Quei fantasmi che sono lo specchio di noi stessi

Da sinistra, Massimo De Matteo, Gianfelice Imparato e Carolina Rosi in «Questi fantasmi!» (foto di Stefano Fortunati)

Da sinistra, Massimo De Matteo, Gianfelice Imparato e Carolina Rosi in «Questi fantasmi!» (foto di Stefano Fortunati)

FIRENZE – Ce lo ricordiamo tutti quello che Pasquale Lojacono, il protagonista di «Questi fantasmi!», dice all’«anima utile» Professor Santanna: «A noialtri napoletani, toglieteci questo poco di sfogo fuori al balcone… Io, per esempio, a tutto rinuncierei, tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell’oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con le mie mani». E ancora: «Mia moglie non mi onora… queste cose non le capisce». E infine: «Neh, scusate?… Chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo… con la stessa cura?… Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente…».

Eduardo protagonista di «Questi fantasmi!» in un disegno di Onorato

Eduardo protagonista di «Questi fantasmi!» in un disegno di Onorato

Ma occorre chiedersi: Pasquale Lojacono sta parlando davvero (o soltanto) del caffè? o sta parlando in realtà (o anche e soprattutto) della vita, che lui deve reinventarsi nei confronti dell’indifferenza crudele del prossimo? È qui, in effetti, l’autentico nodo tematico e ideologico che Eduardo propone in «Questi fantasmi!». E la sottile e persistente ambiguità che connota il «plot» della commedia – se serve all’autore per garantire (e impareggiabilmente) la tenuta dello sviluppo drammaturgico – non basta, poi, a far dimenticare battute decisive come quella rivolta allo stesso Pasquale da Gastone Califano: «Voi non vedete perché non volete vedere, e quando vedete, fate finta di non vedere».
In breve, Pasquale Lojacono – come lui stesso dice e ripete alla moglie (e come anticipa la didascalia di Eduardo che lo descrive: «Ha lo sguardo irrequieto dell’uomo scontento, ma che non si è dato per vinto. Insomma, i guai non lo sorprendono mai») – «non è scemo». E dunque, ai fantasmi – considerando fra questi soprattutto l’amante della moglie, Alfredo Marigliano – finge di credere (o, meglio, da un certo punto in poi crede veramente) perché, giusto l’avvertimento che indirizza all’immancabile professor Santanna, «I fantasmi non esistono, li abbiamo creati noi, siamo noi i fantasmi…». In altri termini – e giova ricordare, per inciso, che la commedia in questione rivela evidenti analogie con «Tutto per bene» di Pirandello – Pasquale Lojacono, per proprio tornaconto, cambia di segno al mondo che lo circonda.

Carolina Rosi è Maria

Carolina Rosi è Maria (foto di Fabio Lovino)

Qui, insomma, s’accampa e deflagra l’autentico assunto centrale della drammaturgia eduardiana: quello della vita messa fra parentesi, e sostituita da una sua immagine o, meglio, dal travestimento, dalla maschera che di volta in volta c’impongono di adottare la società, l’impossibilità di un rapporto sincero fra gli uomini o il tornaconto individuale, sia esso l’interesse economico o il bisogno di trovare una consolazione di fronte a una quotidianità sentita come insopportabile.
In breve, «Questi fantasmi!» riafferma, per tornare a Pirandello, il Leitmotiv dell’intera opera del Girgentino: il tentativo perenne, e perennemente vano, d’imprigionare la vita, ch’è un susseguirsi di momenti di disgregazione, per giunta slegati l’uno dall’altro, in una forma unica, per sempre data e per sempre riconoscibile. E nella circostanza quella forma è rappresentata, per l’appunto, dalla tazzina di caffè tanto cara a Pasquale Lojacono.
Ebbene, direi che Marco Tullio Giordana – regista dell’allestimento di «Questi fantasmi!» che la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo diretta da Carolina Rosi ha presentato in «prima» nazionale alla Pergola – illustra tutto questo con lucidità e inventiva esemplari. A cominciare dal fatto che le scene di Gianni Carluccio, connotate da un grigio sporco come di polvere, costituiscono una plateale negazione della forma di cui sopra: nell’occasione richiamata dalla «cartolina di Napoli» che incarnano i panni stesi al di sopra dell’arco scenico e la «Oj, Mari’» cantata in sala da due posteggiatori alla fine del secondo atto. Senza contare i due fantasmi canonici, con tanto di lenzuolo bianco, che compaiono a chiudere le persiane dei balconi al termine del primo.

Da sinistra, Gianfelice Imparato e Nicola Di Pinto nei ruoli di Pasquale Lojacono e di Raffaele (foto di  Stefano Fortunati)

Da sinistra, Gianfelice Imparato e Nicola Di Pinto nei ruoli di Pasquale Lojacono e di Raffaele (foto di Stefano Fortunati)

Non meno decisivo si rivela, poi, il lavoro svolto da Giordana sui personaggi: risultano tutti, dal primo all’ultimo, esattamente definiti, sì da acquistare ciascuno un peso specifico determinato e funzionale. Vedi quella Maria che viene tratteggiata come assai più decisa, tanto che – mentre nel testo di Eduardo rimaneva alla fine sospesa nell’indecisione fra l’andare via e il rassegnarsi a restare – adesso pianta con assoluta convinzione sia il marito che l’amante, per partirsene sola ma una buona volta libera.
Aggiungo che, del resto, Carolina Rosi dona a questa Maria gesti e accenti inscritti in una stilizzazione e in una misura da antologia, facendone un’ideale antesignana delle donne di oggi, finalmente coscienti del loro ruolo nel mondo e padrone del proprio destino. E al suo fianco, spicca un Gianfelice Imparato che, con non minore bravura, disegna di Pasquale Lojacono un ritratto scavato, insieme, nell’ambiguità, nello smarrimento e nell’amarezza. Davvero una «ditta» di tutto rispetto.
Ma sono più che bravi anche gli altri: primo fra tutti uno strepitoso Nicola Di Pinto che, nei panni dell’«anima nera» Raffaele, fornisce quella che forse è la migliore prova della sua carriera; e quindi, tanto per citare gl’interpreti dei ruoli principali, Massimo De Matteo (Alfredo Marigliano), Paola Fulciniti (Armida) e Giovanni Allocca (Gastone Califano).
Infine il mio pensiero va a Luca De Filippo. Nel ruolo di Pasquale Lojacono prese parte a un allestimento di «Questi fantasmi!» che, per la regia di Armando Pugliese, debuttò al Teatro Morlacchi di Perugia il 22 febbraio del 1992. Uno spettacolo francamente poderoso, che si giovava, tanto per intenderci, anche della presenza di Isa Danieli (Armida), Gigi De Luca (Raffaele), Gigi Savoia (Alfredo Marigliano), Vincenzo Salemme (Gastone Califano) e Franco Folli, il fedelissimo di Eduardo, nei ruoli di Saverio Califano e di uno dei facchini. E lui, Luca, stava al centro dello spettacolo come un vero e proprio motore inesauribile e inesausto: nell’accostarsi per la prima volta a una delle opere maggiori del padre, rivelava – insieme con un rispetto e un’umiltà addirittura commoventi – la capacità di una lettura straordinariamente autonoma del celebre personaggio, un Pasquale Lojacono caratterizzato – sul versante di una compiuta maturità espressiva – da un’assai maggiore violenza proprio perché assimilato a un fantaccino suo malgrado costretto a una guerra feroce e interminabile.
Un’ultima cosa. Giungano a Carolina Rosi tutto il mio affetto e tutta la mia ammirazione. Nel nuovo ruolo di direttrice della Compagnia di Luca, sta portando avanti un lavoro di valore e significato rari. Non solo prosegue a mettere in scena il repertorio di Eduardo, ciò ch’è nell’ordine delle cose, ma sceglie di produrre anche quel che costituisce l’esatto contrario di Eduardo: per esempio, «Bordello di mare con città», il testo di Enzo Moscato mai rappresentato prima e che verrà dato al Bellini, dal prossimo 25, per la regia di Carlo Cerciello. Se leggiamo simili scelte alla luce della dignità manifestata da Carolina quando ha dissociato il nome della famiglia De Filippo dalla (a dir poco) caotica situazione della scuola dello Stabile napoletano, avvertiamo con il cervello e il cuore, puramente e semplicemente, quello ch’è un soffio d’aria pulita nell’ammorbante atmosfera che ci circonda.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

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4 risposte a Quei fantasmi che sono lo specchio di noi stessi

  1. Delia Morea scrive:

    Complimenti, come sempre recensione di grande profondità e significanza, caro Enrico, e con quella nota nella conclusione che davvero ci fa per un attimo respirare e sperare che il futuro della cultura, del teatro non sia così pessimo come ormai lo immaginiamo spesso. Un giusto e grande plauso a Carolina Rosi De Filippo, al lavoro che sta svolgendo, all’impegno e alla bravura artistica. Donna di umano, infinito spessore, compagna di un indimenticabile artista, con la sua forza continua in maniera egregia un fil rouge teatrale che non poteva e non doveva morire. Straordinario.
    Delia Morea

  2. Enrico Fiore scrive:

    Grazie per i complimenti, cara Delia. Per il resto, siamo perfettamente d’accordo.
    Enrico Fiore

  3. Marco Tullio Giordana scrive:

    Caro Fiore,
    grazie per quanto scritto sul suo “Controscena” a proposito di “Questi fantasmi!” e soprattutto per l’affetto che dimostra nei confronti di Carolina Rosi e del suo impegno a tener viva la Compagnia di Luca De Filippo, malgrado il disorientamento e il dolore conseguenti alla sua scomparsa. Non limitandosi al solo repertorio di Eduardo (non considerato un obbligo d’ufficio) ma aprendosi anche ad altri autori ed esperienze. La sua recensione – che definirei più uno studio sulla commedia e sul lavoro in generale di Eduardo – vibra di passione, oggi moneta rara, forse considerata addirittura fuori corso. Leggendola mi è sembrato di aver camminato “affianco” per le strade di Napoli, come con un vecchio amico al quale nemmeno c’è bisogno di dichiarare un’intenzione, tanto lui l’ha capita da subito, anzi la “sa”. Conserverò queste sue righe fra le cose da rileggere quando prende lo sconforto o la melancholia. Di nuovo grazie.
    Marco Tullio Giordana

  4. Enrico Fiore scrive:

    Caro Giordana,
    sono io che ringrazio Lei e tutta la compagnia guidata da Carolina Rosi per avermi dato la possibilità di assistere a uno spettacolo così intenso e ben articolato. Non è un’occasione che mi si offra spesso.
    Buon lavoro, e tanti cordiali saluti.
    Enrico Fiore

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