Quello storico che getta i libri e si consacra ai sockpuppet

Ennio Fantastichini e Iaia Forte in un momento di «Tempi nuovi» (le foto dello spettacolo sono di Fabio Lovino)

Ennio Fantastichini e Iaia Forte in un momento di «Tempi nuovi» (le foto dello spettacolo sono di Fabio Lovino)

NAPOLI – Il tema e il senso di «Tempi nuovi» – l’atto unico di Cristina Comencini presentato nel Cortile d’Onore di Palazzo Reale nell’ambito della X edizione del Napoli Teatro Festival Italia – stanno tutti nella prima sequenza, affidata al personaggio protagonista Giuseppe: lui dice «Mi è scomparsa la scrivania» e parla della «pattumiera dove si buttano le carte», ma subito dopo scopriamo che si riferisce al «desktop» e al «cestino» del computer.

Cristina Comencini

Cristina Comencini

Dunque, siamo nel momento di transito fra due epoche, e Giuseppe, uno storico, sta, come osserva il figlio Antonio, con un piede nella sua (ha uno studio letteralmente tappezzato di libri) e con l’altro in quella odierna, dominata dall’elettronica (usa il computer anche se ci combina pasticci, appunto facendo di continuo sparire la «scrivania»).
La moglie Sabina, invece, è una giornalista che, proprio perché tale, ha dovuto imparare in tutta fretta i segreti del «sistema binario», in modo da riuscire a dare una notizia in cinque righe invece che in venti. E in breve, rappresentano, Giuseppe e Sabina, l’uno l’«antichità» e l’altra la «modernità». Mentre appartengono senza remore a quest’ultima i loro figli, il citato Antonio e Clementina.
Ma – inquadrati così, sommariamente, il tema e il senso dell’atto unico in questione – debbo aggiungere subito che siamo di fronte a un testo alquanto debole, scontato e anacronistico. Che cosa dire, per esempio, dello «sconvolgimento» che prende Sabina quando la figlia le rivela che ha lasciato il fidanzato Davide perché s’è scoperta lesbica e che adesso sta aspettando dalla compagna Lorena un bambino procurato da una banca del seme?
Non mi pare che la «rivelazione» di Clementina possa risultare oggi (e proprio nel clima dei «tempi nuovi» che viviamo) tanto sconvolgente, a maggior ragione perché la stessa Sabina ha avuto, come confessa (specificando che le piacque), una sia pur fugace storia con una compagna di studi. Né, d’altronde, mi sembra che il testo della Comencini brilli per originalità.

Nicola Ravaioli

Nicola Ravaioli

Appena pochi giorni fa mi è capitato di assistere in posti lontanissimi fra loro, Castrovillari e Genova, a due spettacoli in cui, per l’appunto, si parlava rispettivamente di un uomo con due madri e uno sconosciuto padre biologico («Pedigree» di Babilonia Teatri) e di una figlia che rivela alla madre, per giunta ebrea e che ciò nonostante non fa una piega, d’essere lesbica e di star progettando d’avere un figlio dalla compagna. Solo che ben altro (rimando in proposito alle recensioni pubblicate qui sotto) era il livello drammaturgico dei testi di Enrico Castellani e Sasha Marianna Salzmann.
Inoltre, «Tempi nuovi» è anche poco credibile. Perché basta un semplice intervento chirurgico a trasformare il passatista Giuseppe in un agguerritissimo e instancabile «smanettatore»: il quale, messi al bando i libri, che non vuol sentire più nemmeno nominare, dice, poniamo, cose del genere: «Stanotte il vostro Ciclamino 9 ha fatto partire una potente flame war in rete sulla parola “peperoncino”, ha sgominato quattro troll e li ha plonkati senza pietà, creando un meraviglioso sockpuppet».

Marina Occhionero

Marina Occhionero

Forse, però, mi bastava dire che «Tempi nuovi» è prevedibile. Infatti, accade che proprio Antonio, in precedenza schierato ciecamente dalla parte della rete, se n’esca a definire «cazzate» i vari Facebook, Twitter, app, blog e nickname con cui oggi traffica il padre. E quest’ultimo, per suo conto, con un’ulteriore e ulteriormente frettolosa giravolta riprende a parlare (anche se assicura che si tratta solo di «un piccolo, temporaneo ritorno indietro») nientemeno che di Ockham e di Tommaso d’Aquino.
Completano il quadro scoperte dell’acqua calda in chiave apocalittico-qualunquistica («il giornalista è in genere una specie di “tuttologo”, deve sapere tutto e niente, esattamente come ora, è un anticipatore di questi tempi… È modernissimo, lo era già prima: un venditore di aria fritta»), sentenze categoriche («Non ci sono interruzioni nella Storia, solo difficoltà nel capirla») e battutine sparse («Le donne hanno il cervello multifunzionale e gli uomini monofunzionale»).
Il resto potete intuirlo. La regia, della stessa Comencini, spinge decisamente sul pedale di un intrattenimento svagato, piuttosto incline ad esiti farseschi o, nella migliore delle ipotesi, a stilemi da classica sit-com televisiva. E in tale cornice si colloca la prova degl’interpreti: comunque, meglio Ennio Fantastichini (Giuseppe) che una Iaia Forte (Sabina) costretta ad allontanarsi dai canoni espressivi che le sono congeniali, mentre non più che scolastici appaiono Marina Occhionero (Clementina) e Nicola Ravaioli (Antonio).
Peccato, Cristina Comencini aveva fatto molto meglio con «Due partite» e «La scena».

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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