Tra moglie e marito non mettere il clone. Di San Gennaro

Veronica Mazza e Eduardo Tartaglia in un momento di «Tutto il mare o due bicchieri?», in scena al Trianon

Veronica Mazza e Eduardo Tartaglia in un momento di «Tutto il mare o due bicchieri?», in scena al Trianon

NAPOLI – Il significato e l’importanza di una cosa non dipendono solo dalla cosa in sé, ma anche, e soprattutto, dalla cornice (sociale, ideologica o puramente sentimentale) in cui quella cosa risulta o viene collocata. È questo l’assunto che presiede a «Tutto il mare o due bicchieri?», la nuova commedia di Eduardo Tartaglia in scena al Trianon con la regia dell’autore.
Non a caso, quell’assunto viene esposto nella lunghissima didascalia iniziale, che ha anche il compito d’introdurre il plot dei due atti in questione: Tartaglia si chiede se la bellezza della Cappella del Tesoro di San Gennaro dipenda solo dalle sculture, dagli affreschi e dalle gemme che vi sono custoditi o, invece, pure, e specialmente, dal fatto che quella bellezza trasuda «dalle invocazioni, dalle implorazioni, dalle suppliche, dalle preghiere che un’intera città nel corso dei secoli ha rivolto alle preziose reliquie del suo Protettore».
Infatti, la commedia muove proprio dalla Cappella del Tesoro di San Gennaro e dall’ossimoro che quel luogo incarna, la compresenza del dato reale (la ricchezza dei marmi, degli arredi, dei manufatti) e del suo risvolto immateriale (la fede nel Santo e nel miracolo dello scioglimento del suo sangue). E di quest’ossimoro il plot costituisce una traduzione perfetta: narrandosi qui del furto delle ampolle contenenti il sangue del Patrono di Napoli, furto compiuto dal vice sacrestano Angiolino Spertoso e dalla moglie Lucia insieme ma, giusto, con intenti opposti: lui vorrebbe clonare San Gennaro acciocché possa compiere miracoli su vasta scala e lei vorrebbe ottenere un riscatto per poter pagarsi le nuove e costosissime cure messe a punto in Cina per la sua grave malattia.
Ancora non caso, tocca a un medico del Centro di Ricerca di Medicina Molecolare e Genomica, quello in cui si dovrebbe realizzare la clonazione di San Gennaro, riassumere la faccenda e, insieme, spiegare il titolo della commedia: «Chi si muore di sete crede sempre di poter bere un mare intero: ma questa è la Fede. Chi poi, invece, inizia a bere, due bicchieri d’acqua gli bastano: e questa è la Scienza!».
Sempre sul piano dell’ossimoro, il testo trova, per giunta, un’efficace invenzione nei «neologismi» creati a getto continuo da determinati personaggi: che so, lo «scoinvolto» di Gerardo (col commissario incaricato delle indagini, Ercole Portone, che commenta: «Lei o è sconvolto o è coinvolto!»), l’«allancinante» di Angiolino (col commissario che precisa: «Il dolore o è allucinante o è lancinante») e la «linea direttamente smerza» ancora di Angiolino (col solito commissario che replica: «’A linea o è diretta o è smerza!!…»).
Ma debbo aggiungere che valgono per «Tutto il mare o due bicchieri?» le stesse osservazioni che feci a proposito di «Statue unite», la precedente commedia di Tartaglia: ci sono lungaggini e, quel ch’è peggio, i temi di cui sopra – ripeto, importanti – non hanno, nel testo, uno sviluppo adeguato, cedendo troppo di frequente il passo al facile cabaret e, ancora più spesso, a un avanspettacolo di maniera: vedi le citazioni ironiche di «Zappatore» e «Filumena Marturano» in uno con lo stillicidio degli scambi di parole cari alla più ordinaria farsa nostrana (poniamo, «Adelaide» per «adelante», «vicoletti» per «virgolette», «Pietro e Angela» per «Piero Angela», «colazione» per «clonazione» e «incubatrice» per «cubatura»).
Piuttosto appiccicate e pretestuose (oltreché paralizzanti, per ciò che attiene al ritmo della rappresentazione) risultano, allora, le tirate conclusive sui massimi sistemi della fede e della morale. E non resta, dunque, che prendere atto dello spettacolo in quanto tale, garantito soprattutto dalla prova nel complesso godibile offerta dagl’interpreti: lo stesso Eduardo Tartaglia (Angiolino), Veronica Mazza (Lucia), Stefano Sarcinelli (il commissario), Franco Pinelli (Gerardo) e Pino L’Abbate (il dottor Pranzacena).

                                                                                                                                             Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Tra moglie e marito non mettere il clone. Di San Gennaro

  1. Eduardo Tartaglia scrive:

    Caro Enrico,
    grazie per l’attenzione.
    Le tue note, anche quelle critiche, sul mio ultimo spettacolo mi lasciano ancora una volta intravvedere che ci siano da parte tua, comunque, una stima e un “affetto” nei riguardi del mio percorso artistico. Le leggo (spero di non illudermi…) non solo come “giudizi”, che pure sono come è giusto che siano, ma anche come “esortazioni”.
    In attesa di una chiacchierata per approfondire “le tue e le mie ragioni”, ti rinnovo con sincerità il mio affetto e la mia stima.
    Eduardo Tartaglia

  2. Enrico Fiore scrive:

    Caro Eduardo,
    è proprio così: i miei rilievi critici sono, insieme, giudizi ed esortazioni a far meglio, evitando scelte per le quali, certo, è comodo optare, ma che poi ti si ritorcono contro.
    A presto, dunque. E per il momento ti ricambio l’affetto e la stima.
    Enrico Fiore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *