Se Shylock e Porzia
affondano nell’acqua

 

Giovanni Battaglia nel ruolo di Shylock

Giovanni Battaglia nel ruolo di Shylock

Lo ripeto ancora una volta. Il vero tema e il vero dramma de «Il mercante di Venezia» – un testo troppo a lungo considerato, all’interno del canone shakespeariano, come una semplice commedia – non consistono nella «diversità» (razziale, religiosa, sociale o economica che sia), ma nella separazione rispetto alla vita: della cui impassibilità e delle cui discordi manifestazioni Shylock costituisce un emblema e un paradigma assolutamente inequivocabili.
Del resto, un emblema dichiarato di questa separazione è anche il personaggio di Porzia, non a caso colei che, travestita da avvocato, sconfiggerà in tribunale l’usuraio ebreo venuto a reclamare la famosa libbra di carne dal corpo del suo debitore Antonio; e, sempre non a caso, colei che abita a Belmonte, sulla terraferma rispetto a Venezia, e attende solo un marito destinatole dalla sorte: «Io non posso né scegliere colui che vorrei, né rifiutare colui che mi dispiace: tale è la volontà di una figlia viva imbrigliata dall’ultima volontà di un padre morto» (atto I, scena II).
Ebbene, Laura Angiulli – regista dell’allestimento de «Il mercante di Venezia» che si replica alla Galleria Toledo – mette in campo, al riguardo, talune intuizioni tanto acute quanto fondate. Nelle sue note definisce Belmonte «isola» e specifica che rimane «sospesa nell’attesa del compimento del promesso amore». E una simile premessa (inutile sottolineare che «isola» è sinonimo di isolamento e «sospesa» rimanda alla vita qui fra parentesi) trova un perfetto riscontro nell’impianto scenico di Rosario Squillace.
La rappresentazione si svolge all’interno di una vasca, con gli arredi e i piedi degli attori affondati nell’acqua. E l’acqua, lo sappiamo, è un elemento perennemente instabile e, per ciò stesso, inafferrabile. Senza contare che, poi, con altrettanta perspicacia la regia cancella ogni differenziazione «storica»: i vari ambienti si mescolano e gl’interpreti dei vari personaggi sono sempre a vista, anche quando non hanno la battuta. È, per l’appunto, il fluire ineffettuale di una vita essa sì davvero «straniera».
Peccato che, però, la recitazione si attesti spesso, al di là della tecnica e dell’impegno, su un versante contraddittoriamente naturalistico. La migliore, nel ruolo di Porzia, risulta Alessandra D’Elia, per un esprimersi «spezzato» che si collega, giusto, alla sospensione. Fra gli altri Giovanni Battaglia (Shylock) e Michele Danubio (Graziano, Marocco, il Doge). Nel complesso, comunque, uno spettacolo da vedere.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 12 marzo 2015)

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