«Isso, essa e ‘o malamente» immigrati in Kyrolo

Da sinistra, Fulvio Cauteruccio, Antonella Questa e Ciro Masella in un momento di «Alpenstock» (le foto che illustrano l'articolo sono di Stefano Cantini)

Da sinistra, Fulvio Cauteruccio, Antonella Questa e Ciro Masella in «Alpenstock» (foto di Stefano Cantini)

FIRENZE – Appena entra in casa, tornando dal lavoro, Fritz dice alla moglie Grete: «Patatina mia! Hai passato un’ottima giornata?». E come si vede non è una domanda, è l’affermazione della certezza di ciò che dev’essere. La giornata di Grete dev’essere stata ottima perché l’ha passata a pulire coscienziosamente la casa, perché, dunque, lei s’identifica perfettamente con l’aspirapolvere, lo straccio e lo spolverino che la didascalia iniziale le assegna quali «armi». Infatti, dichiara: «Appena si alza il sole, parto in guerra contro lo sporco straniero che si introduce nelle case. Tutto il giorno, strofino e pulisco perché il mio gentile marito ritrovi una casa sana dopo la sua giornata di lavoro».
Ottima, del resto, è stata anche la giornata di Fritz, che Grete chiama «topino». Racconta alla moglie: «Tutti i formulari passati tra le mie mani, li ho riempiti uno ad uno e timbrati fino all’ultimo. Alla fine erano un mucchio talmente alto che mi è venuto spontaneo pensare alle montagne immacolate del nostro bel Kyrolo». E più avanti aggiungerà: «Un paese pulito! Un paese pulito è innanzitutto un paese culturalmente radicato nelle proprie tradizioni nazionali. Ordine, silenzio e pulizia! Ordine, silenzio e pulizia sono le tradizionali mammelle culturali del nostro amato paese e dobbiamo lottare contro la contaminazione delle tradizioni straniere improprie ai nostri criteri nazionali».
Parliamo di «Alpenstock», l’atto unico in undici scene del francese Rémi De Vos che la compagnia Pupi e Fresedde presenta al Teatro di Rifredi nella traduzione di Antonella Questa e per la regia di Angelo Savelli. E credo che i passi del testo citati bastino e avanzino a dire di che cosa si tratta. Fritz e Grete, che abitano in un’amena località alpina dell’immaginario ma riconoscibilissimo Kyrolo, sono due campioni adamantini del razzismo a denominazione d’origine controllata: e il pregio rilevante di «Alpenstock» sta nel fatto che, come avrete capito, si rivelano tali attraverso una serie ininterrotta di slittamenti di senso progressivi. Giuste le battute di cui sopra, l’ossessiva pulizia della casa da parte di Greta e la maniacale dedizione alle scartoffie del suo ufficio da parte di Fritz finiscono, in breve, a costituire una plateale allegoria della psicosi dell’invasione dei «diversi» e un’eclatante summa degli stereotipi riguardanti gl’immigrati.

Fulvio Cauteruccio e Antonella Questa in un'altra scena di «Alpenstock» (foto di Enrico Gallina)

Fulvio Cauteruccio e Antonella Questa in un’altra scena di «Alpenstock» (foto di Enrico Gallina)

Potete intuire, quindi, che cosa succede quando, improvvisamente, piomba in casa del «topino» e della «patatina» in questione tale Yosip Karageorgevitch Assanachu, d’improbabile nazionalità «balcano-carpato-transilvana». In assenza di Fritz, prima dice a Grete: «Le donne che passano il loro tempo a far le pulizie hanno una vita interiore infinitamente più grande degli altri», poi le bacia la mano e infine la possiede. E la «patatina» non aspettava altro, perché, come avrà modo d’informarci, il «topino» passa le lunghe serate d’inverno alimentando il fuoco nel camino, ma «non gli viene il pensiero di alimentare il mio caminetto personale». E aggiunge, Grete: «Ho pensato spesso che Fritz avesse dell’amore un’idea riduzionista e che la sua maniera soddisfatta di timbrare formulari sul posto di lavoro si riproponesse quotidianamente nella cornice del letto coniugale».
Naturalmente, nel momento in cui il balcano-carpato-transilvano possiede Grete, entra Fritz e lo ammazza con un colpo di piccozza sulla testa. Ma Yosip muore solo temporaneamente. Tornerà più volte, e ogni volta Fritz tornerà ad ammazzarlo, con un’ascia, una Luger (la pistola dei nazisti!…), una mannaia da macellaio, una frusta piena di chiodi, un cordone, un lanciafiamme, una Vergine di Norimberga, una fionda, una siringa piena di veleno, una sedia elettrica, un ombrello bulgaro, una padella piena di funghi velenosi e un bazooka. E a me è tornato in mente il patito che, nell’irresistibile parodia della sceneggiata creata da Vittorio Marsiglia, «Isso, essa e ‘o malamente», faceva ripetere a «isso», cioè al buono, l’ammazzamento di «’o malamente», il cattivo, raccomandandogli: «Uccidilo lentamente!».
Troveranno così il loro equilibrio e la loro serenità, Grete e Fritz: lei concedendosi gioiosa ai balcano-carpato-transilvani (dopo Yosip arriveranno anche i suoi innumerevoli cugini) e lui ammazzando altrettanto gioiosamente quegli «elementi contro-natura» che hanno ridotto il mondo a «una pattumiera». Ed è assolutamente inutile, a questo punto, sottolineare che De Vos – fra i principali drammaturghi odierni d’oltralpe, e non a caso tradotto in ben quindici lingue – ricorre, per sviluppare il suo tema, appunto quello del razzismo, a una strenua sottolineatura per contrasto, mercé, come s’è visto, una comicità nello stesso tempo surreale, paradossale e agghiacciante.
Dal canto suo, la regia di Angelo Savelli, agile e precisa insieme, punta, ovviamente, da un lato a moltiplicare il potenziale comico del testo (vedi l’immissione nella «colonna sonora» di hits gaglioffi come «La postina della Val Gardena» e «Vecchio scarpone», a parte, s’intende, qualche accenno alla musica zigana balcanica e al proverbiale yodel) e dall’altro a rimarcare l’iperbole simbolica messa in campo da De Vos (vedi quell’aspirapolvere che, lasciato a lungo in bella mostra, diventa persino un attaccapanni). Senza contare i manichini di Yosip morto che a mano a mano invaderanno la scena.
Il resto, com’è non meno ovvio, si affida alla bravura degl’interpreti: la stessa Antonella Questa (Grete), Ciro Masella (Fritz) e Fulvio Cauteruccio (Yosip). E insomma, continua il prezioso lavoro che il Teatro di Rifredi va svolgendo in favore della drammaturgia contemporanea, con una particolare e lodevolissima attenzione rivolta agli autori (appunto De Vos ne è un esempio) affermati all’estero ma poco o per niente noti in Italia.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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