Lettere dal nazismo, spostamenti progressivi dell’aberrazione

Da sinistra, Rosario Tedesco e Nicola Bortolotti in un momento di «Destinatario sconosciuto» (le foto che illustrano l'articolo sono di Antonella D'Arco)

Da sinistra, Rosario Tedesco e Nicola Bortolotti in un momento di «Destinatario sconosciuto»
(le foto che illustrano l’articolo sono di Antonella D’Arco)

NAPOLI – Spostamenti progressivi dell’aberrazione. Si potrebbe definire così, con una parafrasi del titolo del celebre film di Robbe-Grillet, «Spostamenti progressivi del piacere», il romanzo breve di Katherine Kressmann Taylor, «Destinatario sconosciuto», in scena ancora oggi pomeriggio al Nuovo Teatro Sanità in un adattamento firmato da Rosario Tedesco e prodotto dal Goethe Institut di Napoli.
Pubblicato per la prima volta nel 1938 dalla rivista newyorkese «Story» e tornato alla ribalta dopo un lungo silenzio, nel 1995, con una nuova edizione americana, questo romanzo, ambientato nel periodo 1932-’34, verte sullo scambio di lettere fra l’ebreo Max Eisenstein e il cristiano Martin Schulse. Amici fraterni, gestiscono insieme una galleria d’arte a San Francisco. Ma, ad un certo punto, Martin decide di tornare con la famiglia in Germania, precisamente a Monaco; e da quel momento, a poco a poco l’amicizia fra i due s’incrina, fino a spezzarsi quando Martin aderisce al nazismo. E il pregio del libro sta, come anticipavo, nella sagace strategia con cui la Kressmann Taylor dissemina segnali che sembrano innocui e, invece, sono annunci via via più allarmanti di quanto di grave si verificherà in seguito.
Al riguardo, faccio un solo esempio. Nella lettera a Max datata 25 marzo 1933 Martin scrive, fra l’altro: «Ecco come fare felice una moglie, Max: tenerla così impegnata coi bambini in modo che non abbia il tempo di lamentarsi». Ma non si tratta di una qualsiasi sortita maschilista. È, al contrario, l’anticipo di ciò che Martin affermerà nella lettera datata 18 agosto 1933: «La Germania ha rialzato la testa davanti a tutte le nazioni del mondo e seguirà il suo glorioso Führer verso la vittoria».
Tuttavia, «Destinatario sconosciuto» non è soltanto l’inquietante prefigurazione dell’orrore nazista di cui si è parlato. È molto di più. Max e Martin si rivelano come le due facce di una stessa medaglia: quella del capitalismo che fu, per l’appunto, padre del nazismo. Giacché il fanatismo ideologico di Martin corrisponde perfettamente al cinismo commerciale di Max. Quest’ultimo non esita a dichiarare, nella lettera datata 21 gennaio 1933: «Se non avessi venduto quell’orrore (una bruttissima Madonna, n.d.r.) alla signora Fleshman, qualcuno gliene avrebbe rifilato uno peggiore. È inevitabile, e dobbiamo accettarlo». E anche qui, siamo di fronte a un anticipo: quello della crudele imperturbabilità con cui, dopo che la sorella Griselle è stata uccisa dalle SA senza che Martin abbia mosso un dito per salvarla, Max snocciola allo stesso Martin le cifre delle loro transazioni d’affari e, addirittura, gli raccomanda di non dimenticare il compleanno della nonna.

Un altro momento di «Destinatario sconosciuto», in scena ancora oggi al Nuovo Teatro Sanità

Un altro momento di «Destinatario sconosciuto», in scena ancora oggi al Nuovo Teatro Sanità

Ebbene, la regia dello spettacolo in scena al Nuovo Teatro Sanità, firmata dallo stesso Rosario Tedesco, illustra e sottolinea tutto questo come meglio non si sarebbe potuto. A partire dal fatto che subito, appena inizia la rappresentazione, Max e Martin tirano fuori, esibendole orgogliosi, l’uno la bandierina degli Stati Uniti e l’altro quella della Germania: per dimostrare in maniera eclatante e inequivocabile che non esistono in quanto persone, ma solo in quanto proiezioni dei rispettivi nazionalismi.
Ma, poi, è decisiva l’invenzione di Tedesco in cui si traduce quest’avvio. Di solito, a interpretare i romanzi epistolari portati sul palcoscenico sono attori che si limitano a dar voce alle lettere che si scambiano i propri personaggi stando immobili dietro un leggìo. Qui, invece, gli attori – mentre pronunciano le parole di quelle lettere – interagiscono fra loro dal vivo: sicché ci troviamo di fronte alla parola che diventa corpo, e questo passaggio fa in modo che l’orrore da significato si trasformi in significante, così sprigionando tutt’intero il suo potenziale malefico.
Allo stesso modo funziona la colonna sonora, affidata all’ensemble vocale del Conservatorio San Pietro a Majella diretto da Carlo Mormile. Comprende, nell’ordine, i brani «Bona Nox» di Mozart, «La Biche» di Hindemith e «Wiegala» di Ilse Weber, disegnando, dunque, un tracciato, anch’esso in progress, che parte dalla spensieratezza goliardica della Germania di prima del nazismo, passa per la censura esercitata dal nazismo medesimo attraverso il conio dell’espressione infamante «Entartete Musik (Musica degenerata)» e approda ai campi di concentramento in cui finì, per l’appunto, l’ebrea Weber. E i componenti del coro, questo è il punto, stanno in sala confusi tra gli spettatori, di modo che, quando salgono sul palcoscenico, determinano l’effetto di un’entrata nel cuore dell’azione, quasi fosse l’eco delle parole pronunciate dagli attori e, perciò, un’estensione di quelle oltre se stesse.
Ottima, infine, anche la prova di Rosario Tedesco in quanto interprete nel ruolo di Max. E lo affianca con altrettanta efficacia Nicola Bortolotti nella parte di Martin. Non rimane, allora, che salutare con grande soddisfazione il fatto che si siano unite, a produrre un risultato del genere, tre delle più meritevoli istituzioni culturali di questa per molti altri versi egocentrica e distratta città: appunto, il Goethe Institut, il Conservatorio San Pietro a Majella e il Nuovo Teatro Sanità. Speriamo che sia un viatico per l’avvenire.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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