Giorgione e le sette meditazioni di Anagoor contro l’Anticristo

Marco Menegoni in un momento di «Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione» (le foto dello spettacolo e di Simone Derai sono di

Marco Menegoni in un momento di «Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione»
(le foto dello spettacolo e di Simone Derai sono di Andrea Pizzalis)

NAPOLI – C’è da chiedersi perché Anagoor – uno dei gruppi più interessanti e culturalmente attrezzati nel panorama dell’odierno teatro di ricerca italiano – abbia deciso di allestire uno spettacolo come questo «Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione» dato, purtroppo per un solo giorno, nell’ex Asilo Filangieri. E in altri termini, c’è da chiedersi perché un gruppo che fonda la propria ricerca su un atteggiamento scientifico verso il mondo abbia voluto occuparsi di un pittore la cui vicenda umana e artistica si fonda, al contrario, sulla distanza da quello.
Mi viene in mente, al riguardo, ciò che molti anni fa scrisse Virgilio Lilli: «La realtà più precisa di Giorgione è la sua irrealtà. La sola certezza che abbiamo di lui è che nulla di lui è certo». E aggiunse che, pur tangibilmente radicato nel Rinascimento, Giorgione «è allo stesso tempo presente e assente, non solo, ma la sua presenza è tanto più viva quanto più evidente è la sua assenza, come la sua assenza è tanto più evidente quanto più è viva la sua presenza».

Autoritratto di Giorgione

Autoritratto di Giorgione

Insomma, possiamo riandare pure all’affermazione paradigmatica di Carmelo Bene: «Io sono là dove manco». E si capisce, dunque, perché – in tutta la saggistica riguardante Giorgione – le parole che ricorrono con maggiore frequenza siano «enigma», «rebus» e «mistero», con il corollario riassuntivo del «mito». Niente è sicuro circa quell’artista vertiginoso: non il nome, non la data di nascita, non la famiglia; e nessuna delle sue opere, peraltro non attribuibili al di là di ogni dubbio, è firmata. Né risultano decifrabili i loro significati.
Ebbene, mi sembra evidente che proprio quest’aura d’«irrealtà» abbia suscitato l’interesse di Anagoor. Non a caso il testo del suo spettacolo – firmato da Simone Derai e Laura Curino – comincia con l’insistere su una simbolica «nebbia». Così come non è un caso che la quarta delle sette «meditazioni» qui proposte verta sulla tela definita dei «Tre filosofi».
In quella tela, lo sappiamo, compaiono un vecchio, un uomo d’età media e un giovane. E un’interpretazione del dipinto in chiave cristiana identifica i tre personaggi con i Re Magi. Ma colpisce il fatto che il giovane, per quanto dotato di compasso e regolo a squadra, fissa lo sguardo su una grotta vuota. Di modo che lo si è identificato con l’Anticristo. Ed è giusto su quest’ultima identificazione che punta Anagoor.

Le citazioni come arredi

Le citazioni come arredi

Abbiamo, sì, gli strumenti della conoscenza (il compasso e il regolo a squadra), ma ci rifiutiamo, oggi, a una conoscenza che sia sinonimo di vita: «L’Anticristo – scrivono Derai e la Curino – è l’orrore di un’umanità che guarda solo se stessa. Un’umanità che rinasce dalla storia e si crede sempre eternamente giovane. Un’umanità che volge le spalle alla storia, alla filosofia, all’esperienza altrui e si fida delle sue sole misure, insofferente all’imparare dai saggi di altri mondi».
Dunque, Anagoor non smentisce l’atteggiamento scientifico di cui dicevo. Ma è tempo, adesso, di analizzare lo spettacolo in sé, premettendo che – siccome risale agli esordi del gruppo – «Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione» costituisce una vera e propria dichiarazione di poetica.
Le «sette meditazioni» in questione corrispondono ad altrettanti dei celebri dipinti attribuiti a Giorgione: appunto i Tre Filosofi, la Pala di Castelfranco, i ritratti, la Tempesta, la Venere di Dresda, Giuditta con la testa di Oloferne e il Fregio delle Arti Liberali. E se nel corso del prologo e delle «meditazioni» compaiono citazioni dai «Sonetti villaneschi» di Giorgio Sommariva, da «Le vite» di Giorgio Vasari, da «De occulta philosophia» di Agrippa von Nettesheim e da «De rerum natura» di Lucrezio, fra le diapositive dei dipinti suddetti fanno irruzione i filmati relativi all’attentato contro le Torri Gemelle: a stabilire, è chiaro, l’ennesima conferma nell’attualità dell’«orrore» rappresentato dall’Anticristo.

Simone Derai

Simone Derai

Attenzione, però: il richiamo all’attualità non si determina solo per vie esterne, appunto tramite quei filmati, ma anche e soprattutto sul piano strutturale dell’allestimento. Le citazioni predette – invece che manifestarsi, come di solito avviene, prima o accanto rispetto al testo – qui concidono perfettamente con l’accadimento scenico, fino a rivelarsi, addirittura, sotto specie di puri e semplici arredi: se dobbiamo badare a quei libri dai quali l’interprete (il bravissimo Marco Menegoni) le legge e che figurano poggiati in bella vista su un sostegno al fianco del suo microfono.
Proprio il microfono, poi, costituisce la verifica definitiva dell’intelligenza e della ferrea strategia concettuale messe in campo da Anagoor. Marco Menegoni ne ha davanti due: in uno, quello normale, riversa le parti narrative o didascaliche del testo e nell’altro, a reverbero, le parti in dialetto veneto e, soprattutto, le parole degl’interlocutori durante i dialoghi. Col che si mette l’accento sul fatto che la diversità naturale che dovrebbe presiedere al rapporto con l’«esperienza altrui» diventa nei nostri giorni solitari una diversità artificiale.
Non occorre, infine, sprecare parole sulla funzionalità creativa che in ordine a tutto questo dispiega la regia dello stesso Simone Derai. E piuttosto voglio dire che in «Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione» – uno spettacolo, si sarà capito, rigoroso e amorevole insieme – circola pure il segreto calore che fu delle messinscene indimenticabili del Fiat Teatro Settimo capeggiato, appunto, da Laura Curino. Perché le ultime parole del testo sprigionano la fraterna speranza che un giorno, fuori dalla nebbia, il figlio dei figli dei figli «sieda qui a meditare con spirito lieto e sentimento in un febbraio che ancora veda la luce di un altro tempo».

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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