Troilo e Cressida sull’isola che non c’è. Con uno scheletro

Un momento di «TroilovsCressida», presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto (tutte le foto dello spettacolo sono di Maria Laura Antonelli)

Un momento di «TroilovsCressida», presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto
(tutte le foto dello spettacolo sono di Maria Laura Antonelli)

SPOLETO – Come sappiamo, «Troilo e Cressida» è la prima delle cosiddette «dark comedies», i testi shakespeariani che oscillano fra il dramma e la satira (quando non, addirittura, la comicità). E infatti, mentre il titolo si riferisce alla storia d’amore fra il più giovane dei figli di Priamo e la figlia dell’indovino Calcante, fuggito da Troia nel campo greco, l’argomento vero del testo sono la disgregazione politica e la degradazione morale che presiedono alla visione del mondo qui manifestata, disillusa e disperata come mai nel Bardo.

Da sinistra, Stefano Ricci e Gianni Forte (foto di Angelo Cricchi)

Da sinistra, Stefano Ricci e Gianni Forte
(foto di Angelo Cricchi)

Per di più, «Troilo e Cressida» costituisce un atto d’accusa contro la guerra che diventa tanto più implacabile in quanto affidato allo scarto fra l’immane carneficina in corso e il cazzeggio svagato e inesauribile di coloro i quali l’hanno voluta e la perseguono. Vedi, a titolo d’esempio, la terza scena del secondo atto, in cui personaggi illustri come Nestore, Diomede, Ulisse e Agamennone non fanno altro che sfottersi a vicenda, con una serie di «a parte» davvero degna di una farsa di Scarpetta. E l’emblema di un simile sfascio è, per Shakespeare, quel Tersite che dall’inizio alla fine non fa che sputare veleno e sarcasmo su tutto e su tutti.
Così, era perfettamente prevedibile che Stefano Ricci e Gianni Forte avrebbero tratto da un testo del genere un altro degli spettacoli che li hanno imposti come gli alfieri più determinati del teatro che ignora gli schemi, rivelandosi, sempre, irriverente e dirompente insieme. Parliamo di «TroilovsCressida», che il Teatro Biondo di Palermo ha presentato (e mai luogo fu parimenti emblematico) nella chiesa sconsacrata di San Simone per la sessantesima edizione del Festival dei Due Mondi. A partire dal cuneo, quel «vs», che spacca la coppia codificata e risaputa Troilo-Cressida, Ricci (sua anche la regia) e Forte assumono la «dark comedy» shakespeariana sotto specie di una cartina di tornasole dello scarto abissale oggi riscontrabile fra i Greci e i Troiani (simboli di ciò che continuiamo a definire cultura) e quanti definiscono in una nota «i loro epigoni postmoderni, votati alla fama della TV e ai suoi derivati».

Un'altra scena di «TroilovsCressida», dato nella chiesa sconsacrata di San Simone

Un’altra scena di «TroilovsCressida», dato nella chiesa sconsacrata di San Simone

Lo spettacolo è ambientato in un’aula scolastica, con i banchi posti di fronte a una gigantesca lavagna che occupa tutto lo spazio scenico e su cui sono affastellati i nomi degli eroi in questione, formule matematiche e parole latine. Ma ecco che in mezzo a tanta «scientificità» spiccano sulla lavagna il disegno del proverbiale cuore trafitto da una freccia e accanto ad essa, sulla destra, l’altrettanto proverbiale scolaro discolo del tempo che fu, messo in castigo con la faccia al muro e con in testa il cappello a cono con la scritta «ASINO». E a dire della stimolante polisemanticità dei segni qui proposti, tale scolaro rappresenta, nello stesso tempo, una spia d’allarme circa la possibilità di fare una lezione proficua in quell’aula e l’anticipazione della sindrome di Peter Pan coatta che poi prenderà corpo nel corso dello spettacolo.
Non a caso, gli studenti indossano, sì, degli scarponi che rimandano agli antichi coturni, ma subito, appena entrati in classe, rimangono preda, lì tra i banchi, di un convulso e inane agitarsi. È la forma che si rompe. E, di conseguenza, l’inizio della lezione, relativa per l’appunto a «Troilo e Cressida», non può essere che il seguente: «Tutto si consuma a Troia, Turchia. Dalle isole greche… chi di voi mi indica la Grecia? … come non detto. Da qua – somari, spegnete quei cellulari e fate sparire gli auricolari! – il sangue reale, caricato a pallettoni dalla rabbia, raduna sessantanove corone nel porto di Atene. Quasi settanta teste calde pronte alla mattanza. Destinazione: Frigia. Obiettivo: distruzione totale di Troia. Causa certa: la fregola di Elena che, nonostante sia regina e maritata a Menelao, se ne sbatte e fa stretching tra le lenzuola di Paride, suo sequestratore. Questa è l’unica, grande sfida, senza televoti da casa!».

Ancora un momento dello spettacolo di Ricci e Forte

Ancora un momento
dello spettacolo di Ricci e Forte

Da questo momento, e anche sul filo di un’impagabile ironia demitizzante e dissacrante, prende il via un continuo susseguirsi di spiazzamenti. I banchi diventano flipper davanti ai quali gli studenti simulano il coito con spinte cadenzate e frenetiche del bacino. Il campo greco diventa un centro estetico in cui i condottieri, stesi sui banchi come su lettini, si abbandonano pigri e ciechi, con un panno sul viso, alle attenzioni delle manicuriste. E, per chiudere con gli esempi, le studentesse/eroine, sedute in fila l’una accanto all’altra, si danno interminabilmente a rifarsi le labbra, con tanto di specchietto e rossetto.
Certo, non si poteva rendere meglio il cazzeggio contro cui si scaglia Shakespeare. Ma è solo il prologo allo spiazzamento decisivo. Il compito in classe sulla storia di Troilo e Cressida si traduce prima nella nevrosi delle mani che reggono penne inutili e poi in un sabba tremendo che rovescia i banchi e scaraventa a terra gli studenti, spingendoli verso il proscenio e lungo i muri in mostruosi e inestricabili grovigli. E sulla lavagna – al posto dei nomi degli eroi e delle eroine, delle formule matematiche e delle parole latine – appare, mentre si leva una marcia processionale della Settimana Santa, il modello anatomico in cera di uno scorticato che si conserva nel museo La Specola di Firenze. È il segnale della rivolta contro la fruizione collettiva e passiva del testo in questione e del passaggio agli stimoli che se ne possono ricavare in una dimensione individuale e attiva, del passaggio, insomma, dalla superficie narrativa all’interiorità ideale.
Gli studenti riescono a scrivere, stavolta. Ma scrivono sulle pagine di un diario. E poi, strappatele dal quaderno, se le mettono sul palmo di una mano e le soffiano dal proscenio sugli spettatori. A me è toccata la pagina seguente: «Caro Diario, ho deciso di restare sull’isola che non c’è, perché qui vive la nobiltà d’animo, qui ci si quieta prima di muoversi, si raccoglie la mente prima di parlare, si consolidano le relazioni prima di chiedere qualcosa. Qui nessuno è servile nei rapporti verso l’alto, nessuno è presuntuoso verso coloro che stanno in basso. Qui si riconosce quando si sbaglia verso qualcuno e non succede mai che si commetta lo stesso errore per la seconda volta…».
Già, Edoardo Bennato. Ma lo si cita mentre in scena compare uno scheletro. E alla fine – nell’eco di Rosa Balistreri che canta «Terra ca nun senti» – s’imbrattano tutti il corpo di biacca, sembrano i soldati ribelli di quell’«Apocalypse Now» che s’ispirava al Libro Tibetano dei Morti. Dunque, non ho bisogno di aggiungere altro circa questo spettacolo potente e, tuttavia, percorso dai brividi di una smarrita poesia. Resta solo da dire della prova straordinaria che – accanto agli attori di Ricci e Forte: Anna Gualdo, Giuseppe Sartori e Piersten Leirom – dispiegano i dodici allievi della scuola del Biondo (Sara Calvario, Toty Cannova, Bruno Di Chiara, Marta Franceschelli, Salvatore Galati, Alessandro Ienzi, Francesca Laviosa, Nunzia Lo Presti, Alessandra Pace, Lorenzo Randazzo, Simona Sciarabba e Claudio Zappalà).
Piuttosto, giova notare che anche in questo spettacolo ricorre il tema dello «scorticamento» che già veniva affrontato nell’allestimento di Emma Dante: perché proprio questo dovrebbe sempre fare un festival, scegliere un tema e trattarlo sulla base delle varie ipotesi di svolgimento. È così che si dà luogo a una riflessione e non a un semplice intrattenimento.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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