«Ingresso indipendente» tra Feydeau, Eduardo e «Made in Sud»

Serena Autieri e Giovanni Scifoni in un momento di «Ingresso indipendente», in scena al Diana

Serena Autieri e Giovanni Scifoni in un momento di «Ingresso indipendente», in scena al Diana

NAPOLI – «Ingresso indipendente» – la prima commedia di Maurizio de Giovanni, ora in scena al Diana in un allestimento coprodotto dallo stesso Diana e dal Napoli Teatro Festival Italia – s’ispira con ogni evidenza a Feydeau, e in particolare a «L’albergo del libero scambio». Un equivalente di quest’ultimo, infatti, è l’appartamentino dotato della caratteristica di cui nel titolo, e vi si applica alla lettera l’aurea regola che l’«ingegnere del palcoscenico» pose alla base della sua produzione: «Quando in una delle mie commedie due personaggi non devono assolutamente incontrarsi, io li faccio trovare puntualmente faccia a faccia».
Massimo, impiegato in un’azienda privata, presta quell’appartamentino, in cui abita, al suo direttore Ludovico, con lo scopo di ottenere la promozione che gli consentirebbe di sposare finalmente la fidanzata Valeria. E lì Ludovico s’incontra con la sua amante Rosalba, una escort ex logopedista. Ma accade che lì, poi, s’incontrino via via davvero tutti: Massimo, Ludovico, la finta verginella Valeria, Rosalba e Giuliana, la moglie di Ludovico che è la proprietaria dell’azienda. Su di loro incombe l’occhiuta sorveglianza dell’anziana professoressa Forgione, con altrettanta evidenza mutuata (salvo il faro che tiene sul balcone e il fucile che imbraccia ad ogni minimo rumore o movimento) dall’eduardiano Professor Santanna di «Questi fantasmi!». E al termine si ritrovano insieme – Massimo, Ludovico, Valeria, Rosalba e Giuliana – per la cena chiarificatrice imposta dalla escort ex logopedista, che s’è installata in casa del malcapitato Massimo minacciando di non andarsene se Ludovico non si deciderà a lasciare una buona volta la consorte.

Tosca D'Aquino è Valeria

Tosca D’Aquino è Valeria

Senonché, invece che la comicità di situazione che metteva in campo Feydeau e l’allusività che praticava Eduardo, de Giovanni persegue un intrattenimento facile facile garantito da battute che, per dirla tutta, pendono dalla parte di un avanspettacolo piuttosto vicino a «Made in Sud». E che l’obiettivo del testo sia un tal tipo d’intrattenimento lo annuncia, del resto, già il cognome affibbiato a Massimo, un Pesello che dall’inizio alla fine si tramuta, come potete intuire, nel tormentone del Pisello. Un espediente che fa il paio con la balbuzie che coglie lo stesso Massimo quando è impaurito o imbarazzato.
Volete qualche esempio di quanto ci si offre al riguardo? Eccovelo: Massimo al cellulare con Valeria: «Pr-pr-pr… No, amore, non ti sto spernacchiando»; Massimo a Rosalba: «Chi-chi-chi-chi…» e Rosalba a Massimo: «Ma che è, un gallo? Guarda che se vuoi fare il gallo la devi chiamare gallinella, alla ragazza tua. Non cerbiattina»; Massimo a Rosalba: «Ma se uno torna a c-casa sua e trova una do-do-do…» e Rosalba a Massimo: «… re, mi, fa, sol…»; Massimo a Rosalba: «Pe-pe-pe-pe…» e Rosalba a Massimo: «Posa la trombetta e taci» (con la variante: Massimo a Rosalba: «Pe-pe…» e Rosalba a Massimo: «… e sale»); e, per concludere su questo punto, Massimo a Ludovico: «M-m-ma io n-n-non lec-lec-lecco il cu-cu-cu…» e Ludovico a Massimo: «Pisello, taccia, per favore. Non faccia l’orologio».

Biancamaria Lelli è Giuliana

Biancamaria Lelli è Giuliana

Si potrebbe chiedere a de Giovanni da quale pulpito parli quando, dopo aver scritto battutine del genere, affida alla Forgione il commento: «Queste case hanno le pareti sottili, io sento tutto. E poi una donna anziana ha poche occasioni di svago, voi siete meglio della televisione», con le annesse frecciate «Un posto all’ombra”» e «La giornata in diretta». E per ciò che concerne la contiguità a «Made in Sud», mi limito agli esempi seguenti: Rosalba a Valeria: «Mi sa che io sarò anche troppo aperta, ma tu sei parecchio chiusa. Di carattere, sia chiaro»; Rosalba a proposito di Valeria, allorché scopre che ha un amante: «Una cosa è certa: fa bene a chiamarlo “topolone”. In fondo, è il maschio della zoccolona!»; e infine Rosalba a Valeria, alludendo all’amante di lei che fa l’idraulico: «[…] serve un bravo idraulico. Proprio bravo. Uno che stia a disposizione, che quando serve arriva di corsa. Uno da tenere parcheggiato, in attesa di poterlo usare. Uno che, all’occorrenza, ti porti il tubo che ti serve».
S’accompagnano, queste battute, ai ripetuti palpeggiamenti fra le cosce che Rosalba elargisce a Massimo. E poi, nel secondo dei due atti in questione, de Giovanni, volendo salvarsi l’anima, compie un’inversione di marcia tanto improvvisa quanto implausibile: regala a Valeria un ferreo proclama da protofemminista arrabbiata («Noi donne, quando vogliamo qualcosa, ce la prendiamo. Non ci sono regole, non c’è etica. Punto e basta. È una giungla»), riserva a Rosalba un’appassionata difesa d’ufficio del proprio mestiere di escort («[…] è un lavoro come un altro, a volte molto duro e difficile ma che raramente comporta di doversi umiliare») e consente a Ludovico un bilancio doloroso della sua vita («Insomma, io non ho niente più per cui combattere, capisce, Pisello? Niente. E attorno a me vedo tanta gente già morta da anni che pensa di essere viva perché passa metà dell’anno a discutere di dove fare la crociera e l’altra metà a commentare quant’è stata bella la crociera»).
Ovviamente, il tutto approda a un lieto fine che più lieto non si riuscirebbe a immaginare: Massimo ottiene la promozione grazie all’intercessione autoritaria di Giuliana presso il marito, Valeria viene mandata a quel paese, Giuliana (che aveva sempre saputo della relazione del marito, tacendo per amore) e Rosalba (che decide di lasciare Ludovico) diventano amiche e Rosalba resta nell’appartamentino di Massimo, meditando di tornare al vecchio lavoro di logopedista ora che intravvede la possibilità di una nuova e sincera relazione con lui.

Fioretta Mari è la Signora Forgione

Fioretta Mari è la Signora Forgione

Venendo adesso all’allestimento, constato che, rispetto al testo, toglie certe cose e ne aggiunge altre. Sempre per fare qualche esempio, toglie: opportunamente qualcuna delle battute di cui sopra circa la balbuzie di Massimo, i palpeggiamenti di Rosalba fra le cosce di Massimo e le tirate «ideologiche» e opportunisticamente (visto che ora de Giovanni è approdato anche lui al piccolo schermo) le frecciate contro la televisione; e aggiunge: sguaiatamente una battuta di Valeria rivolta al suo amante idraulico («Ero una ragazza appilata e tu mi hai spilata») e pecorecciamente, a beneficio di chi non avesse ancora capito, il quadro di un rubinetto esattamente simile al disegno dell’attributo maschile che compare di solito nei bagni delle stazioni.
In breve, la partita fra il testo e l’allestimento finisce zero a zero. E per di più, la regia di Vincenzo Incenzo esaspera il già insistito tono macchiettistico dell’insieme attraverso l’invenzione di tutta una serie d’iperboli, gag e pantomime adeguate: dalla tuta mimetica e dall’elmetto di cui dota la Forgione al «Però!..» sorpreso e compiaciuto che sussurra Rosalba quando, nel sedersi sulle ginocchia di Ludovico, va a finire sulla bottiglia di champagne che lui tiene fra le gambe e che lei, naturalmente, scambia per un’altra cosa. Senza contare lo «strascino», aperto da un assai elegante «Meza latrina!» elargito a Massimo, che ci regala Valeria prima di andarsene.
Non resta che annotare la solerzia con cui gl’interpreti – Serena Autieri (Rosalba), Tosca D’Aquino (Valeria), Giovanni Scifoni (Massimo), Fioretta Mari (la Forgione, qui chiamata semplicemente «signora» e privata del faro), Biancamaria Lelli (Giuliana) e Pierluigi Misasi (Ludovico) – s’adoperano per trasmettere tutto questo al pubblico. E la cronaca della «prima», che ha riservato parte dell’incasso alla Fondazione per la Prevenzione e la Ricerca in Oncologia, registra, di conseguenza, le risate che, per fare un solo esempio, sono arrivate ogni volta che si sentiva la parola «zoccola». Hoc erat in votis.
Insomma, io continuo a sospettare che non siamo messi troppo bene. Voi che ne dite?

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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