Se accade che Pirandello
venga preso per De Amicis

 

Patrizia Milani nelle vesti di Donn'Anna Luna

Patrizia Milani nelle vesti di Donn’Anna Luna

«La vita che ti diedi», datato 1922-’23, è il testo che costituisce un ponte verso l’estrema stagione pirandelliana dei miti e della fuga nell’inconscio, aperta già l’anno seguente, il 1924, da «La nuova colonia».
Ne consegue che nella circostanza si scende alle strutture del profondo, e l’articolazione del testo si colloca su un piano antropologico e simbolico. La frattura non si determina più tra il personaggio e il suo contesto storico-sociale, ma tra l’essere individuale e la vita come scorrimento: insomma, non siamo di fronte a una madre, bensì all’archetipo della Madre, definitivamente separato dal fluire del tempo; non c’imbattiamo in un dolore, bensì nel Dolore come categoria.
Di qui le due dimensioni che connotano «La vita che ti diedi»: nell’una vengono raccontati i fatti (il ritorno del figlio dopo sette anni, la sua morte improvvisa e l’ossessione della madre, Donn’Anna Luna, che vuol mantenerlo vivo «in effigie»), nell’altra si consuma la lotta allucinata contro quei fatti, che la protagonista tenta di esorcizzare.
Questa tragedia di Pirandello, in breve, è tutta nella seguente battuta di Donn’Anna: «Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so! Se l’era vissuta lui, la sua, lontano da me, senza che io ne sapessi più nulla. E come per sette anni gliel’ho data senza che lui ci fosse più, non posso forse seguitare a dargliela ancora, allo stesso modo?».
In altri termini, torna ancora una volta il tema – centrale e decisivo nel teatro di Pirandello – del tentativo di fissare la vita, ch’è un susseguirsi di momenti di disgregazione, in una Forma unica, per sempre data e per sempre riconoscibile: Enrico IV, il protagonista del testo che non a caso precede immediatamente (è del ’21) «La vita che ti diedi», la individuava in un’immagine della Storia, Donn’Anna la individua, per l’appunto, in un’immagine del Figlio.
Ma sarebbe un’impresa disperata tentar di scovare anche una minima traccia di tutto questo nell’allestimento de «La vita che ti diedi» che lo Stabile di Bolzano presenta al Mercadante per la regia di Marco Bernardi. Siamo di fronte a una recita innocua – nei ruoli principali Patrizia Milani (Donn’Anna), Gianna Coletti (Donna Fiorina) e Irene Villa (Lucia Maubel) – basata sulla convinzione che qui si tratti fondamentalmente di un amore materno che Bernardi definisce «smisurato». Se così fosse, staremmo parlando di De Amicis, non di Pirandello.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 12 febbraio 2015)

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