbe farcela, sì. Tutte le più grandi aziende hanno scelto tra gli impiegati i loro coglionazzi migliori. Per mandarli laggiù. Con il patrocinio dell’Onu. E dell’Unicef, pure. Ma quello solo per gli Stati più sviluppati, dove i bambini hanno di nuovo, cioè, hanno il diritto di lavorare».
Persuade, rispetto a tutto questo, anche la regia di Francesco Aiello, che giustamente è fondata sul rapporto dialettico fra il tema dichiarato e quello effettivo. Sicché a un Signor M. che compare spesso al proscenio, vestito con il panciotto, la camicia e la cravatta grigi tipici del proverbiale «travet», corrisponde il «coro» di due «alter ego» in nero, col torace e le braccia nudi e un collare borchiato, ai quali viene affidato il tessuto dei riferimenti testuali al masochismo vero e proprio. Un ottimo esempio di sottolineatura per contrasto. Che si esalta addirittura quando al termine i tre scaraventano in terra, alla ribalta, un pupazzo con la faccia di Gramsci.
Notevole, infine, la prova fornita dagl’interpreti: lo stesso Francesco Aiello, nel ruolo del Signor M., Alessandro Cosentini e Francesco Rizzo. E insomma, uno spettacolo da vedere.
Enrico Fiore