Tanti «cavalli» e un solo fantino: il mattatore Gino Rivieccio

Gino Rivieccio in una scena di «Cavalli di ritorno», lo spettacolo che ha aperto la stagione del Diana

Gino Rivieccio in una scena di «Cavalli di ritorno», lo spettacolo che ha aperto la stagione del Diana

NAPOLI – Come sappiamo, il «cavallo di ritorno» è, comunemente parlando, la tangente che siamo costretti a pagare per riavere la macchina che ci hanno rubato. Ma nel caso di Gino Rivieccio – che appunto «Cavalli di ritorno» ha intitolato lo spettacolo, scritto da lui e da Riccardo Cassini, Gustavo Verde e Gianni Puca, con cui s’è aperta la stagione del Diana – diventa anche altro.
È innanzitutto, per ciò che attiene al piano narrativo, la tassa sul proprio successo che lo stesso Rivieccio deve versare a un suo fan/stalker che, avendogli rubato il cellulare e con esso il profilo Facebook, adesso lo ricatta e lo sbeffeggia in pubblico, per esempio postando un fotomontaggio che lo mostra, offesa incomparabile, con addosso la maglia della Juventus. E con questo esempio accenno, peraltro, a uno dei pregi significativi dei testi qui offerti, il ricorso allo slittamento di senso.
Infatti, nell’ambito del discorso che Gino va svolgendo in favore della lingua italiana, due testimoni di Geova, che hanno chiesto a un tizio che cosa sia per lui la fine del mondo, si sentono rispondere che è la frittura di calamari. E su questa strada si arriva all’iperbole bella e buona, quando si afferma che, al possesso temporaneo di Monica Bellucci, i napoletani preferiscono il possesso a vita del posto macchina sotto casa.
Ma, nel caso dello spettacolo di cui parliamo, il «cavallo di ritorno» è ancora un’altra cosa: sempre sul piano dello slittamento di senso, è il ricordo nostalgico di un passato migliore del presente. Ciò che, poniamo, riguarda la televisione, quella, per intenderci, del Quartetto Cetra e delle Kessler. Una volta sul piccolo schermo poteva comparire la scritta: ci scusiamo per l’interruzione, riprendiamo la trasmissione. Oggi potrebbe comparire la scritta: ci scusiamo per la trasmissione, riprendiamo l’interruzione. E in parecchie circostanze sarebbe puramente e semplicemente sacrosanta.
Ci spostiamo, in tal modo, sul terreno di pascolo del «cavallo di ritorno» che si chiama omaggio. E c’è quello, in qualche modo obbligato, a Eduardo De Filippo e alla sua immarcescibile «Filumena Marturano». Di quest’ultima viene riproposta una delle scene capitali mentre sul fondale si susseguono le fotografie delle attrici note che l’hanno interpretata: Titina De Filippo, Mariangela Melato, Isa Danieli, Valeria Moriconi, Mariangela D’abbraccio, Regina Bianchi, Gloriana, Lina Sastri, Sophia Loren.
Spero di non averne dimenticato alcuna. E infine, i «cavalli di ritorno» assumono l’aspetto, quello decisivo, dei cavalli di battaglia. Che sono segnatamente, per quanto riguarda Gino Rivieccio, le sue specialità indiscusse e indiscutibili, a partire dalle tirate a rotta di collo su questo o quell’argomento. Mettiamo sul difficile rapporto fra genitori e figli. Se tuo figlio bambino ti chiede che è quella cosa che ha mammà, tu gli rispondi che è il paradiso; e se lui ti chiede che è quella cosa che hai tu, gli rispondi che è la chiave. E mal te ne incoglie, perché il pargolo chiude la faccenda con crudeltà serafica e inappellabile insieme: «Allora, papà, hê cagna’ ‘a chiave, pecché ‘o vicino s’ha fatta ‘a copia!».
Per concludere, dopo un’assai godibile parodia della Maria De Filippi di «C’è posta per te», i cavalli di battaglia veri e propri, richiesti, anzi imposti, dall’irriducibile fan/stalker: la reinterpretazione del famoso Gigi Quaranta, cameriere tanto invadente quanto casinista, e l’imitazione di Sarri.
Inutile, è ovvio, aggiungere parole sull’efficacia espressiva e sulla simpatia che, come al solito, Gino Rivieccio (sua anche la regia) dispensa a piene mani. E non demeritano le «spalle» Rosario Minervini e Paola Bocchetti, senza contare la determinante presenza in video di Giovanni Esposito nel ruolo del ladro di cellulare e d’identità.
Risate e applausi cordiali. E siccome la cosa di gran lunga migliore dello spettacolo è lo sketch con Gino Quaranta, mi viene in mente che, alla festa per gli ottant’anni di Lucio Mirra, consigliai a Rivieccio di pensare, per la messinscena eduardiana che ha in mente, agli atti unici piuttosto che alle commedie. Ecco, la riuscita di quello sketch dimostra che il mio è un consiglio fondato.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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