«La strana coppia» scoppia. E con essa lo spettacolo

NAPOLI – Oscar Madison e Felix Ungar, il primo divorziato già da qualche tempo e il secondo in procinto di diventarlo, decidono di vivere insieme. All’inizio, per la verità, Oscar ospita l’amico d’infanzia nel proprio appartamento della newyorkese Riverside Drive – sede, il venerdì sera, di un poker che riunisce anche altri amici alle prese con disagi matrimoniali vari – soltanto perché teme che, non ancora abituato alla sua nuova condizione di scapolo in forza di legge, possa commettere qualche sciocchezza. Deve subito dopo accorgersi, però, che Felix è un tipo fanaticamente possessivo: infatti, s’impadronisce letteralmente della casa e della vita privata dell’amico-ospite e diventa per lui cuoca, cameriera e balia. Insomma, una pignolissima e tradizionalissima moglie.
Ma sì, «La strana coppia» di Neil Simon. La celeberrima commedia, datata 1965, è stata – fra teatro e cinema – il banco di prova di alcuni fra i più dotati e popolari mattatori: a parte il film con Jack Lemmon e Walter Matthau, basta citare, per quanto riguarda l’Italia, l’interpretazione che ne diedero gl’indimenticabili Renato Rascel e Walter Chiari e, nella stagione ’86-’87, la sua versione al femminile, protagoniste impagabili Monica Vitti e Rossella Falk per la regia, non meno irresistibile, di una signora che si chiama Franca Valeri.
Ora, se c’è qualcuno che ricorda tutto questo, si guardi bene dall’andare all’Augusteo, dove viene proposta, con la regia di tale Antonio Mastellone, giustappunto la versione al femminile de «La strana coppia», con Claudia Cardinale e Ottavia Fusco nei ruoli, rispettivamente, della Fiorenza e dell’Olivia che hanno preso il posto di Felix e Oscar. Probabilmente è lo spettacolo più brutto che io abbia mai visto, nei miei oltre cinquant’anni di attività professionale. Anzi, non è nemmeno brutto, puramente e semplicemente non è. E di conseguenza non posso recensirlo, poiché, evidentemente, non si può recensire il nulla.
Per non perdere ulteriore tempo, aggiungo solo che, si capisce, siamo di fronte a una banalissima operazione commerciale, che utilizza il nome della Cardinale come il proverbiale specchietto per le allodole/spettatori. E che questo sia lo scopo dei produttori, tali Rosario Imparato e Mario Minopoli, è dimostrato dal fatto che non si sono preoccupati neppure di far scattare qualche foto dello spettacolo, né di fornire ai giornalisti l’elenco personaggi/interpreti. Inutilmente ho richiesto le une e l’altro all’addetto stampa dell’Augusteo, Marco Calafiore. E venivo dal Piccolo di Milano, dove, quando sono arrivato al botteghino in occasione della rappresentazione di «The Year of Cancer», ho trovato pronti per me il programma di sala e, in una busta chiusa, la traduzione del testo, che già mi era stato spedito in inglese una settimana prima. Poi c’è ancora qualche imbonitore da quattro soldi che continua a blaterare che Napoli è la capitale del teatro italiano.
Un’ultima cosa. Nemmeno sul piano commerciale lo spettacolo in questione sembra funzionare. Ieri sera (e sì che il sabato è un giorno teatrale per eccellenza) l’Augusteo era semivuoto. E non pochi dei già pochi spettatori presenti hanno abbandonato la sala alla fine del primo tempo. Son rimasti sino al termine solo la tristezza e l’avvilimento.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

2 risposte a «La strana coppia» scoppia. E con essa lo spettacolo

  1. Gianna Nicoletti scrive:

    Gentile Sig. Fiore,
    mi complimento con il Suo scritto. NON NE POSSIAMO PIU’, VERAMENTE, delle oscenità proposte a Napoli (e non solo).
    Ormai, in questa ex-città della cultura, vigono solo filoni: i giri “classici” o pseudo-classici, non necessariamente sinonimi di qualità, ed accessibili solo a chi è politicamente “accreditato” (in primis il filone capeggiato da certo De F…); e il teatro “commerciale”, per lo più fatto da “barzellettai”, da “nomi” cine-televisivi presi in prestito ai vari cine-panettoni del momento.
    A chi ama la cultura (anzi, Le suggerisco di scrivere qualcosa su cosa si debba intendere per “cultura”, visto che i film tristemente comici di Verdone sono ormai anch’essi definiti, per l’appunto, cultura) e il vero teatro occorre prendere il treno e andare a Roma, Milano o Venezia.
    Amen.
    Gianna Nicoletti

  2. Enrico Fiore scrive:

    La ringrazio dei complimenti, gentile Signora Nicoletti. Ma mi creda, è sempre più difficile e faticoso, per me, commentare la penosa “impasse” da Lei descritta con tanta precisione e giustissima indignazione. Mi aiuta non poco la consapevolezza che, come dimostra il Suo commento, non sono il solo a manifestare dissenso circa la fallimentare gestione del teatro nella nostra città.
    Voglia gradire, insieme con un rinnovato grazie, i miei più cordiali saluti.
    Enrico Fiore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *