Quattro Giornate con Brecht e il pesce Giacomino

Serena Autieri, tra Maria Del Monte e Benedetto Casillo, nella scena conclusiva di «Rosso napoletano»

Serena Autieri, tra Maria Del Monte e Benedetto Casillo, nella scena conclusiva di «Rosso napoletano»

NAPOLI – «Rosso è il colore dell’amore, della passione, della superstizione, del pomodoro, del sangue, del fuoco, della rabbia, della preghiera e della resistenza». «Rosso è il colore del magma che ribolle eternamente nel ventre della città come il suo meraviglioso e infinito patrimonio musicale, per quell’istinto unico di vivere e di inventarsi». «Insieme alla musica, all’ironia, agli scugnizzi e ai femminielli, al caffè e alle superstizioni, alle Madonne e alla pizza, alle prostitute e alla borsa nera va in scena l’anima nobile, spregiudicata e intramontabile di Napoli capitale d’Europa». «Napoli fa miracoli, trasforma farina, pummarola e caffè in luoghi dell’anima». «Napoli mischia origine e destino, lacrime e salsedine, gioia e disperazione». «Napoli è inno eterno alla vita. Non dobbiamo mai smettere di celebrarla».
Che dite, voi pensate che si tratti di una riedizione della famosa «cartolina di Napoli»? E vi sbagliate. Si tratta delle note di Vincenzo Incenzo, autore e regista dello spettacolo, «Rosso napoletano», che la Engage presenta all’Augusteo. E se inoltre pensate, da romantici a tempo perso quali siete, che il sottotitolo «Quattro giornate d’amore» si riferisca in rima a una vacanza «core a core», che so, in quel di Sorrento o a Capri o sulla costiera amalfitana, siete ancora di più fuori strada.
Le «Quattro giornate» in questione sarebbero le Quattro Giornate famose che videro la cacciata a furor di popolo dei tedeschi. E Incenzo dedica a quell’evento, invece che l’incenso che avete cretinamente sospettato, uno spettacolo quant’altri mai connotato da impegno e cultura. A cominciare dal fatto ch’è tramato di tutta una serie di omaggi ai Padri: primo fra i quali nientemeno che Shakespeare, lo Shakespeare del discorso di Antonio in «Giulio Cesare».
Vincenzo Incenzo dice che il suo spettacolo vuol andare «oltre i luoghi comuni». E Incenzo è un uomo d’onore. Il produttore Enrico Griselli, marito della protagonista Serena Autieri, dice che spettacoli del genere «rappresentano l’anima di Napoli». E Griselli è un uomo d’onore.
Ma l’omaggio principale, oltre ogni dubbio, è quello che «Rosso napoletano» tributa a Bertolt Brecht. Qui la storia ruota intorno all’amore impossibile della panettiera Carmela per un soldato tedesco, Raphael, che si esprime in un italiano da Accademia della Crusca e, pure cantando, in un dialetto napoletano perfetto, tale che, per intenderci, avrebbe meritato l’incondizionata approvazione di Don Salvatore Di Giacomo. E se non è straniamento questo… Per non parlare dell’accoppiamento delle canzoni napoletane classiche (sono venti, da «Michelemmà» a «Marechiaro», da «Tu ca nun chiagne» a «Uocchie c’arraggiunate») con le situazioni in atto.
In proposito l’acme si tocca quando, sul cadavere di Raphael, Carmela intona «Core ‘ngrato». Canta Carmela, accorata, rivolgendosi al corpo inerte dell’innamorato che fu: «Catari’, Catari’, pecché me dice ‘sti pparole amare?». E non è, si capisce, un caso di metempsicosi, avrebbe avuto bisogno di un minimo di tempo, il povero Raphael, per reincarnarsi in Catarina. È invece, per l’appunto, l’applicazione fedele delle teorie propugnate dal drammaturgo di Augusta. Che rifulgono, per fare un altro esempio, anche nella scena in cui Carmela (che, non dimentichiamolo, continua a fare la panettiera) s’affaccia al balcone del suo palazzetto sgarrupato dalle bombe indossando un elegantissimo e lunghissimo abito da sera bianco. E questo senza contare i cartelli con la scritta «Jatevenne» levati dai rivoltosi contro i tedeschi.
Un altro omaggio capitale, poi, è quello reso a Luciano De Crescenzo. Fra i personaggi che attorniano Carmela compare un «professore» che, evidentemente, arriva dritto da «Così parlò Bellavista». Cita continuamente Nietzsche e gira portandosi dietro una boccia di vetro in cui nuota un pesciolino rosso chiamato Giacomino. E questo Giacomino – ecco lo strepitoso aggiornamento apportato da Incenzo all’immaginario di De Crescenzo – è un pesce molto generoso, perché, proprio essendo pesce, regala un «assist» prezioso per la squisita frecciata, che ben potete intuire, contro il femmeniello Greta Garbo.
Al riguardo s’impegna, del resto, anche il «professore» in persona. Scopriremo alla fine che è il padre di Carmela. E nel frattempo lo sentiremo ripetere di continuo a donna Rosa, la madre della panettiera, che a ingravidarla non poté essere il di lei legittimo consorte perché quello giaceva in ospedale e «nun s’aizava». Ed è generoso non meno del pesce Giacomino, il «professore»: poiché, pronunciando l’aurea massima: «La libertà è amore per tutti gli uomini», a sua volta regala un altrettanto prezioso «assist» per la battuta: «Ma allora avimm’addeventa’ tutte ricchiune?».
Sempre sul piano degli omaggi, tralascio adesso quelli resi al Sergio Bruni di «Carmela» e al Roberto De Simone di «Jesce sole» e mi soffermo, per ragioni ovvie, su quelli tributati a Raffaele Viviani e a Mario Merola. Assai tempestivamente, in vista del centotrentesimo anniversario della nascita di Viviani, che cadrà il 10 gennaio prossimo, Incenzo provvede a fornire l’ennesimo alto esempio di straniamento, sottraendo finalmente Don Raffaele all’equivoco del realismo che lo soffoca: mette in scaletta una «Rumba d’ ‘e scugnizze» da cui le coreografie di Bill Goodson hanno cancellato la rumba. E per quanto riguarda Merola, l’autore degli arrangiamenti, Vincenzo Campagnoli, offre una rara e commovente testimonianza di affetto: propone lo stesso tipo di arrangiamenti «sceneggiati» che propose, come constatai personalmente in quanto invitato a una delle sue puntate, nella trasmissione televisiva «Piazzetta Merola».
La serie degli omaggi si chiude, e non poteva essere diversamente, con quello reso all’Eduardo De Filippo di «Questi fantasmi!». E qui Vincenzo Incenzo si supera addirittura, in quanto mette in bocca al «professore» una lezione sul caffè che va oltre il banale discorso di Pasquale Lojacono attraverso la vertiginosa rivelazione che appunto nel caffè «ci sono tutti i libri del mondo».
Non avete capito? Nemmeno io. È concettualmente impegnativo, questo «Rosso napoletano». E quindi chiudo passando al più facile impegno del cronista: nei ruoli principali appunto Serena Autieri (una Carmela che al termine canta «’O surdato ‘nnammurato» vestita della bandiera tricolore), Benedetto Casillo (il «professore») e Maria De Monte (donna Rosa). E siccome al Trianon è in scena una riedizione di quel «Novecento napoletano» di cui «Rosso napoletano» costituisce (a partire dal titolo) un sostanziale facsimile, mi viene spontaneo osservare che ormai anche la canzone napoletana fa parte dei luoghi comuni a cui Incenzo dice di opporsi.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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2 risposte a Quattro Giornate con Brecht e il pesce Giacomino

  1. Gentilissimo Maestro,
    ho letto con attenzione la sua recensione sul mio spettacolo ‘Rosso napoletano’; leggo i suoi scritti sempre con interesse e curiosità per i contenuti profondi e puntuali e per la forma sempre affascinante.
    La ringrazio per la sua analisi, perché sarà elemento di ulteriore mio approfondimento su possibili accorgimenti sul testo e la regia; nel pieno rispetto di quanto ha scritto volevo però comprendere meglio le sue osservazioni.
    ‘Rosso napoletano’ vuole essere in maniera dichiarata e smaccata uno spettacolo leggero. La scelta “editoriale” è stata questa da subito: una sorta di musical, con note drammatiche e note comiche, atto a mettere in scena più canzoni e più archetipi possibili dell’immaginario collettivo napoletano.
    In questi giorni cito spesso Giuseppe Verdi, e forse è folle da parte mia, ma la sua lezione sull’importanza di mischiare alto e basso, l’orchestra sinfonica e lo zumpappà della banda, credo sia una lezione universale e oggi addirittura urgente.
    Sono convinto che alcuni codici più “pop” a volte siano necessari per veicolare contenuti più alti, lì dove non si potrebbe arrivare altrimenti.
    Lei immagini solo per un attimo se fossimo andati a chiedere spazi nel Teatro leggero con uno spettacolo ‘Off’ su queste tematiche. Nessuno ci avrebbe ascoltato.
    Non credo sia delittuoso inserire un po’ di sana comicità popolare, anche con qualche nota più sguaiata; credo che il pubblico, abbia voglia e bisogno di questo, soprattutto in uno spettacolo di questo tipo.
    La chiave ironica mi pone paradossalmente in una posizione di rispetto maggiore per il tema trattato e mi offre possibilità di sintesi utilissime.
    Questo senza tradire i contenuti, che comunque pur filtrati ho inserito, dalla provocazione dei tedeschi con l’uccisione del marinaio, ai comunicati, all’abbandono forzato della costa per i Napoletani (finale controluce primo atto), alla farsa dell’arruolamento per portare gli uomini in Germania, alla borsa nera dei contadini (a cui si fa riferimento nel rifugio antiaereo), all’importanza dei femminielli nella vicenda, a tracce della Cerasuolo nel personaggio di Carmela e di Gennarino in quello di Masaniello, fino alla liberazione.
    Non mi vergogno però di dirle che ho pensato che cinque minuti di sceneggiata in questo spettacolo potessero anche starci!
    E ci può stare anche una rumba completamente stravolta, così da evitare il luogo comune di un utilizzo abusatissimo.
    Mi dispiace se in alcuni snodi non siano risultate evidenti le mie intenzioni (il modo di parlare del soldato Rafael è in perfetto italiano perché nello spettacolo lui racconta di avere un nonno di Sorrento, di conoscere l’Italia e di cantare da sempre le canzoni napoletane; il vestito di Carmela al balcone non è un lunghissimo abito da sera, ma una sottoveste di quelle della nonna che forse le luci non hanno reso chiaramente leggibile; la frase “Nel caffè ci sono tutti i libri del mondo” non è mia ma di uno scrittore molto, molto più importante di me, che ho voluto omaggiare); forse dovevo essere più chiaro nell’esporre questi punti.
    Riguardo le canzoni, ho spiegato già in altre sedi che sono diventate astrazioni volutamente, perché a me interessava tirar fuori la loro universalità e non solo la loro contingenza. Puntualizzo che comunque tutti i brani cantati sono antecedenti alla vicenda e gli unici fuori tempo storico come lei avrà notato sono ‘Carmela’ e ‘Jesce sole’ che infatti non sono cantati dal vivo ma solo con un coro playback, come una sorta di coro greco che commenta quanto è accaduto. Non credo onestamente di aver offeso autori immortali se ho chiesto loro in prestito un gradino qua e là per qualche emozione e in più.
    Sono consapevole di aver fatto una una scelta ardita sdoganando perle della cultura musicale napoletana, ma da autore trentennale di canzoni, dopo aver scritto per tutti, da Dalla alla PFM da Endrigo a Renato Zero, da Venditti a Califano, ho fatto mia la lezione che tutti loro, ostinatamente mi hanno ripetuto. Bisogna che il giornale di oggi, quando si scrive, sia anche il giornale di domani. Lucio Dalla mi diceva che le canzoni vanno usate quando servono, indipendentemente dal contesto, come una pagina da mettere sotto i piedi per sembrare più alti. Che bellezza!
    Infine il pesciolino rosso. Mi ha appassionato la sua disamina su Giacomino!
    Si tratta in realtà di un atto d’amore nei confronti di mio padre, nato a Napoli, che ha vissuto da bambino la guerra, con conseguenze tragiche per la sua famiglia. Mi ha sempre stupito la sua impassibilità di fronte ai drammi vissuti e il suo andare in escandescenza di contro per cose da nulla, come appunto la vicenda di un pesciolino rosso sparito improvvisamente. Credo che appartenga alla Guerra e a Napoli questa magia di dirottare il dolore e la rabbia sul futile per silenziare le vere lacrime, magari esorcizzando il tutto con una battuta da caserma. Ma che male c’è…
    La ringrazio se avrà avuto la pazienza di leggermi fin qui, mi perdoni se l’ho annoiata.
    Ne approfitto anche per augurarle un sereno Natale e un felice anno nuovo.
    Con stima.
    Vincenzo Incenzo

  2. Enrico Fiore scrive:

    Gentile Signor Incenzo,
    come vede, pubblico integralmente il Suo commento alla mia recensione di “Rosso napoletano”, senza modificarne nemmeno una virgola. Ma restano, evidentissimi e inoppugnabili, i due punti decisivi del discorso che ho svolto: 1) “Rosso napoletano” si riduce a un concerto di canzoni napoletane, le Quattro Giornate c’entrano solo in qualità di puro pretesto (tanto che Giulio Baffi ha parlato, nell’edizione napoletana on line de “la Repubblica”, di due spettacoli distinti riuniti in uno, quello delle canzoni, apprezzabile, e quello delle Quattro Giornate, raffazzonato e superficiale); 2) l’accoppiamento delle canzoni in questione con le situazioni via via proposte dalla trama è assolutamente incongruo, perché dà luogo soltanto ad esiti involontariamente comici.
    Per quanto poi riguarda il pesce Giacomino, certamente apprezzo la Sua intenzione di compiere un atto d’amore nei confronti di Suo padre, ma converrà con me che io non sono tenuto a conoscere i pensieri segreti di un autore, io debbo solo valutare ciò che quell’autore mi fa vedere e sentire sul palcoscenico. E infine, mi permetto di ritenere che esista una certa differenza fra l’ironia e la volgarità.
    Le ricambio gli auguri per il Natale e il nuovo anno.
    Enrico Fiore

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