Una «Filumena Marturano» scolpita nella narratività

 

Mariangela D'Abbraccio e Geppy Gleijeses in una scena della «Filumena Marturano» diretta da Liliana Cavani

Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses nella «Filumena Marturano» diretta da Liliana Cavani

SPOLETO – Al suo debutto in teatro, e alle prese con un testo tanto celebre quanto problematico come «Filumena Marturano», quale strada ha imboccato Liliana Cavani, il cui allestimento della commedia di Eduardo è stato presentato in «prima» assoluta, al Nuovo, nell’ambito del Festival dei Due Mondi? La domanda, solo apparentemente semplice e scontata, s’impone perché almeno tre sono le chiavi di lettura individuabili a proposito del capolavoro defilippiano: quella della cronaca (ovvero del realismo), quella del mito (ovvero del simbolismo) e, infine, quella della psicanalisi (ovvero dell’egocentrismo).
Per quanto riguarda la cronaca e il realismo che ne discende, fu lo stesso Eduardo, com’è noto, a chiamarli in causa: quando, in un’intervista pubblicata da «Oggi» nel ’56, dichiarò: «L’idea di “Filumena Marturano” mi nacque dalla lettura di una notizia: una donna, a Napoli, che conviveva con un uomo senz’esserne la moglie, era riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il fatterello piccante, ma minuscolo: da esso trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara delle mie creature».
Per ciò che invece concerne il mito e il simbolismo, riprendo una mia considerazione ch’è stata l’unica inedita a fronte del mare di chiacchiere inutili con cui i soloni di turno hanno inondato i giornali in occasione del trentesimo anniversario della morte di Eduardo. Credo proprio che, per fare oggi un discorso non scontato su «Filumena Marturano», occorra partire dal frammento 4149 dei «Diari» di Friedrich Hebbel, che, datato «Vienna, 18 aprile 1847», recita: «Una donna a suo marito: sì, è vero, solo uno di questi tre bambini è figlio tuo, ma non ti dico quale perché non voglio che tratti male gli altri».

Eduardo nello specchio

Eduardo nello specchio

Non importa sapere se Eduardo conoscesse o meno i «Diari» di Hebbel. Il frammento in questione dimostra a sufficienza che la storia di Filumena Marturano girava nell’aria, attraversando i secoli e, quindi, collocandosi, per l’appunto, nella sfera del mito. Certe intuizioni si presentano sul palcoscenico come figlie – insieme – del tempo, dello spazio e di molti autori. Ma se parliamo di mito, parliamo, come dicevo, di simbolo. E questo spiega, d’altronde, il successo persistente che «Filumena Marturano» ottiene sui palcoscenici di tutto il mondo, al di là di qualsiasi barriera linguistica: il teatro è giusto il regno del simbolo.
Considerazioni del genere ha svolto, in sinergia con me, anche Luigi Spina, in un prezioso saggio pubblicato dal sito «www.drammaturgia.it» e intitolato «Le trame delle trame». E l’amico Spina è stato per lunghi anni, presso la «Federico II», un valoroso docente di lingua e letteratura greca. È, dunque, un grande esperto del mito.
Per quanto riguarda, infine, la psicanalisi e l’egocentrismo, ripeto che bisogna finalmente convincersi che in «Filumena Marturano» c’è anche (se non soprattutto) Strindberg. E che, di conseguenza, c’è assai poco amore. La situazione – al di là delle ormai proverbiali interpretazioni in chiave sentimentale di quel testo, straordinariamente allusivo e, quindi, ambiguo o almeno ambivalente – risulta infatti chiarissima sin dalla parte conclusiva della lunga didascalia iniziale: allorché Eduardo ci presenta un Domenico Soriano «pallido e convulso di fronte a Filumena, a quella donna “da niente” che, per tanti anni, è stata trattata da lui come una schiava e che ora lo tiene in pugno, per schiacciarlo come un pulcino».
Sì, Filumena non è né una donna che lotta per stabilizzare (e riscattare sul piano dello stato civile) la sua relazione con Domenico, né una madre che si batte per dotare di un cognome e, così, «legittimare» i propri figli. O, meglio, è anche questo. Ma è sostanzialmente una belva, con la ferocia e la dignità che delle belve costituiscono il codice genetico: e un solo desiderio, in effetti, la domina e la spinge, quello di vendicarsi dell’uomo che prima l’ha comprata, in una casa d’appuntamento, e poi l’ha ridotta – nella sua, di casa – a un oggetto qualsiasi.

Liliana Cavani

Liliana Cavani

Non a caso, se pure nel testo s’accenna all’amore (ma non accade più di due o tre volte), lo si fa solo in termini di calcolo o di stanca abitudine. Così, da un lato abbiamo la Filumena che dichiara: «Io, chella sera te vulette bene overamente» (appunto, «chella sera»: e prima? e, soprattutto, dopo?) e aggiunge: «All’uocchie mieie tu ire nu Dio»; e, dall’altro, il Domenico che osserva: «Pecché te voglio bene, simmo state ‘nzieme vinticinc’anne, e vinticinc’anne rappresentano una vita».
Nel merito, poi, occorre almeno accennare al fatto che, in tutta evidenza, la storia di Filumena Marturano e dei suoi tre figli è la storia di Luisa De Filippo e dei suoi tre figli Eduardo, Titina e Peppino. E questo spiega l’atteggiamento solo in apparenza contraddittorio che Eduardo tiene nei confronti del personaggio in questione: dichiara che «è la più cara» delle sue «creature» ma poi, nel testo, tratteggia Filumena con lucida freddezza. In breve, Filumena Marturano è la proiezione teatrale di Luisa De Filippo, che Eduardo amò in quanto madre e, tuttavia, non approvò in quanto donna, perché voleva che si ribellasse a Eduardo Scarpetta proprio come Filumena si ribella in scena a Domenico Soriano.
Ebbene, rispetto a tutto questo Liliana Cavani, per suo conto, punta decisamente sul sicuro: ossia sull’eccezionale, pressoché incomparabile, potenza narrativa del testo in sé. E ne discendono, tanto per riassumere, invenzioni come le seguenti: la sequenza iniziale si svolge nella camera da letto di Filumena e Domenico invece che, come prescrive la didascalia eduardiana, nella loro «spaziosa stanza da pranzo» (ed è una camera da letto in cui la scenografa Raimonda Gaetani piazza un enorme baule in terra e molte valigie in cima all’armadio, a significare il fatto che in quella casa Filumena si è sempre sentita di passaggio); viene tagliata la scena che vede Filumena aggredire velenosamente la sarta che le ha portato l’abito nuziale (perché, s’intende, si tratta di una scena che s’allontana dal plot per attestarsi su un versante psicologico); Domenico dà a Filumena un lungo e insistito bacio sulle labbra invece di limitarsi, sempre secondo la didascalia eduardiana, a stringerla «teneramente a sé» (ciò che, ovviamente, giova non poco alla narratività di cui dicevo); e, per chiudere con gli  esempi, lo spettacolo scorre tutto di seguito, solo con qualche momento di buio a separare fra loro le parti capitali (una soluzione che, superfluo sottolinearlo, obbedisce proprio all’esigenza di non intralciare il flusso spettacolare di questa narratività).
Venendo adesso alla prova degl’interpreti, dico subito che, nei panni di Domenico Soriano, Geppy Gleijeses fornisce una delle migliori interpretazioni della sua carriera, se non la migliore in assoluto: perché inscrive il personaggio in una nevrosi attraversata, a tratti, dai brividi di una rassegnata amarezza. E appunto per questo si colloca su un gradino più basso la Filumena Marturano di Mariangela D’Abbraccio. Voglio dire che è collocata nell’ambito prevedibile della rabbia, mentre non c’è dubbio che sia il rancore (qualcosa di assai peggio dell’odio) il sentimento decisivo che muove Filumena contro Domenico.
Spicca, poi, una formidabile Nunzia Schiano nel ruolo di Rosalia Solimene. E degli altri, tutti a me sconosciuti, non posso riferire perché non mi è stato dato l’elenco personaggi/interpreti che ho più volte chiesto. Successo pieno alla «prima» di ieri sera, con moltissimi applausi anche a scena aperta. Ricordo che a Napoli lo spettacolo aprirà il 13 ottobre la stagione del Diana.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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2 risposte a Una «Filumena Marturano» scolpita nella narratività

  1. Nunzia Schiano scrive:

    Grazie!
    Nunzia Schiano

  2. Enrico Fiore scrive:

    Grazie a te, cara Nunzia.
    Enrico Fiore

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