La caduta di Tony Pagoda da New York ad Ascoli Piceno

Iaia Forte in una scena di «Tony Pagoda - Ritorno in Italia» (le foto sono di Luigi Maffettone)

Iaia Forte in una scena di «Tony Pagoda – Ritorno in Italia» (le foto sono di Luigi Maffettone)

NAPOLI – «Se parlate al rallentatore è meglio che ve ne state a casa. Se poi cominciate con cazzate tipo “Sai cosa penso” o “Io ritengo che al giorno d’oggi” potete pure sventolare il fazzoletto bianco. Ci vuole un ritmo elettrizzante, un battito che, perlopiù, viene fornito dagli aggettivi. Spiazzanti e convincenti, iperbolici e precisi. Gli aggettivi seducono, i sostantivi annoiano. Gli aggettivi li dovete dispensare con generosità, e vedrete che andrete a letto con chiunque, a meno che non avete di fronte una lobotomizzata assoluta».
È un passo di una delle «lezioni sulla seduzione» che impartisce Tony Pagoda, il personaggio – quarantaquattro anni, cantante di night, cocainomane ed egocentrico quanto basta per dire a una giornalista: «Se a Sinatra la voce l’ha mandata il Signore, allora a me più modestamente l’ha mandata San Gennaro» – protagonista del romanzo di Paolo Sorrentino «Hanno tutti ragione». Lo ritroviamo (sarà in scena ancora stasera e domani) al Piccolo Bellini, nello spettacolo di Iaia Forte «Tony Pagoda – Ritorno in Italia».

Iaia Forte in un'altra scena

Iaia Forte in un’altra scena

Si tratta del secondo capitolo della saga teatrale che appunto a Tony Pagoda va dedicando Iaia, dopo l’«Hanno tutti ragione» di tre anni fa. E se nel primo assistevamo al trionfo di Tony nel Radio City Music Hall di New York (tra il pubblico, dice lui, c’era perfino Sinatra), qui assistiamo alla sua caduta sul palco di Ascoli Piceno, per il concerto di fine 1979. Una sottile malinconia, dunque, s’insinua tra i fuochi d’artificio sparati in concorrenza con quelli reali dalla prosopopea del nostro sciupafemmine canterino.
Del resto, Tony Pagoda è un personaggio che va molto al di là dell’aura grottesca e picaresca che lo avvolge in superficie. Per esempio, sa trovare un’impagabile e sacrosanta frecciata contro la retorica populista che presiede al consumo culturale di massa: «I musei civici mi rattristano fino a spingermi al suicidio». E, da seduttore, mette in campo una strategia di sopraffina consistenza psicologica: «Se avete davanti a voi un puttanone fenomenale non dovete dire robe del tipo “ti scoperei”. Al puttanone rifilate il “ti amo”. Alla romanticona del secolo scorso osate pure il “ti legherei alla spalliera del mio letto”».
Insomma, come già ho avuto modo di osservare, il personaggio di Sorrentino consiste in un paradosso fatto di ossimori. E di qui – ripeto quanto scrissi recensendo «Hanno tutti ragione» – il pregio, oltre che la godibilità, di uno spettacolo in cui è una donna a interpretare un uomo tanto «eccessivo»: giacché l’«eccesso» di Tony Pagoda (e in ciò sta il suo fascino) nasconde una fragilità di natura propriamente femminile, e proprio nel senso ambiguo e ambivalente che al termine attribuisce Amleto.

Iaia Forte e Francesca Montanino

Iaia Forte e Francesca Montanino

Nella circostanza, Tony tira fuori una considerazione amarissima che non pochi potrebbero adottare: «La porca verità è che capisci cosa significa avere la vita davanti quando quella si è posizionata tutta dietro»; e se in precedenza aveva riassunto la sua filosofia di vita con un «Piacere, piacere e compiacere. E tutto per spostare sempre un po’ più in là la vecchiaia», alla fine conclude con uno stoico: «Voglio infilare gli occhiali da vista e guardare la vecchiaia», ribadito da un «Sì, guardarla la vecchiaia».
Diavolo d’un Tony Pagoda. Immagino che – dopo qualche altra scopata e qualche altro concerto in quel di Canicattì o di Cinisello Balsamo – potrà persino destare l’eco delle ultime parole di Adriano: «Cerchiamo d’entrare nella morte ad occhi aperti…». Ed è inutile, a questo punto, dire quanto sia brava Iaia Forte a rendere le sfumature di un personaggio del genere. L’assiste al meglio, nel ruolo di «spalla», Francesca Montanino. E se c’è un neo, in «Tony Pagoda – Ritorno in Italia», sta nel balletto conclusivo in chiave hawaiana, pleonastico (perché il sogno dei Tropici è già nel testo) e contraddittorio (perché, come ho sottolineato, alla fine Tony dichiara che non vuole più «evadere»). Ma, beninteso, parliamo di un neo assai facile da eliminare.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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