La vita è altrove, possono parlarne solo i morti

Una scena di «David è morto» (questa e le altre foto che illustrano l'articolo sono di Eleonora Cavallo)

Una scena di «David è morto» (questa e le altre foto che illustrano l’articolo sono di Eleonora Cavallo)

NAPOLI – Il cuore che campeggia sul fondale è enorme, e debitamente rosso. Solo che è disegnato con tubicini di neon e al posto dei suoi battiti sentiamo il rumore prodotto dagli urti contro il pavimento del pallone da basket con cui si esercita uno degli attori.
È la sequenza iniziale di «David è morto», lo spettacolo – coprodotto dallo Stabile del Veneto e da Emilia Romagna Teatro – che Babilonia Teatri presenta ancora stasera, al Sannazaro, nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia. E annuncia con precisione assoluta il tema qui proposto: giacché, per cominciare, l’attore che si esercita con il pallone da basket davanti al cuore disegnato con tubicini di neon è quello che poi interpreterà il David del titolo.
Dunque, a voler esporlo in sintesi estrema, il tema in questione è il seguente: la vita è altrove; e se la vita qui e ora non c’è, può parlarne qui e ora solo chi non ce l’ha ma l’ha avuta, ossia, per l’appunto, chi è morto. E morti, infatti, sono i cinque personaggi in azione: il padre Dario, la madre Cristina, i due figli David e Iris, entrambi suicidi, e Alex, un divo del pop in crisi creativa.

Filippo Quezel e Chiara Bersani

Filippo Quezel e Chiara Bersani

Ora, aggiungo subito che il pregio non comune dello spettacolo è che questo tema viene sviluppato con una coerenza che ha il rigore di un teorema. Vedi lo schematismo e il parallelismo sistematici a cui risultano improntati sia il testo di Enrico Castellani che la messinscena ad opera dello stesso Castellani e di Valeria Raimondi: da un lato gli elenchi che traducono l’inutile chiacchiericcio quotidiano e pseudoculturale (dal buco nell’ozono a Mussolini, da «Cime tempestose» a «Il giardino dei ciliegi» e a «Il posto delle fragole») e dall’altro l’accoppiata del maglione rosso che sul punto di uccidersi David indossa per far dispetto al padre che odia quel colore e del sangue che Iris si tira dalle vene e con il quale dipinge una stanza intera prima d’impiccarsi.
Ancora una volta m’è tornato in mente il «Giardino autunnale» di Campana: «Confusa di rumori / Rauchi grida la lontana vita: / Grida al morente sole / Che insanguina le aiole». Qui «la lontana vita» si materializza nel corpo di Chiara Bersani offeso dall’osteogenesi imperfetta. Ed è tremendo oltre che lucidissimamente in linea con la coerenza di cui dicevo il fatto che proprio a lei siano affidati i riferimenti alle manifestazioni più carnali della vita medesima: a lei che, soldato, è stata cacciata via dall’esercito perché, dice, «mi ero scopata mezza caserma», a lei che, a proposito del maresciallo che le ha messo una mano fra le gambe, commenta: «Non avevo certo bisogno di entrare nell’esercito per trovare un ciccione mano lunga che mi rivolgesse le sue attenzioni».

Emanuela Villagrossi e Alessio Piazza

Emanuela Villagrossi e Alessio Piazza

Del resto, non è un caso che proprio a partire da Chiara si dipani la sequenza – una delle più potenti e toccanti che abbia visto negli ultimi tempi – relativa al nodo centrale dello spettacolo: mentre cala fino al buio la luce su di lei, sale sempre più forte la «Casta diva» di Maria Callas, controcanto sublime all’avvinghiarsi in uno sterile «passo a due» del padre e della madre. Siamo alla gelida reinvenzione di Pirandello, del suo insistere sul tentativo perenne (e perennemente disperato) dell’uomo di fissare la vita, ch’è un susseguirsi di momenti di disgregazione per giunta slegati l’uno dall’altro, in una forma unica, per sempre data e per sempre riconoscibile. Poiché, appunto, il melodramma è la forma chiusa per eccellenza.
Non meno coerentemente, poi, questi pallidi ectoplasmi della vita trovano un equivalente, sul piano visivo, nella danza smarrita delle apparizioni fugaci determinate, a tratti, da un occhio di bue fuori controllo. E naturalmente, non è possibile neppure acquietarsi nella rappresentazione: Alex, proprio lui, racconta la sua storia davanti al sipario chiuso; e quando quel sipario si aprirà, per l’esecuzione di un «singolo» estratto dal nuovo album del cantautore, vedremo sul palcoscenico la distesa di croci di un cimitero, mentre i componenti della band esibiranno eclatanti chitarre elettriche che non suonano. Siamo, stavolta, alla reinvenzione (anche ironica) della celebre boutade di Elvis Costello: «L’importante non è saper suonare la chitarra, l’importante è saperla portare bene al collo».

Emiliano Brioschi

Emiliano Brioschi

Inutile specificare, d’altronde, che su quelle chitarre non suonate potrà accendersi, di nuovo, solo il cuore disegnato con tubicini di neon. Quello vero la madre dice che lo conserva nel freezer: «Me lo sono strappato / l’ho messo in serbo per tempi migliori / la carne si è fatta ghiaccio / è un blocco informe / protetto da un sacchetto di plastica trasparente / lo custodisco accanto allo sperma di mio marito». E tuttavia, accade che da tanto gelo sappia pure levarsi qualche attimo di consolante tenerezza. Quando, per esempio, la madre si vede davanti l’immagine di David ed Iris: «Sono sul tetto di casa / seduti uno accanto all’altro / con la sigaretta in bocca e il vento nei capelli / aspettano le stelle cadenti».
Infine, non spreco parole sulla prova che in perfetta sintonia con tutto questo forniscono gl’interpreti: oltre a Chiara Bersani (Iris), Filippo Quezel (David), Alessio Piazza (il padre), Emanuela Villagrossi (la madre) ed Emiliano Brioschi (Alex). Piuttosto voglio concludere dicendo che «David è morto» costituisce la migliore conferma di quella che mi sembra la motivazione principale del Leone d’Argento che a fine mese Babilonia Teatri riceverà dalla Biennale di Venezia: il suo è un teatro «terapeutico», e di questi tempi, con tanto teatro letale che c’è in giro, ne abbiamo davvero bisogno.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

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2 risposte a La vita è altrove, possono parlarne solo i morti

  1. Carmen Petrania scrive:

    Caro Enrico,
    ho visto lo spettacolo ieri sera, concordo con quanto da lei scritto e non avrei saputo esprimerlo meglio. Vidi Babilonia Teatri due anni fa, forse con lo spettacolo “Lolita”, e non c’è dubbio che il rigore sia la loro cifra. Vorrei chiederle che ne pensa delle scelte musicali per questo spettacolo, sono forse la cosa che mi ha lasciato più perplessa.
    La saluto ringraziandola.
    Carmen Petrania

  2. Enrico Fiore scrive:

    Cara Carmen,
    non so risponderLe: vada per “Casta diva”, della cui importanza nello spettacolo ho dato conto in sede di recensione; ma gli altri brani, quelli rock, non li conosco e, quindi, non mi azzardo a commentarli. Nel complesso, però, mi sembra che si adattino bene al “clima” generale di “David è morto”.
    Le ricambio i saluti.
    Enrico Fiore

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