Milly, il volo di una voce dal varietà a Brecht e a Strehler

Gennaro Cannavacciuolo in un momento di «Il mio nome è Milly»

Gennaro Cannavacciuolo in un momento di «Il mio nome è Milly», presentato alla Sala Ferrari

NAPOLI – «Mutandine di chiffon, / sentinelle, sentinelle del pudor, / difendete con ardor / la trincea della virtù. / Ma succede in guerra ognor / che ogni cosa cade e muor, / mentre voi, se v’abbassate, / qualche cosa risvegliate». «So tutto delle tue magie / tu della mia intimità. / Sapevo delle tue bugie / tu delle mie tristi viltà». «Ora vivo sul lungofiume / passeggiando ogni notte su e giù. / Se mi guardo allo specchio mi vedo / come avessi quarant’anni e anche di più».
Sono, nell’ordine, versi di «Mutandine di chiffon», appunto, de «La canzone dei vecchi amanti» e di «Surabaya Johnny»: andiamo, dunque, dagli ingenui doppi sensi del varietà anni Venti al musical urticante («Happy End») targato Brecht-Weill, passando per l’errabonda poesia di Jacques Brel. E ricordate chi è stato capace di cantare generi e hits tanto diversi fra loro con lo stesso impegno professionale, lo stesso coinvolgimento emotivo e la stessa precisione tecnica? Se non lo ricordate, o semplicemente non lo sapete, a colmare la vostra lacuna ci pensa uno spettacolo presentato, purtroppo per soli due giorni, alla Sala Ferrari.
Ecco il suo attacco. L’interprete entra e, appoggiato a una quinta, canta «La signora di trent’anni fa»: «Ricordo il primo bacio che vi ho dato / tremando di emozione e di passion, / un bacio lieve, timido, posato / tra quei capelli corti alla garçon. / Poi vi condussi… non ricordo dove / e mi diceste… non ricordo più. / Nel millenovecentodiciannove / vi chiamavate»… pausa, e poi: «Milly. Carla Mignone in arte Milly. Classe 1905. Charme, talento, intelligenza. Trasgressiva, mai banale, sfacciatamente moderna».
Già, parliamo di «Il mio nome è Milly», il ritratto (e lo dico subito: grato, commosso, fedele, appassionato, elegante, sapiente, trascinante) che Gennaro Cannavacciuolo disegna di colei che, fra musica e teatro, fu una delle interpreti – e, meglio, delle personalità – più significative che abbiano calcato le scene italiane e internazionali.

Un altro momento di «Il mio nome è Milly», presentato alla Sala Ferrari

Gennaro Cannavacciuolo in un altro momento di «Il mio nome è Milly»

Lo spettacolo racconta, naturalmente, le tappe salienti della vita dell’artista: l’impiego in una ditta che confezionava impermeabili, il lavoro come cassiera e il debutto come cantante al teatro Iris di Torino, l’incontro col principe Umberto (ogni sera le faceva arrivare in camerino una corbeille di rose a forma di cuore alta quanto lei), le lettere disperatamente infuocate di uno studente che si chiamava Cesare Pavese («[…] via, almeno una sua parola buona: tanto poco le costa. Nulla posso pretendere di più. E lei, che è tanto diversa dal mondo che la circonda, nei gesti, nello slancio limpido della sua arte, in tutta la sua vita, non mi dovrebbe negare almeno questo…una sua parola, almeno, mi è necessaria, come a lei è necessaria la musica per creare il suo sogno vivo. Mi risponda per pietà, signorina»), l’amicizia con Vittorio De Sica, il trasferimento per dodici anni negli States, Strehler che la chiama per affidarle il ruolo di Jenny delle Spelonche ne «L’opera da tre soldi», la partecipazione come ospite fisso al programma Studio Uno condotto da Mina…
Ma, s’intende, sono le canzoni che cantò Milly il pezzo forte e l’autentica spina dorsale dello spettacolo: da «Le rose rosse» a «Era nata a Novi», da «Donna e giornale» a «Chi siete?», da «Cara piccina» a «Stramilano», da «Milord» a «La valse à mille temps», da «Si fa ma non si dice» a «Ma l’amore no». E non manca il canto del lager da «L’istruttoria» di Peter Weiss, che Milly accettò subito d’interpretare, con coraggio e adesione ideologica, appena nel 1967 il celebre testo arrivò in Italia dalla Germania.
La faccio breve, infine, circa la prova straordinaria che Gennaro Cannavacciuolo fornisce in quanto interprete. Gli basta un semplice oggetto d’abbigliamento (un boa di struzzo, scarpe coi tacchi a spillo, una borsetta…) per diventare Milly senza cessare di essere Gennaro Cannavacciuolo. È l’applicazione perfetta della regola che, per l’appunto in una nota a «L’opera da tre soldi», dettò Bertolt Brecht: «L’attore non deve soltanto cantare, deve anche mostrare uno che canta». E in più, Cannavacciuolo ci mette l’eco di altre grandi interpretazioni femminili delle stesse canzoni adottate da Milly. Per esempio, ripete, nell’accingersi a cantare «La canzone dei vecchi amanti», le parole che pronunciava Milva nell’identica circostanza: «Il poeta Louis Aragon dice che non esiste un amore felice, che non c’è amore che non viva di pianto».
Lo spettacolo termina con la citazione del desiderio spesso manifestato da Milly («Vorrei morire cantando, perché solo in teatro sento di avere quei vent’anni che nella vita non ho avuto mai») e la registrazione della stessa Milly che canta: «Gli anni sono andati, / non torneranno più. / La mia commedia ormai / da sola finirò».
Ma, lo abbiamo visto, non è finita, quella commedia. Si spegne la voce di Milly e le subentra la voce di Gennaro Cannavacciuolo che canta senza musica: «Ho ancora una canzone, / ma non la canterò / perché il gusto della vita / non lo ritroverò». Noi, invece, tramite lui, la sua raffinata presenza attorale e il suo impavido sentimento umano, ritroviamo almeno il gusto di un’epoca in cui il teatro non era soltanto commercio. E dunque, per chiudere, un grazie a Sasà Ferrari, che ha ospitato «Il mio nome è Milly», e uno schiaffo ai gestori delle sale napoletane che l’hanno rifiutato, aggiungendo un’ulteriore vergogna alle tante che marchiano la vita precaria del teatro in questa città.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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2 risposte a Milly, il volo di una voce dal varietà a Brecht e a Strehler

  1. Antonia Lezza scrive:

    Condivido in pieno le osservazioni di Enrico Fiore. Aggiungerei che Gennaro Cannavacciuolo riesce a “raccontare” un personaggio come Milly non famosissimo oggi. E questa è una prova di grande talento e di coraggio.
    Antonia Lezza

  2. Enrico Fiore scrive:

    Proprio così: Antonia Lezza ha sintetizzato benissimo la sostanza della prova fornita da Gennaro Cannavacciuolo. E non occorrono altre parole, salvo augurarci che “Il mio nome è Milly” possa tornare presto a Napoli, e per un numero di repliche maggiore.
    Enrico Fiore

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