Teatri Uniti dentro lo Stabile di Napoli?

Da sinistra, Toni Servillo, Antonio Neiwiller e Mario Martone, le punte di diamante di Teatri Uniti

Da sinistra, Toni Servillo, Antonio Neiwiller e Mario Martone, le punte di diamante di Teatri Uniti

NAPOLI – Riporto qui il commento, pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno», circa alcune dichiarazioni importanti rilasciate a «la Repubblica» da Angelo Curti.

Mentre, insieme con Maria Savarese, sta lavorando all’allestimento della mostra «Trent’anni Uniti», che il Napoli Teatro Festival Italia ospiterà dall’8 giugno a Palazzo Reale, Angelo Curti ha rilasciato a Ilaria Urbani, de «la Repubblica», un’ampia intervista in cui, fra l’altro, ha detto due cose importanti, e importanti perché fra loro complementari.
Alla domanda: «Dopo trent’anni ormai al Mercadante sarebbe arrivato il momento di Teatri Uniti e Toni Servillo? La direzione di Luca De Fusco scade nel dicembre 2019…», ha risposto, cito testualmente da «la Repubblica», quanto segue: «È un’evoluzione possibile. Potremmo portare la nostra dote, la nostra esperienza di oltre trent’anni, le nostre risorse. Teatri Uniti ha un nucleo forte, il direttore artistico è Toni Servillo, forse potrebbe essere lui, è chiaro. Ci sono già state proposte da Roma e da Milano, ma, beh, farlo nella propria città è diverso»; ed ha aggiunto: «È il luogo dove vogliamo vivere, avrebbe un senso. Per ora il Bellini fa il vero lavoro di teatro stabile».
Si tratta di dichiarazioni penalizzate dall’obbligo alla sintesi che grava sui giornali. In realtà, Angelo Curti, e me l’ha spiegato nel corso di una chiacchierata telefonica seguita all’intervista in questione, ha detto qualcosa di più complesso e articolato: ciò che appare chiaro se si coglie il legame tra le frasi «È un’evoluzione possibile» e «Per ora il Bellini fa il vero lavoro di teatro stabile».

Angelo Curti

Angelo Curti

In breve, Curti non ha avanzato la candidatura di Toni Servillo alla direzione del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, ma ha prefigurato uno scenario ipotetico per il dopo Luca De Fusco. A Servillo, infatti, non interesserebbe la direzione artistica del nostro Stabile, se non altro perché fa l’attore; e del resto, se avesse potuto interessargli, lui avrebbe accettato, tanto per intenderci, la proposta che in tal senso gli fece il Piccolo. Torniamo, allora, ai concetti di «evoluzione» e di «vero lavoro di teatro stabile».
La storia trentennale di Teatri Uniti è una storia fondamentale proprio perché basata su una continua evoluzione. E tanto a partire già dal primissimo affacciarsi di Angelo Curti e di Mario Martone sulla ribalta del teatro di ricerca, a capo di un gruppo che si chiamava «Il Battello Ebbro». Lo spettacolo «Faust e la quadratura del cerchio», che nel ’77 segnò allo Spazio Libero di Vittorio Lucariello l’esordio nella regia di Martone, non mi piacque, perché in più di un punto ricalcava «Presagi del vampiro» dell’allora «Il Carrozzone». Ma immediatamente cambiarono rotta, i ragazzi de «Il Battello Ebbro». Assunsero un nuovo nome, «Nobili di Rosa», e meno di nove mesi dopo si ripresentarono allo Spazio Libero con un nuovo spettacolo, «Avventure al di là di Tule», che costituiva, per l’appunto, una radicale evoluzione dei contenuti e delle forme praticati in precedenza.
Fu così che, poi, il Falso Movimento di Martone s’integrò in Teatri Uniti con il Teatro Studio di Caserta guidato da Servillo e il Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller. E non fu un’evoluzione il fatto stesso che Martone, avendo giudicato che si fosse esaurita la sua funzione all’interno di Teatri Uniti, decise di accettare la direzione artistica del Teatro di Roma?
Ma occorre intendersi, sul significato da attribuire al termine «evoluzione». Nel caso di Teatri Uniti, non si è trattato, e non si tratta, del semplice passaggio da uno stadio all’altro, ma dell’attuarsi «in progress» di un progetto. Non potrebbe spiegarsi diversamente il percorso che Toni Servillo ha compiuto dal teatro «senza parola» degli inizi (diceva, provocatoriamente: «Siamo il gruppo più stupido, rozzo e ignorante che ci sia in Italia») al teatro che della parola fa una religione; e non potrebbe spiegarsi diversamente la coerenza che ha connotato quel percorso: la coerenza che, poniamo, ha condotto Servillo a passare da «Le false confidenze», in cui sottolineava gl’intrighi economici che si celano dietro la «phrase à escalier», l’arabesco linguistico caratteristico di Marivaux, alla «Trilogia della villeggiatura», in cui sottolineava la crisi della stessa borghesia della quale, in precedenza, Goldoni s’era fatto alfiere.

Luca De fusco

Luca De fusco

In altri termini, nel percorso artistico di Servillo si saldano perfettamente, gli esordi e gli approdi. Perché, passato al teatro di parola, Toni ha affrontato il «monumento» Eduardo De Filippo senza alcun timore reverenziale e, anzi, con il preciso intento di battere in breccia l’aura consolatoria che pesa su non pochi dei suoi testi: tanto è vero che, nell’allestimento di «Sabato, domenica e lunedì», tagliò il dialogo conclusivo (Elena: «[…] Avete fatto pace?» – Rosa: «Sì, sì… abbiamo fatto pace» – Elena: «Meno male, è finito tutto» – Rosa: «No, signo’, io credo che è cominciato adesso») e trasformò il saluto che Rosa doveva mandare dal balcone a Peppino in uno scuotere il capo con aria enigmatica; e nell’allestimento de «Le voci di dentro» s’inventò una raggelante conclusione per cui, dopo la requisitoria del fratello Alberto («Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni… il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia!»), Carluccio Saporito si addormentava, fino a russare.
Ecco il senso del discorso complessivo che ha fatto Angelo Curti. Lui ipotizza un’evoluzione di Teatri Uniti che la porti ad essere, da compagnia indipendente, parte integrante dello Stabile di Napoli-Teatro Nazionale. Non è un’ipotesi che possa facilmente tradursi in realtà, specialmente a causa della miopia (non solo culturale) della classe politica nostrana. Ma è, nello stesso tempo, un’ipotesi che lascia immaginare un’autentica rivoluzione nel teatro napoletano.
Teatri Uniti, proprio sulla base della storia a cui ho accennato, immetterebbe nello Stabile – al di là del patrimonio di competenze organizzative che vanta, al di là dei saldi rapporti che ha stabilito con le maggiori realtà produttive italiane e straniere – innanzitutto una nuova idea del teatro, quella del teatro come dibattito civile e non come puro intrattenimento; e, inoltre, rivitalizzerebbe la pratica del palcoscenico attraverso la capacità di fondere la forma (leggi, per capirci, il magistero attorale di Servillo) con la sostanza, la riflessione in corso d’opera sulla natura stessa del teatro. Come avveniva, per fare un esempio, in «Elvira».

                                                                                                                                           Enrico Fiore

(«Corriere del Mezzogiorno», 21/3/2018)

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