Addio ad Arnoldo Foà, la voce del teatro italiano

Arnoldo Foà

Arnoldo Foà

Arnoldo Foà, o della voce. Potrebb’essere questa la definizione sintetica del patriarca della scena italiana, spentosi ieri a Roma a quasi novantotto anni: perché, oltre ogni dubbio, furono il timbro profondo e l’intonazione ad un tempo virile e sobria le caratteristiche decisive dell’attore Foà. Ma un’altra definizione s’impone accanto a questa, sotto specie di una parafrasi del celebre motto di Alfieri: volli, sempre volli, fortissimamente volli recitare.
Infatti – espulso nel ’38, a causa delle leggi razziali, dal Centro sperimentale di cinematografia, dov’era entrato dopo aver frequentato a Firenze la scuola di recitazione «Luigi Rasi» – il giovane Arnoldo, ferrarese classe 1916, non si arrese. Continuò sostituendo, sotto falso nome, i colleghi che si ammalavano. Come dire una recitazione al quadrato. E fu la base della sua ascesa, che cominciò quando, a partire dal ’45, interpretò in rapida successione «La brava gente» di Shaw, «Delitto e castigo» da Dostoevskij e, con la regia di Visconti, «La luna è tramontata» di Steinbeck.
Peraltro, basterebbero questi tre titoli a dar conto delle più che variegate esperienze compiute da Foà nella sua lunghissima carriera. Tanto per intenderci prestò la voce ad autori quali Shakespeare, Anouilh, Turgenev, Pirandello, Sauvajon, Hemingway, Goldoni, Caldwell, Caro, Claudel, Gogol, D’Annunzio, Feydeau, Cechov e Hugo, giù giù fino all’«Aminta» di Tasso interpretata nel ’94, a settantotto anni, sotto la guida di Luca Ronconi. E questo senza dimenticare, naturalmente, i classici antichi: Eschilo, Sofocle ed Euripide da una parte e Aristofane e Plauto dall’altra.
Insomma, l’alfa e l’omega del teatro, dal tragico più alto all’intrattenimento «boulevardier». E grande popolarità, nel contempo, venne a Foà dalla partecipazione a sceneggiati televisivi come «Piccole donne», «Capitan Fracassa», «L’isola del tesoro» e «Le cinque giornate di Milano». Mentre, a testimonianza della sua non meno significativa carriera cinematografica, sarà sufficiente ricordare «Altri tempi» di Blasetti, «Il processo» di Welles e «Il sorriso del grande tentatore» di Damiani.
Allo stesso modo, e per tornare alla straordinaria voce di Foà, esercitata anche nel ruolo di doppiatore, è sufficiente ricordare che del lorchiano «Llanto por Ignacio Sánchez Mejías», inciso per la Fonit Cetra, si vendettero più di un milione di copie. La consacrazione ufficiale dell’Arnoldo Foà attore giunse, comunque, nella stagione ’53-’54, quando interpretò al Piccolo di Milano la parte di Cassio nel «Giulio Cesare» diretto da Strehler. Ma – come proprio Foà ha raccontato, nell’autobiografia relativa ai suoi primi sessant’anni di teatro e per l’appunto intitolata «Recitare» – l’incontro finì male. A Strehler che, insistendo su un’idea da lui non condivisa, gli aveva detto: «Il regista sono io», Foà non si peritò di replicare: «L’attore sono io».
I due non lavorarono mai più insieme. E valga l’episodio a dimostrare che la voce preziosa di Foà era seconda solo al suo carattere difficile e alla sua autostima intransigente. Come autore (scrisse fra l’altro «Signori, buonasera», «Il testimone» e «La corda a tre capi») e regista, lui era di gran lunga inferiore all’attore. Ma si ostinò, soprattutto in quanto regista, a sostenere determinate scelte, opinabilissime, al di là di ogni ragionevole motivo.
Penso a «Diana e la Tuda». Il testo, non a caso il meno rappresentato di Pirandello, è oppresso da un manierismo irrimediabile. Ma Foà s’intestardì a considerarlo un’opera «perfetta», tanto che lo mise in scena ben tre volte, e l’ultima – giusto per celebrare, nel ’99, i suoi sessant’anni di teatro – nel quadruplice ruolo di protagonista, regista, scenografo e costumista. Salvo affidare la parte capitale di Tuda a Giada Desideri, fino ad allora nota solo come interprete di «Un posto al sole».
Del resto, le impuntature di Foà sono piuttosto note: prima fra tutte quella che nel ’94 lo portò, in polemica col fisco e con l’Italia, a vendere ogni suo bene e a ritirarsi alle Seychelles a far la vita del pensionato. I funerali, laici, si svolgeranno domani in Campidoglio, dove l’attore era stato festeggiato al compimento dei novantacinque anni.

                                                                                                                           Enrico Fiore

(«Il Mattino», 12 gennaio 2014)

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