E adesso Jennifer si mette a cantare «Mannaggia ‘e rrose»

Isa Danieli in un momento di «Serata d'amore» (foto di Pepe Russo)

Isa Danieli in un momento di «Serata d’amore» (foto di Pepe Russo)

NAPOLI – Nel maggio del 1987, otto mesi dopo la morte di Annibale Ruccello, Manlio Santanelli orchestrò al Nuovo uno spettacolo, «Serata d’amore», che – protagonista Isa Danieli – intendeva essere un omaggio in forma di concerto: giacché, in un viaggio a ritroso nell’opera di Ruccello, dall’ultimo testo al primo, proponeva un’antologia dei brani salienti tratti, nell’ordine, da «Ferdinando», «Week-end» e «Le cinque rose di Jennifer». E non mi piacque, quello spettacolo. Innanzitutto perché grondava di troppe lacrime.
Ma – se al riguardo costituiva un’attenuante per chi aveva pensato e realizzato l’operazione il fatto che una distanza ancora esigua ci separava dalla scomparsa di Annibale, sicché la piena dei sentimenti aveva teso la sua solita e insidiosissima trappola – non erano per niente giustificabili, poi, gli evidenti difetti strutturali dell’allestimento. Come potevano funzionare, sul piano strettamente drammaturgico (e a prescindere dalla questione relativa alla comprensibilità del «plot») dei dialoghi (ripeto, dialoghi) più o meno coerentemente estrapolati dal quadro generale della produzione ruccelliana oltre che dai singoli testi e di cui si sentivano soltanto le battute pronunciate da uno soltanto dei personaggi? Non a caso – e proprio perché gl’interlocutori di Ida risultano in effetti delle semplici «proiezioni» del suo subconscio – il «pezzo» che marciava meglio era quello di «Week-end».
Inoltre – e tanto per fare l’esempio più eclatante circa i contenuti – che cosa restava della tragica ambiguità e del continuo «spiazzamento» nei confronti degli spettatori e dei modelli culturali presi in prestito (ambiguità e «spiazzamento» da sempre assunti come autentica sostanza dalla scrittura teatrale di Ruccello) se a ripetere le battute di Jennifer ed Anna (due travestiti, non dimentichiamolo) si prestava stavolta una donna? Appunto, non rimaneva nulla: giacché la faccenda si spostava sul versante realistico, con la conseguenza di un tipo di «comunicazione» prevalentemente comico.

Annibale Ruccello/Jennifer mentre canta «Vorrei che fosse amore» (foto di Peppe Del Rossi)

Annibale Ruccello/Jennifer mentre canta «Vorrei che fosse amore» (foto di Peppe Del Rossi)

Adesso, a distanza di trent’anni dalla morte di Ruccello, l’Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro ha proposto in apertura di stagione, sempre al Nuovo, una riedizione di «Serata d’amore». E non mi piace neppure questa. Innanzitutto perché – cancellate le lacrime dalla ben maggiore distanza che oggi ci separa da quella morte – restano i difetti di cui sopra, aggravati dal fatto che, nella circostanza, alle lacrime si sostituisce un andamento… diciamo disinvolto e spensierato, tanto per usare due eufemismi.
Mi limito a rilevare che, per quanto concerne «Le cinque rose di Jennifer», qui si aggiungono al testo originale battute come il «Ué, fa’ ampressa ca tengo che ffa’!» rivolto all’«ammiratore» che si sta masturbando al telefono, si dà luogo a equivoci del tipo «all’estero/a letto» e, infine, si fa cantare a Jennifer «Mannaggia ‘e rrose» di Giuseppe Cioffi, con il commento: «Ma pecché m’ ‘a scordo sempe, ‘a seconda parte?». E certo, la gente ride. Ma ricordiamoci che nel testo di Ruccello (e nei suoi allestimenti diretti e interpretati dall’autore) ricorrevano canzoni come «Quatt’ore ‘e tiempo», «Se telefonando», «Grande grande grande», «Ancora ancora ancora», «Vorrei che fosse amore» e «Bugiardo e incosciente» di Mina, «La bambola», «Se perdo te» e «Sentimento» di Patty Pravo, «L’appuntamento» di Ornella Vanoni, «Quattro vestiti» di Milva e «Addò sta Zazà» di Gabriella Ferri. Tutta un’altra musica, appunto. E tutto un altro significato.
Per la cronaca, si sente, registrato, anche un brano di «Notturno di donna con ospiti» poi ripreso nell’episodio «Il mal di denti» di «Mamma». E perché non eseguirlo dal vivo, dal momento che quel testo è dello stesso anno (1983) di «Week-end»? Non resta, insomma, che la solita prova appassionata e tecnicamente ammirevole di Isa Danieli. Ma quella era scontata.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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