Quella sera in cui incontrai La Smorfia

Insieme con Franco Nico, Pina Cipriani e La Smorfia nel foyer del Sancarluccio, al termine di «Così è (se vi piace)»

Insieme con Franco Nico, Pina Cipriani e La Smorfia nel foyer del Sancarluccio, al termine di «Così è (se vi piace)»

NAPOLI – Riporto qui l’articolo, pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno», con cui ho ricordato come scoprii La Smorfia.   

Quando ho appreso la notizia che Lello Arena ed Enzo De Caro organizzeranno una festa in piazza del Plebiscito per ricordare Massimo Troisi e celebrare il quarantesimo anniversario della nascita della Smorfia, m’è subito tornata in mente una sera dei primi mesi del 1977.
Io allora abitavo a Castellammare. E poiché non guidavo la macchina, dopo le «prime» teatrali mi si poneva il problema di come tornare a casa. Fino a quando ci fu il treno delle Ferrovie dello Stato che partiva dalla Stazione Centrale all’una e dodici minuti, il problema potei risolverlo, anche se arrivavo a Castellammare, dopo il cambio a Torre Annunziata, verso le due e mezzo del mattino. Ma poi quel treno venne soppresso, e quindi mi ritrovai affidato ai noleggiatori abusivi e al buon cuore (per la verità più interessato che buono) dei teatranti, in particolare degli attori dei quali avevo appena visto lo spettacolo.
Ma, quella certa sera dei primi mesi del 1977, nel foyer del Sancarluccio venni avvicinato, al termine di non ricordo quale spettacolo, da un giovanotto che non avevo mai visto, e che supposi soltanto essere un attore. Mi fa: «So che deve tornare a Castellammare, posso permettermi di offrirle un passaggio?». E io temetti che, durante il tragitto, mi sarebbe di nuovo toccata la tortura di un esibizionismo sfrenato, quello dell’ennesimo attore che mi avrebbe soffocato con un mare di chiacchiere circa quanto aveva testé fatto e quanto, ahinoi, si apprestava a fare. Però, come si dice, a passaggio donato non si guarda in bocca. E accettai.
Senonché, con mia grandissima sorpresa, da Napoli a Castellammare il giovanotto che mi accompagnava non spiccicò parola, nemmeno il suo nome e cognome. Mi sono sbagliato, pensai: questo non è un attore, dev’essere un marziano. E proprio di un marziano si trattava. Arrivati davanti al portone di casa mia, il giovanotto finalmente parlò, per dire: «Mi chiamo Enzo Purcaro, e con due amici, Massimo Troisi e Lello Arena, facciamo del cabaret a San Giorgio a Cremano. Ma ci permetteremo d’invitarla a vedere un nostro spettacolo solo quando saremo sicuri di farle vedere una cosa non indegna».
Sì, era veramente un marziano se veramente faceva l’attore. E comunque non ci pensai più. Invece il giovanotto non si dimenticò, dopo qualche mese mi telefonò per invitarmi a vedere, appunto al Sancarluccio, uno spettacolo che s’intitolava, occhieggiando ironicamente Pirandello, «Così è (se vi piace)». Quei tre ragazzi al Sancarluccio c’erano già stati l’anno prima, con lo spettacolo «Non si ride di solo pane» e il nome d’arte I Saraceni. Adesso si chiamavano La Smorfia. Perché l’idea di chiamarsi così aveva incontrato l’entusiastica approvazione di Marcello Casco, il patron del romano tempio del cabaret, La Chanson, che aveva ospitato il trio prima per qualche fine settimana di prova e poi per la bellezza di ben tre mesi.
Ma c’è da aggiungere, prima di tutto, che il successo della Smorfia a Napoli non sarebbe potuto esplodere se non, giusto, al Sancarluccio. Il minuscolo spazio di San Pasquale a Chiaia, gestito dall’indimenticabile Franco Nico e da Pina Cipriani, è stato l’unico teatro (fra gl’infiniti che ho conosciuto, italiani, naturalmente, e poi quelli, poniamo, di Edimburgo e Salonicco, New York e Vienna, Berlino e Colonia, Parigi e Basilea e San Pietroburgo) in cui, continuamente, la finzione si mischiava con la vita. Entrando in sala si sentiva odor di cucina, perché Franco e Pina là dentro ci abitavano pure, con i figli Egidio e Bianca. E perciò fu al Sancarluccio che approdò il Roberto Benigni che recitò per intero il monologo del Cioni Mario, accolto in televisione appena sotto specie di qualche pallido reperto, e poi se ne andò senza nemmeno prendersi il pur misero incasso. Fu al Sancarluccio che arrivò Prudentia Molero, la bellissima (ne fummo un po’ tutti innamorati) esule argentina che portava in giro per il mondo il dolore e la fierezza delle «pazze» della Piazza di Maggio. E fu al Sancarluccio che – mentre la dolce e smarrita (tentò più volte di uccidersi…) Raffaella De Vita cantava «La folla» che cantò Edith Piaf – in una sera come tante altre, affogata nello stillicidio dei giorni, capii perché al «passerotto» diedero il cuore, insieme con i poeti e gli «chansonniers», anche i marinai che non si sa come facciano a riconoscere le stelle, sempre uguali sempre quelle dall’Equatore al Polo Nord.
Dunque, ripeto, non poteva che determinarsi nel Sancarluccio la consacrazione della Smorfia. Del resto era il quartier generale del gruppo cabarettistico di sinistra, I Cabarinieri, che fieramente si opponeva a quello di destra, I Sadici Piangenti. E subito mi accorsi delle qualità straordinarie del trio venuto da San Giorgio a Cremano. Su «Così è (se vi piace)» scrissi per «Paese Sera» addirittura mezza pagina, in cui sostenni fra l’altro che quello spettacolo costituiva un meticoloso processo, venato di una rabbia tanto più gelida quanto meno appariva esibita, che vedeva sul banco degli accusati le parole, le parole (vedi l’«umile» affibbiato alla casa dei pescatori nello sketch «Natività») che imprigionano nella demagogia delle definizioni di comodo, e perciò condannano all’immutabilità, i dati reali delle condizioni di vita delle classi subalterne.
Poi, è noto, La Smorfia venne invitata a partecipare alla trasmissione televisiva «Non stop». Ad essere precisi il funzionario della Rai che sovrintendeva a quella trasmissione, Bruno Voglino, aveva invitato, nell’ambito della preferenza che si accordava ai monologhisti, il solo Troisi. Però lui, Massimo, rispose d’acchito: «Sì, va be’, voi ne vedete uno, ma in realtà nuie simmo tre, uno in tre e tre in uno». E Voglino dovette concludere: «Ho capito, siete come i tre moschettieri: uno per tutti e tutti per uno. Pazienza, venite tutti e tre».
A me, da parte di Massimo Troisi, toccò invece un’impagabile reprimenda. Mentre, al termine di «Così è (se vi piace)», nel foyer del Sancarluccio concionavo davanti ai tre della Smorfia su quel loro cabaret impegnato, di botto Massimo esclamò: «Dotto’, scusate, ma ‘stu cabaret impegnato ca state dicenno, è ‘na cosa bona o ‘na cosa malamente?». E comunque mi era andata bene. Anni dopo Enzo Purcaro, che ora si chiamava Enzo De Caro, mi ha confessato che, quando mi diede il famoso passaggio a Castellammare, aveva appena preso la patente ed era la prima volta che guidava in autostrada.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

(«Corriere del Mezzogiorno», 7/3/2018)

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