La recita della giustizia come strumento di potere

Jurij Ferrini nell'allestimento di «Misura per misura» prodotto dallo Stabile di Torino (foto di Bepi Caroli)

Jurij Ferrini nell’allestimento di «Misura per misura» prodotto dallo Stabile di Torino (le foto sono di Bepi Caroli)

TORINO – «Sia severo ma sia Santo / chi la spada usa del Cielo. / A se stesso sia d’esempio, / si sostenga con la grazia, / si abbandoni alla virtù; / ed il prezzo fatto agli altri / sia lo stesso anche per sé. / Guai usare due misure, / guai uccidere chi fa / quel che tu vorresti fare!».
È (nella traduzione di Cesare Garboli) una delle battute decisive del Duca di Vienna, il personaggio protagonista di «Misura per misura» di Shakespeare. E dunque, sembrerebbe proprio trattarsi di un acceso predicatore che tuona dal pulpito. Ma il Duca è anche un teatrante a tutto tondo: fa l’attore (si traveste da frate per verificare il comportamento del cugino Angelo, al quale ha lasciato la cura del governo fingendo di doversi allontanare dalla città); il regista (quando scopre che lo stesso Angelo pretende dalla novizia Isabella che gli si offra in cambio della vita del fratello Claudio, da lui condannato a morte, spedisce nel letto del vicario Mariana, la fidanzata ripudiata da quest’ultimo); e addirittura il truccatore (invece della testa di Claudio manda ad Angelo quella di un altro detenuto morto in carcere, suggerendo, per renderla simile all’«originale», gli accorgimenti del caso: a partire dal taglio della barba e dei capelli).

Matteo Alì è Angelo

Matteo Alì è Angelo

Insomma, «Misura per misura» – che appartiene, nell’arco della produzione shakespeariana, al gruppo dei «problem plays» (dei drammi problematici) o delle «dark comedies» (delle commedie nere) che dir si voglia – è un testo che può esser letto sia come una meditazione di carattere etico-religioso sul tema della giustizia intesa quale strumento di potere (giacché, e davvero non a caso, il titolo e il nucleo del plot rimandano al Discorso della Montagna nella versione riportata dal Vangelo secondo Matteo), sia come un’allegoria estetica (nel senso che, per ripetere le parole di Gabriele Baldini, il Duca travestito da frate non sarebbe, appunto, che «il poeta di teatro, che manovra, con egoistico divertimento, i propri personaggi come marionette rassegnate a un destino affatto passivo»).
Parliamo, allora, di un testo quant’altri mai complesso, e in pari tempo ambivalente e ambiguo. Lo stesso Garboli lo definì come «una puledra selvaggia che ti attende ferma in un prato… e quando allunghi una mano per avvicinarla, agita la criniera e scappa lungo un sentiero che conosce solo lei».
Di qui, del resto, il fatto che si tratti di un testo fondato – proprio in rapporto alle due chiavi di lettura che ho indicato – sulla strenua commistione di «alto» e «basso», con il conseguente e costante alternarsi dei registri tragico e comico. E di tanto Jurij Ferrini – regista dell’allestimento di «Misura per misura» che lo Stabile di Torino presenta al Gobetti – mostra di rendersi perfettamente conto, a cominciare da ciò che, fra l’altro, osserva nelle sue note: «È importante raccontare la complessità, l’ampiezza, le sfaccettature e perfino le contraddizioni di ogni personaggio».

Angelo Tronca è Lucio

Angelo Tronca è Lucio

Ecco, quindi, che l’ambivalenza e l’ambiguità predette, oltre che la commistione di «alto» e «basso» e l’alternarsi del tragico e del comico, si traducono in una significativa ed efficace coerenza interna della messinscena. Il costumista Alessio Rosati mescola le giacche doppiopetto e i panciotti fine anni Cinquanta dei nobili e dei notabili con i giubbotti di pelle e le tute da ginnastica dei trasgressori della legge, assimilabili ai «borderline» di un qualsiasi quartiere urbano degradato di oggi. E lo scenografo Carlo De Marino piazza la scrivania di Angelo, ingombra di codici, fra pareti annerite cariche di scritte e «murales». Senza contare che gag da spudorato avanspettacolo (vedi il Pompeo che pesta un piede al Bargello) s’intromettono fra le severe considerazioni del Duca.
Tutto questo si riassume ed esalta nella prova che Ferrini fornisce in quanto attore, giacché interpreta sia lo stesso Duca sia Schiuma, il più sbrindellato e sciroccato degli «irregolari» di cui sopra. E d’altronde non manca, Ferrini, di sottolineare a dovere, indirizzandoli direttamente agli spettatori dal proscenio, i passi capitali del testo: la battuta che ho citato all’inizio e questa, sempre del Duca, che davvero pare riferita alla situazione italiana attuale: «[…] ho visto / bollire, ribollire, gorgogliare / la corruzione fino a uscir di pentola. / Questo paese è uno schifo! / Leggi per tutti i crimini, ma i crimini / protetti e tollerati al punto da sembrare / i divieti per burla appesi in fila / nei negozi dei barbieri».
Accanto a Ferrini si distinguono Matteo Alì (Angelo) e Angelo Tronca (Lucio), mentre più deboli appaiono Rebecca Rossetti (Isabella) e Sara Drago (Mariana).
Al termine, fermando gli applausi, Ferrini rende un doveroso e persino commosso omaggio a Shakespeare: ricorrendo pur senza nominarlo all’aureo libro di Bill Bryson «Il mondo è un teatro», fa notare come, delle quasi novecentomila parole contenute nelle opere attribuite al Bardo, ne sono arrivate a noi solo quattordici scritte di suo proprio pugno: sei volte la firma con nome e cognome, spesso in sigla, per un totale di dodici parole, più altre due sole parole, «by me», nel testamento.
Ma naturalmente, aggiungo io, non importa chi le abbia materialmente scritte o trascritte, quelle novecentomila parole: importa che continuino a parlarci al cervello e al cuore.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

4 risposte a La recita della giustizia come strumento di potere

  1. Sara Drago scrive:

    Buongiorno gentile Enrico Fiore.
    È imbarazzante che lei scriva due recensioni utilizzando lo stesso testo scritto in occasione di un’ altro spettacolo fatto a Napoli. Se non sa a cosa mi riferisco, può trovare il link di seguito. E comunque volevo segnalarle che il bravo attore che recita il ruolo di Schiuma non è Jurij Ferrini ma Marcello Spinetta, un bravissimo giovane attore appena diplomato al Teatro Stabile di Torino. Mi domando, a questo punto, se ha davvero visto lo spettacolo e se qualche buon motivo per scrivere ce l’ ha?

    http://www.controscena.net/enricofiore2/?p=1684

    La ringrazio per l’ attenzione.

    Cordialmente.

    Sara Drago

  2. Enrico Fiore scrive:

    Gentile Sara Drago,
    faccio il critico teatrale da oltre cinquant’anni, e questa sarebbe la prima volta in cui avrei commesso un errore tanto clamoroso. E uso il condizionale per il seguente, semplicissimo motivo: in un comunicato stampa ho letto, nell’elenco interpreti/personaggi, l’indicazione “Jurij Ferrini – Vincentio (che è il nome del Duca di Vienna, n.d.r.)/Schiuma e nel programma di sala ho letto, invece, l’indicazione “Jurij Ferrini – Il Duca di Vienna”. Dunque, se errore da parte mia c’è stato, è stato quello di fermarmi a quanto dichiarava il comunicato stampa. Me ne scuso, naturalmente, con gli interessati e con i lettori. Ma, evidentemente, m’era sembrata troppo bella l’idea di un Ferrini che interpretava sia il Duca che Schiuma: infatti, nella recensione l’ho considerata, quell’idea, molto acuta e pertinente. Forse ebbe ragione Giorgio Albertazzi quando disse di me: “È l’unico critico che è anche un artista: capisce e vede tutto, e se non vede qualcosa che secondo lui avrebbe dovuto vedere, se la inventa”.
    D’altronde, capisco che Lei, gentile Sara Drago, conosca bene Marcello Spinetta e lo stimi al punto di giudicarlo prima “bravo” e poi, a distanza di appena un rigo, “bravissimo”, ma non può pretendere che lo conosca altrettanto bene io: sicché non escludo che ai miei occhi, grazie alle magie del trucco, sia potuto passare (complice il comunicato stampa di cui sopra) per Jurij Ferrini che interpretava Schiuma.
    Infine, per ciò che attiene al fatto che ho utilizzato nella recensione di quest’allestimento di “Misura per misura” quanto avevo già scritto (circa il testo, beninteso) nella recensione dell’allestimento di “Misura per misura” firmato a Napoli da Laura Angiulli, La informo che, se è per questo, avevo usato quelle stesse parole anche nella recensione dell’allestimento di “Misura per misura” diretto da Ronconi nel 1992 e proprio allo Stabile di Torino. Ma mi ripeto spesso, del resto; e lo faccio per una scelta precisa. “Repetita iuvant”, dicevano gli antichi. E “iuvant”, mi permetta di credere, soprattutto quando ripeto analisi e considerazioni che reputo non peregrine, in quanto frutto di anni e anni di studio.
    Ma su quelle analisi e considerazioni Lei non spende neppure una virgola, le ignora semplicemente. E a questo punto, mi domando a mia volta se davvero ha letto “Misura per misura” di Shakespeare, oltre che interpretarne (debolmente, ripeto) il personaggio di Mariana. Veda, è quando leggo commenti come il Suo che mi chiedo se ho “qualche buon motivo per scrivere”. Giacché, in fondo, il motivo (mi consenta, assai banale) per cui Lei ha scritto quel commento sta solo nel fatto che io mi sia permesso di giudicare la Sua prova d’attrice, come dire?, non esaltante.
    Infine, anch’io La ringrazio per l’attenzione, che, nel Suo caso, è davvero tanta, visto che, a quanto pare, legge con assiduità persino eroica le mie recensioni e se le ricorda pure a distanza di nove mesi. Dunque Le ricambio il “cordialmente” con persuasione assoluta.
    Enrico Fiore

  3. Lamberto Pirrone scrive:

    Mi permetto di dire che non esiste trucco ( nemmeno ad Hollywood) che possa far assomigliare Jurii Ferrini a Marcello Spinetta, inoltre nella scena dove compare mastro Schiuma la luce proviene prevalentemente dal fronte e a percentuali molto sostenute, cosa che non succede più per tutto il resto dello spettacolo.
    Lungi da me l’intenzione di alimentare polemiche, di sminuire la sua bravura di critico o di mettere in dubbio quello che Albertazzi diceva di lei, ma trovo veramente impossibile che il trucco, le luci o qualsiasi altro fattore tecnico siano responsabili della sua svista.
    La ringrazio per l’attenzione.
    Lamberto Pirrone

  4. Enrico Fiore scrive:

    A mia volta, mi permetto di sospettare che i teatranti dovrebbero denunciare ben altro che la “svista” di un critico, rientrante, come tutti gli errori, fra le cose umane. Di quella “svista” io non ho esitato a scusarmi, con gli interessati e con i lettori. Solo, mi son concesso il tentativo di proporne una spiegazione, se non una giustificazione, in due modi: con le ipotesi: 1) di essere stato fuorviato da un comunicato stampa in cui si diceva che Jurij Ferrini interpretava sia il Duca che Schiuma (in tutta evidenza, non si vede perché quella circostanza avrei dovuto inventarmela io); 2) di essere stato “accecato” dal trucco, che poteva (in concomitanza con il comunicato stampa summenzionato) avermi fatto prendere Marcello Spinetta, che non conoscevo, per Jurij Ferrini. Ma, ripeto, si tratta di pure ipotesi, che in ogni caso non cancellano il mio errore. Di cui qui torno a scusarmi.
    Ciò detto, trovo francamente incomprensibile e inammissibile che una recensione come la mia, lunga ben cento righe (il che oggi non si riscontra in alcun giornale) e fondata su un’analisi particolarmente approfondita del testo shakespeariano (anche grazie alla citazione dei pareri di un anglista illustre come Gabriele Baldini e di un intellettuale della statura di Cesare Garboli), venga svilita e ridotta alla sola condanna senza appello della famosa “svista” in questione. Ma almeno, mi chiedo, i partecipanti all’allestimento di “Misura per misura” che ho visto al Teatro Gobetti di Torino l’hanno capito che è una recensione più che positiva? E anche un’altra cosa mi chiedo, di fronte a questo profluvio di commenti astiosi quale assai raramente m’era capitato di ricevere: se io sono un imbecille e (a detta degli autori di quei commenti) non so fare il mio mestiere, perché mai ci si affanna tanto a voler dialogare con me?
    Gl’imbecilli e i dilettanti si lasciano perdere e basta. Io, almeno, faccio così. E comunque, se ho pubblicato simili commenti, l’ho fatto solo perché sono, oltre che un imbecille e un dilettante, pure un democratico. Col che considero definitivamente chiusa questa inutile “querelle”. Non ho ulteriore tempo da perdere.
    La ringrazio anch’io per l’attenzione e la precisazione tecnica. E mi consolo pensando che, se io ho sbagliato ad attribuire a Ferrini un doppio ruolo, Lei sbaglia (e mi pare molto più grave) a scriverne il nome: non si chiama Jurij?
    Enrico Fiore
    P.S. In un sussulto di generosità, posso tuttavia venirvi incontro. Torno a Torino e voi mi lasciate al botteghino del Teatro Gobetti una pistola carica. Così io entro in sala, mi siedo nella stessa poltrona da cui ho creduto di scorgere Jurij Ferrini al posto di Marcello Spinetta e mi faccio saltare le cervella. Ma prima avrò dato incarico a un notaio di pubblicare su “La Stampa” il seguente necrologio:

    Si è suicidato il noto (e notoriamente cretino e visionario) critico teatrale
    ENRICO FIORE
    per aver erroneamente attribuito a Jurij Ferrini, regista dell’allestimento di “Misura per misura” di Shakespeare dato al Teatro Gobetti di Torino, idee significative, efficaci e coerenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *