Fedra, una passione che s’identifica con la follia

Imma Villa nel «monumentale» costume di Fedra (foto di Gianni Luigi Carnera)

Imma Villa nel «monumentale» costume di Fedra (foto di Gianni Luigi Carnera)

SIRACUSA – «Io non voglio ciò che voglio». È questa la battuta-chiave, oltre che la più celebre, della «Fedra» di Seneca. E come si può non volere ciò che si vuole? È possibile solo se il volere si determina nella sfera del puro desiderio irrazionale. Ed è per questo, infatti, che in «Fedra» Seneca adopera la stessa parola, «furor», per indicare sia la passione amorosa che la follia.
Insomma, l’ossimoro messo in campo dalla battuta in questione dimostra a sufficienza che quanto ci racconta la tragedia di cui parliamo – in sintesi, il rapporto ai limiti dell’incesto fra la moglie di Teseo e il figliastro Ippolito – nasce e si sviluppa, tutto, nella testa di Fedra. Ed è appunto su tale presupposto che, con ammirevole acume, punta Carlo Cerciello, regista dell’allestimento della «Fedra» di Seneca che chiude nel Teatro Greco il 52° ciclo di rappresentazioni classiche promosso dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
Basterebbe considerare, al riguardo, la strepitosa invenzione iniziale: mentre nel testo di Seneca il monologo di Ippolito e quello di Fedra si susseguono, qui si mescolano, come se, giusto, Ippolito e Fedra fossero tutt’uno. E si tratta di un’invenzione che lo scenografo Roberto Crea sottolinea e potenzia in maniera altrettanto strepitosa. La selva a cui fanno riferimento Ippolito, Fedra e Teseo viene ripartita in tre gruppi di alberi dal colore diverso, verde, oro e nero: a significare tre enclaves o, meglio, isole (l’evasione della caccia, la prigione del potere, il buio dell’Ade).

Fausto Russo Alesi nei panni di Teseo (foto di Gianni Luigi Carnera)

Fausto Russo Alesi nei panni di Teseo (foto di Gianni Luigi Carnera)

Torniamo, così, al presupposto di cui sopra. Giacché quelle enclaves o isole non producono relazioni con l’altro da sé, ma solo proiezioni di sé: vedi i due pezzi di tronco d’albero collocati in bella mostra a sinistra e a destra del proscenio.
Tutto questo, peraltro, rimanda alla «Fedra» che – proprio sulla traccia di Seneca – esalta quella che è la caratteristica precipua del teatro di Racine: la capacità, addirittura geniale, di restringere al massimo il nucleo drammatico, per aver modo di seguire meglio, con assoluta precisione dell’analisi, il cammino accidentato su cui s’avventurano i sentimenti dei personaggi.
Infatti, la «Fedra» di Racine, come già quella di Seneca, è, in pratica, la tragedia di un unico personaggio. E non a caso, allora, un’altra invenzione decisiva di Cerciello consiste nell’attribuire a uno stesso attore i personaggi di Ippolito e di Teseo: se sono, giusto, proiezioni della mente di Fedra, non possono che risultare fra loro intercambiabili.
Del resto, vale a dimostrare la centralità onnivora di Fedra anche l’abito simbolico che il costumista Alessandro Ciammarughi le fa indossare nel corso del suo contraddittorio con Ippolito: un abito «monumentale» (una forma) che, mentre la chiude come in una corazza, lascia dietro di sé uno strascico infinito, l’eco nel mondo, nell’esterno, dei rovelli che agitano l’anima e il cervello della dilaniata antieroina.

Bruna Rossi nel ruolo della nutrice (foto di Maria Pia Ballarino)

Bruna Rossi nel ruolo della nutrice (foto di Maria Pia Ballarino)

Monumentale, d’altronde, è anche l’interpretazione di Imma Villa. Non so farle elogio migliore del constatare che la sua Fedra incarna (come secondo Boileau) il «dolore virtuoso» dell’essere «suo malgrado perfida e incestuosa». E per giunta, quella di Imma Villa è una Fedra che – al di là dei temi portanti del rimpianto per l’innocenza perduta e della lucida coscienza del destino ineludibile indotto da tal perdita – richiama proprio l’aura creata dalla religiosità segnatamente moderna che nutriva Racine: una religiosità in cui coesistevano il misterioso dispiegarsi di forze oscure dominate dalla divinità e la libertà comunque concessa all’uomo, la libertà che gli consente di salvare, pur nella sconfitta, la dignità di esistere.
Più prevedibili Fausto Russo Alesi (Teseo e Ippolito), Bruna Rossi (la nutrice) e Sergio Mancinelli (il messaggero). Ma, per concludere, faccio una cosa. Con buona pace di qualche regista «monogamo», dico che Imma Villa è oggi, a Napoli, l’attrice con maggiori prospettive. E lo dico con la stessa sicurezza con cui in anni lontani puntai sugli allora sconosciuti Mario Martone e Toni Servillo, mentre un mio ben noto «collega», che oggi a Martone e Servillo bacia i piedi, blaterava ch’erano imbroglioni che non facevano teatro e che io ero loro complice perché, dalle colonne di «Paese Sera», li appoggiavo e ne sostenevo l’attività truffaldina.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

8 risposte a Fedra, una passione che s’identifica con la follia

  1. Gianni Montesarchio scrive:

    Va detto ad onore di Fiore che confeziona una bellissima notazione della tragedia ….. che solo le persone intelligenti sono disposte a cambiare parere!!!
    Gianni Montesarchio

  2. Gianni Lamagna scrive:

    Felice per il teatro, i miei compagni, l’impegno costante del Teatro Elicantropo, e le tue parole che coronano il loro meritato trionfo.
    Gianni Lamagna

  3. Enrico Fiore scrive:

    Sono felice anch’io: soprattutto perché ho visto uno spettacolo realizzato da persone (Carlo Cerciello e Imma Villa) che – pur tra mille difficoltà, non solo economiche – insistono a tenere accesa, nel buio circostante, la piccola fiammella della cultura.
    Enrico Fiore

  4. Enrico Fiore scrive:

    Caro Gianni,
    vorrei risponderti. Ma, francamente, non riesco a capire la seconda parte del tuo commento. Vuoi essere così gentile da spiegarmela?
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  5. Laura Mammone scrive:

    Felicissima del successo meritatissimo di Imma Villa e Carlo Cerciello… Al di là dell’affetto che ci lega, c’è la consapevolezza di un percorso d’arte lungo una vita, intriso d’anima, di talento, di ricerca, di umanità, di professionalità… Mai trionfo fu più giusto di questo!
    Laura Mammone

  6. Enrico Fiore scrive:

    Il percorso, l’arte, la vita, l’anima, il talento, la ricerca, l’umanità, la professionalità…
    Lei, cara Laura, ha stilato (forse senza rendersene conto) un autentico dizionario – conciso ma esaustivo – delle parole fondamentali che dovrebbero definire il nostro passaggio in questo mondo.
    Grazie per avercele ricordate.
    Enrico Fiore

  7. Toti Bellastella scrive:

    Carissimo Maestro,
    ho assistito anche io alla “Fedra” di Cerciello a Siracusa e, come spesso accade, condivido ogni punto della tua critica.
    Come a volte accade, però, è ciò che non dici che mi colpisce e, dunque, mi chiedo (e ti chiedo, anche questa volta) come mai non hai accennato minimamente alla bellezza del coro e alle musiche su cui Paolo Coletta l’ha fatto così magicamente cantare.
    Incuriosito dalla tua risposta, ti saluto con l’affetto e la stima di sempre.
    Toti Bellastella

  8. Enrico Fiore scrive:

    Caro Toti,
    non c’è alcun motivo particolare (o segreto o malizioso) nel fatto che non ho scritto del coro e delle musiche di Paolo Coletta. Io ho sviluppato un’analisi molto approfondita della “Fedra” di Seneca, di quella di Racine e degli echi dell’una e dell’altra che si riscontravano nella messinscena di Cerciello. E non mi è parso che – a prescindere dal valore intrinseco che avevano la prova delle componenti del coro e le musiche di Coletta – potessi o dovessi allargare quell’analisi (così come ho fatto per il costume di Fedra) alle componenti dello spettacolo in questione.
    Tutto qui.
    Ti ricambio, insieme con i saluti, l’affetto e la stima.
    Enrico Fiore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *