NAPOLI – A due spettacoli precedenti fa subito pensare questo «Teatro del Porto» che la compagnia Gli Ipocriti presenta al Diana per la regia di Maurizio Scaparro e con Massimo Ranieri mattatore: a «Viviani Varietà», dato tre anni fa sempre al Diana, sempre per la regia di Scaparro e sempre con Ranieri mattatore; e a «Napoli: chi resta e chi parte», il mitico allestimento di Giuseppe Patroni Griffi che spopolò al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1975.
In effetti, sono sostanzialmente simili «Teatro del Porto» e «Viviani Varietà»: si tratta, in entrambi i casi, di un’antologia dei canti, delle poesie e giusto dei «numeri» di varietà più noti di Don Raffaele condita con qualche brano di suoi scritti vari, a cominciare dall’autobiografia «Dalla vita alle scene».
L’unica differenza è che in «Viviani Varietà» s’immaginavano le prove che Viviani e la sua compagnia, partiti per una tournée in Sud America, facevano a bordo del piroscafo «Duilio» in vista delle recite a Buenos Aires, mentre in «Teatro del Porto» s’immagina la recita di commiato dal loro pubblico che Viviani e la sua compagnia danno, prima della partenza, nell’altrettanto immaginario teatro di cui nel titolo.
Insomma, e curiosamente, «Teatro del Porto» costituisce, dopo, il prologo del «Viviani Varietà» allestito tre anni prima. E per quanto riguarda la somiglianza fra «Teatro del Porto» e «Napoli: chi resta e chi parte», constatiamo non solo la presenza di Ranieri in entrambi gli spettacoli, ma anche e soprattutto il fatto che comparivano nell’allestimento di Patroni Griffi (composto, come si sa, dagli atti unici «Caffè di notte e giorno» e «Scalo marittimo») ben sei brani che compaiono anche nell’allestimento di Scaparro che stiamo esaminando: «Canzone ‘e Margherita», «E aspettammo», «Stasera ‘o puorto ‘e Napule», «Chisto è ‘o vapore», «Emigrante» e «Jammo addo’». Ma, poi, tra i due allestimenti c’è una differenza stavolta gigantesca e assolutamente decisiva.
In «Napoli: chi resta e chi parte» Patroni Griffi «gelava» quanto c’è di sanguigno e carnale (e cioè quanto a una lettura superficiale può riuscire patetico) nei brani citati, calandoli in un’ovattata e asfittica atmosfera da Mitteleuropa. Patroni Griffi, in breve, portava a termine una decisa e meritoria operazione di rottura contro i canoni dell’oleografia, nel solco di Brecht e di un caffè concerto ravvicinato al Kabarett espressionistico. Mentre, in «Teatro del Porto», Scaparro s’attiene ai soliti bozzetti naturalistici: ciò che contraddice tanto il teatro in generale, ch’è sempre il regno del simbolo e non può mai essere quello del realismo, quanto il teatro di Viviani in particolare, connotato non a caso da una lingua non descrittiva ma costitutiva.
È non meno curioso, peraltro, che io abbia detto queste stesse cose nella relazione «Le lingue napoletane del teatro» che tenni nel marzo del 2011 a Firenze, nell’ambito del convegno che proprio Maurizio Scaparro organizzò presso l’Accademia della Crusca sul tema «La lingua italiana e il teatro delle diversità». E sostenni (la relazione è compresa negli atti del convegno pubblicati dalla stessa Accademia della Crusca) che lo scarto fra il «descrittivo» e il «costitutivo» traduce, in Viviani, una ben rilevata posizione ideologica.
Questo a prescindere dalle debolezze tecniche ed espressive di non pochi degl’interpreti di «Teatro del Porto»: poiché, ripeto, a proposito di Viviani davvero non è questione di forma, ma di pura e semplice sostanza. E al riguardo metto da parte, naturalmente, anche l’impossibile paragone con gente che s’è chiamata, tanto per fare solo qualche nome, Angela Luce, Angela e Marina Pagano, Peppe Barra e Rosalia Maggio.
Il peso dello spettacolo cade, dunque, soprattutto sulle spalle di Massimo Ranieri: che anche nella circostanza si confermano quelle dello showman più dotato e completo in circolazione oggi in Italia. Uno showman che per giunta, quando fa l’attore, è capace, ad esempio, di conferire uno straziante tono drammatico a un brano apparentemente solo sarcastico come «Cuncetti’».
Fra gli altri si distinguono Ernesto Lama e Angela De Matteo. Le elaborazioni e le ricerche musicali sono di Pasquale Scialò, che, per dirne una, cita in apertura il tango-canzone «Pifiaste» destinato a Viviani, nel ’29, dal compositore italo-argentino Rafael Buonavoglia. E l’orchestrina guidata al pianoforte da Ciro Cascino conduce tranquillamente lo spettacolo verso il prevedibile successo in termini commerciali ch’era nei voti.
Enrico Fiore
Salve, volevo sapere se si trattava dello stesso Enrico Fiore che ha curato lo spettacolo “Canto a Viviani”.
Lucio Vacchiano
Sì, sono lo stesso Enrico Fiore che ha curato lo spettacolo “Canto a Viviani”.
Grazie dell’attenzione e tanti auguri per il nuovo anno.
Enrico Fiore