A cena con Edipo: si finisce col dessert «Se non ora quando»

Marina Occhionero e Oscar De Summa in un momento de «La cerimonia», in scena fino a domenica al Fabbrichino (le foto che illustrano l'articolo sono di Duccio Burberi)

Marina Occhionero e Oscar De Summa in un momento de «La cerimonia», in scena fino a domenica al Fabbrichino
(le foto che illustrano l’articolo sono di Duccio Burberi)

PRATO – «Me ne frego di come si chiama il mio vicino, di far fare lo scontrino al bar, del calo demografico e della mancanza di prospettive. Me ne frego degli animali allevati in batteria, della mancanza di rispetto verso i vecchi e del traffico nelle ore di punta. Galleggio sulla superficie delle cose». E ancora, tanto perché non sussista il benché minimo dubbio: «Abitudine e indifferenza sono i miei sentimenti più comuni. Non sono rappresentativa di niente. Io non odio, io provo un non-odio».
Ecco, si presenta così Edi, la protagonista del testo di Oscar De Summa, «La cerimonia», il cui allestimento, prodotto dal Teatro Metastasio, è in scena al Fabbrichino fino a domenica. E provate a indovinare di quale nome funge da diminutivo Edi. Forse ci riuscirete più facilmente se vi dico che del nome degli altri personaggi viene indicata solo l’iniziale: G, L e T.
Ma sì, Giocasta, Laio e Tiresia. Ed Edi, ovviamente, sta per Edipo. In breve, De Summa riattraversa la tragedia di Sofocle alla luce dell’astenia – morale, psicologica e culturale – che connota in maniera totalizzante i nostri giorni. E come il suo testo non è una semplice esercitazione drammaturgica (o, se più vi piace, un divertissement), allo stesso modo il tema che sviluppa, il conflitto fra genitori e figli, è solo apparente, nel senso che qui siamo di fronte a un «post-conflitto», a quello che potremmo definire un conflitto di terza generazione.

Vanessa Korn è Giocasta

Vanessa Korn è Giocasta

Infatti, quest’Edipo-ragazza – alle prese con una madre Giocasta preoccupata solo che lei rientri all’ora stabilita, con un padre Laio improvvisamente travolto da una relazione omosessuale e con uno zio Tiresia che s’atteggia a strizzacervelli casalingo – dichiara ai genitori di non provare verso di loro il rancore che essi hanno provato per i propri: «Non vi odio, io vi non-odio, io provo per voi non-odio, che non è niente, è non-odio, qualcosa che ha a che fare col senso della vita, credo, con il nostro passare leggeri sulla terra. Il mio è non-odio perché non mi avete lasciato niente che valga la pena di odiare».
Come si vede, adesso l’Edipo-ragazza sposta sul versante ontologico la dichiarazione («Io non odio, io provo un non-odio») che all’inizio aveva fatto nei termini dell’individualismo. Il cerchio si chiude senza scampo. E a me torna in mente, ancora una volta, l’acuta e insuperata analisi di Jean-Pierre Vernant: «In Sofocle, sovrumano e subumano si riuniscono e si confondono nello stesso personaggio. E poiché questo personaggio è il modello dell’uomo, scompare ogni limite che permetterebbe di definire la vita umana, di fissare senza equivoco il suo statuto. Quando, alla maniera di Edipo, l’uomo vuole condurre fino in fondo l’inchiesta su ciò che è, si scopre enigmatico, senza consistenza né ambito che gli sia proprio, senza appiglio fisso, senza essenza definita, oscillante fra l’uguale a Dio e l’uguale a nulla».
Non restano che le parole. Ma vengono usate – precisa De Summa in un passo decisivo – solo in questo modo: «si buttano parole tra gli uomini / come si buttano ossi ai cani / poi guardarli sbranarsi / fino al loro più oscuro significato». E un acre umorismo arriva a sottolineare tanta impotenza. Quando Giocasta gli rimprovera di restarsene indifferente dinanzi al fatto che la figlia non è ancora rientrata, Laio replica: «Al momento ho un grosso dubbio. Non so se chiamare le teste di cuoio per un intervento di massima urgenza o se basta una segnalazione ai servizi segreti». E quando, per offrire un altro esempio, Laio gli espone il proprio terrore d’essere considerato gay, Tiresia lo consola dicendo: «In fondo cos’è un gay? È un amico che si diverte alle tue spalle…».

Marco Manfredi è Laio

Marco Manfredi è Laio

Ora, venendo all’allestimento di un simile testo, firmato dall’autore stesso, la prima osservazione da fare è che – se nel suo riattraversamento dell’«Amleto» («Amleto a pranzo e a cena») De Summa basava la rappresentazione sull’intero spettro dei generi: dalle improvvisazioni della Commedia dell’Arte alle convenzioni della Doriglia-Palmi, dall’avanspettacolo al circo, dal teatro dei pupi a quello delle ombre – oggi, e non poteva essere diversamente, riveste il plot con una colonna sonora tratta dalla più emblematica e risentita musica amata dai giovani: Skunk Anansie, Communicators & Black Experience Band, Red Hot Chili Peppers, The Fabulous Originals, Radiohead, Massive Attack, Manu Chao…
Obbligata, dunque, era anche la conclusione con la «cerimonia» di cui nel titolo, ovvero con la cena di gala che Edi offre ai familiari. Cercando sulla rete esempi di menu creati da grandi chef per occasioni importanti, la ragazza ha preparato piatti che, poniamo, vanno dall’entrée «La nostalgia: stavamo meglio quando stavamo peggio» ai desserts «Non ci resta che piangere» e «Bando alle ciance. Se non ora quando».
Quest’ultimo «piatto» si spiega col fatto che Edi, alla fine della cena, rivela ai familiari di averli avvelenati con l’«acqua tofana», un veleno usato, pare, anche da Lucrezia Borgia. Ma forse non è vero, forse sta scherzando. Forse. L’unica cosa certa è che lei, Giocasta, Laio e Tiresia funzionano come equivalenti di quei «piatti», alzandosi a turno dal lungo tavolo in fondo alla scena e venendo alla ribalta, da soli o in coppia, per recitare (da attori ad un tempo provetti e stanchi) i loro monologhi e dialoghi o, addirittura, per abbandonarsi a svagati «numeri» coreografici.
Infine, assai bravi risultano gl’interpreti: a partire dalla ventitreenne Marina Occhionero, che con la sua faccina d’angelo sottolinea ulteriormente, per contrasto, la terribilità di quanto dice Edi. L’affiancano lo stesso Oscar De Summa (Tiresia), Vanessa Korn (Giocasta) e Marco Manfredi (Laio). E insomma, dopo «Un quaderno per l’inverno» di Armando Pirozzi, trovo ne «La cerimonia» la conferma di quanto sia meritoria la politica che il Metastasio va attuando col dare sostegno e spazio ai testi «eccentrici»: quelli, cioè, che sono lontani dal centro, ossia dall’avvilente e avvilito teatro di consumo in auge.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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