L’«humour» britannico
s’arrende all’avanspettacolo

Sergio Assisi nei panni dell'ispettore Drake (foto di Marina Alessi)

Sergio Assisi nei panni
dell’ispettore Drake
(foto di Marina Alessi)

NAPOLI – Dunque, Sergio Assisi – protagonista dell’allestimento de «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» di David Tristram in scena al Diana – ha dichiarato che, in quanto autore dell’adattamento del testo originale e regista (esordiente, n.d.r.), il suo scopo è stato quello di fondere l’humour britannico e la comicità nostrana. Un triplo salto mortale senza rete e dagli esiti assolutamente problematici. Ma, se non altro, poteva offrire allo spettatore informato e curioso il gioco di scoprire, nello spettacolo, che cosa è di Tristram e che cosa è di Assisi.
Invece, ti piombano fra capo e collo battute del genere: all’ispettore Drake, che gli ha detto: «La vedo ferrato in fatto di pesce», il sergente Plod risponde: «Papà faceva l’urologo»; e, per fornirvi un altro esempio, lo stesso sergente Plod, quando legge in un suo libretto gli articoli delle procedure investigative in uso a Scotland Yard, li confonde con i numeri della propria personale Smorfia, sì da uscirsene con un «43: Donna Pereta affacciata al balcone».
Il gioco a cui ho accennato risulta, quindi, sostanzialmente impraticabile, perché nessuno di voi, credo, potrebbe attribuire a Tristram queste battute. Di modo che il plot – si parte da un misterioso dottor Short che chiama lo squinternato ispettore e il sergente cretino a indagare sulla scomparsa della moglie Victoria – prende la strada di un abborracciato e, come s’è visto, alquanto sboccato avanspettacolo. E dunque finiscono per essere neutralizzate anche le poche sortite sia pur vagamente riferibili all’umorismo di marca inglese, tipo: «L’omicidio non è mai una cosa piacevole, specialmente per chi viene ammazzato».
Del resto, che qui si persegua, fondamentalmente, il divertimento facile e superficiale è dimostrato, e sempre per fare un esempio, dal reiterato ricorso – soprattutto quando entra in scena una versione «en travesti» di Sabrina, la figlia di Short – a gag e pantomime fondate sul doppio senso e sull’equivoco triviali (vedi, e chiudo con gli esempi, la torcia elettrica scambiata per il membro e che costituisce una variazione sul tema rispetto alla battuta rivolta a Short da Drake: «Mi aspetto da lei un’erezione (voleva dire, è ovvio, collaborazione, n.d.r.) totale»).
Fra gl’interpreti spicca, nel ruolo del sergente Plod, il sempre bravo Francesco Procopio. Gli altri sono Luigi Di Fiore (Short), Beatrice Gattai (Sabrina) e Fabrizio Sabatucci (la Sabrina «en travesti»). E paradossalmente il meno convincente è proprio Sergio Assisi nella parte di Drake. Ma, per parafrasare la celeberrima battuta che Humphrey Bogart pronuncia nel film «L’ultima minaccia», «è la televisione, bellezza!». Sicché si registrano le risate e gli applausi a gogò di quanti vengono a rivedere l’Umberto Galiano di «Capri», avendo deciso in anticipo che, per l’appunto, bisogna ridere e applaudire qualsiasi cosa Assisi faccia o dica.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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4 risposte a L’«humour» britannico
s’arrende all’avanspettacolo

  1. Alberto Lezzi scrive:

    Sono assolutamente d’accordo, caro Enrico. Purtroppo i modelli televisivi distruggeranno sempre più il Teatro!
    Alberto Lezzi

  2. Enrico Fiore scrive:

    Caro Alberto,
    al riguardo c’è poco da fare. L’unico rimedio di qualche efficacia consiste, mi sembra, nel vedere meno televisione e nell’andare di più a teatro, evitando accuratamente gli spettacoli che basano la propria ragion d’essere solo (o prevalentemente) sulla presenza del divo del piccolo schermo di turno, a sua volta ingaggiato solo (o prevalentemente) perché funga da specchietto per le allodole.
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  3. Patrizia Riccio scrive:

    Mi spiace contraddirla, ma credo che lei non abbia mai visto una rappresentazione dell’opera di Tristam prima di questa, perché la stessa, che io ho visto rappresentata più volte, è rimasta quasi integralmente nella rappresentazione teatrale di Assisi, certamente con l’aggiunta di alcune battute atte a renderla fruibile ad un pubblico diverso. Per quanto riguarda Assisi vorrei ricordarle che è un attore che viene dal teatro e diplomato all’Accademia del Bellini.
    P.S. Lo spettacolo è il suo e i soldi investiti in questo spettacolo sono i suoi, non è stato ingaggiato da nessuno. Credo che siano più i vostri giudizi ad essere prevenuti e non gli applausi e risate della gente.
    Cordiali saluti.
    Patrizia Riccio

  4. Enrico Fiore scrive:

    E’ vero che io non avevo “mai visto una rappresentazione dell’opera di Tristam prima di questa”, ma, ripeto, sono assolutamente convinto che con il testo dell’autore inglese c’entrino davvero poco le battute triviali (nella recensione ne ho citato solo alcune) che compaiono nell’adattamento di Assisi. E altrettanto convinto rimango del fatto che non sono certo quelle battute a rendere il testo originale “fruibile ad un pubblico diverso”. Quale sarebbe, poi, questo “pubblico diverso”? A me pare che sia “diverso” solo nel senso che è ancora capace di ridere, nell’anno di grazia 2017, quando sente nominare il “pesce” (ovviamente, nel senso, volgarissimamente napoletano, di organo sessuale maschile).
    Per quanto riguarda Assisi, potrà anche essere “un attore che viene dal teatro” e che è “diplomato all’Accademia del Bellini”. Ma, in proposito, restano una domanda e una constatazione. La domanda è: che cosa ha fatto in teatro Sergio Assisi? E la constatazione è: con tutto il rispetto, l’Accademia del Bellini non si può paragonare, per esempio, all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma.
    Infine, che lo spettacolo sia di Assisi e che suoi siano i soldi spesi per allestirlo non contraddice la circostanza che, evidentemente, i teatri mettono in cartellone “L’ispettore Drake e il delitto perfetto” grazie al richiamo che esercita presso il pubblico di massa la fama televisiva dello stesso Assisi. Perché, appunto, Assisi è diventato un beniamino del pubblico in virtù della sua partecipazione a “Capri” e non in virtù, poniamo, della sua interpretazione di “Amleto”.
    Chiudo precisandole che io non sono affatto “prevenuto”, contro alcuno spettacolo e contro alcun autore o regista o attore. Faccio il critico teatrale da oltre cinquant’anni, l’ho fatto per grandi giornali nazionali e sviluppo non giudizi fondati sul gusto o sulle simpatie o antipatie, ma analisi fondate sui dati concreti (come, giusto, le battute riprese dall’adattamento di Assisi) che mi fornisce lo spettacolo di volta in volta preso in esame. E, glielo faccio notare “en passant”, “gli applausi e le risate della gente” erano in maggioranza, quando ho visto io lo spettacolo, quelli degli invitati, fra i quali, maggioranza nella maggioranza, molti dei colleghi di Assisi.
    Le ricambio i saluti, con altrettanta cordialità.
    Enrico Fiore
    P.S. Ma perché, lei che conosce così bene l’autore inglese del quale parliamo, ne sbaglia il cognome, scrivendo “Tristam” e non Tristram?

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