«Passi a due» di mani nell’eco di Gabriele D’Annunzio

 

Un momento di «Kiss & Cry» (foto di Maarten Vanden Abeele)

Un momento di «Kiss & Cry» (foto di Maarten Vanden Abeele)

NAPOLI – Perché – mentre assistevo a «Kiss & Cry», lo spettacolo di Michèle Anne De Mey e Jaco Van Dormael presentato al Politeama nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia – m’è tornata in mente la «Consolazione» del «Poema paradisiaco», una delle odi più belle e delle poche sincere di D’Annunzio? Per un motivo del tutto ovvio: l’ode e lo spettacolo in questione hanno in comune la mano, rispettivamente come tema simbolico/metaforico e come protagonista fisica.
Peraltro, la coincidenza risulta evidente già a partire dal titolo dello spettacolo: i due termini «kiss» e «cry» significano, alla lettera, «bacio» e «pianto», ma si chiama «Kiss and Cry» la panchina su cui siedono i pattinatori artistici che aspettano il loro voto. Ed è proprio, esattamente, ciò che si accampa in «Consolazione», il ritorno di un D’Annunzio dolorante e «stanco di mentire» alla casa della madre, in cerca di un affetto che valga pure come giudizio.
Ecco, allora, che il poeta assume la mano quale strumento, insieme, per la redenzione («Io metterò ne la tua pura mano / tutto il mio cuore»), per la purificazione («La lieve ostia che monda / io la riceverò da le tue dita»), per il recupero dell’armonia passata (l’ebano del cembalo che «ricorda / le lunghe dita ceree de l’ava») e, infine, per il ritorno alla patria perduta (la mia anima, dice alla madre D’Annunzio, «a te verrà, quando vorrai, leggera / come vien l’acqua al cavo de la mano»).

Michèle Anne De Mey e Jaco Van Dormael

Michèle Anne De Mey e Jaco Van Dormael

Ora, nel passare all’analisi di «Kiss & Cry», affrontiamo il passaggio dal concetto al corpo, giusta la distanza che intercorre fra il 1893, l’anno del «Poema paradisiaco», e l’oggi (ossia fra un’epoca in cui era centrale la parola e un’altra in cui è centrale l’immagine). E il discorso si sposta, dunque, per l’appunto sul piano fisico, riguardando la mano come organo prensile dei primati. Ma, lo sappiamo, si tratta di una fisicità che può trasformarsi in mezzo di conoscenza (il senso tattile delle dita che sostituisce la vista nei ciechi), di comunicazione (il linguaggio dei segni che sostituisce l’udito nei sordi) e, infine, di espressione (la gestualità che potenzia le parole).
A tutto questo si riferisce «Kiss & Cry», mescolando – per la regia di Van Dormael – le tecniche della danza, del teatro, del cinema di animazione e, specialmente, del teatro delle marionette e del Bunraku, l’antico (sorse alla fine del XVI secolo) teatro dei burattini giapponese in cui il «ningyo», appunto il burattino, viene manovrato a vista da operatori completamente vestiti di nero. Solo che, si capisce, al posto dei ballerini, degli attori, delle marionette e dei burattini ci sono, qui, le mani di Michèle Anne De Mey e Grégory Grosjean.
D’altronde, tutto si tiene. Il testo di Thomas Gunzig adotta come personaggio principale una donna che, seduta su una panchina di una stazione ferroviaria, rievoca gli uomini della sua vita: che, naturalmente, sono stati cinque, come le dita della mano; mentre del primo di quegli amori – tredici secondi appena, «il più fugace / ma l’unico che sarebbe durato per sempre» – lei non ricorda più il nome, non ricorda più il viso, non ricorda più il corpo ma, non meno naturalmente, ricorda le mani.
Nel suo complesso, perciò, il livello tecnico dell’operazione non si discute. E, per di più, lo spettacolo offre momenti di virtuosismo (quando, per esempio, le mani della De Mey e di Grosjean diventano gli acrobati in piedi sui loro trapezi oscillanti) e di emozione (quando, sempre per fare un esempio, «Les feuilles mortes» cantata da Yves Montand accompagna il trascorrere di un «passo a due» dal letto matrimoniale che si dilegua nell’aria alla sabbia su cui il mare cancella le orme «degli amanti divisi»). Né va trascurata (faccio l’ultimo esempio) l’ironia straniante che in un altro «passo a due» sostituisce un piede a una delle due mani.

Un altro momento di «Kiss & Cry» (foto di Maarten Vanden Abeele)

Un altro momento di «Kiss & Cry» (foto di Maarten Vanden Abeele)

Certo, non mancano le lungaggini e i cedimenti al calligrafismo e a un esibito romanticismo. Ma non è questo il punto. Il punto è che sulla strada di operazioni del genere – in voga già da qualche anno – Michèle Anne De Mey e Jaco Van Dormael sono rimasti un po’ indietro. Loro si limitano ad affiancare, senza fonderle, l’azione dal vivo svolta dai performer sul palcoscenico e la proiezione sullo schermo di fondo della ripresa della stessa per mezzo di videocamere a circuito chiuso.
Ad agosto dell’anno scorso, ho visto, nell’ambito del Festival della Biennale di Venezia, uno spettacolo della formazione catalana Agrupación Señor Serrano, «A house in Asia», che si spingeva molto più avanti. Il plot riguardava l’individuazione e l’uccisione di Osama Bin Laden. E a un certo punto succedeva questo: il modellino di elicottero da combattimento, tenuto in mano e spostato a mezz’aria da uno dei performer, veniva seguito dalla videocamera di un altro che ne mandava l’immagine su uno schermo che già accoglieva il filmato originale dei Navy Seals sull’avvicinarsi del loro, vero, elicottero da combattimento all’obiettivo da colpire, appunto la casa di Bin Laden. In breve, il modellino dei performer entrava nel filmato dei Navy Seals e prendeva il posto che vi occupava, giusto, il predetto elicottero da combattimento vero. Ed era proprio come se vedessimo un unico film. Solo che quello dell’Agrupación Señor Serrano risultava dalla fusione/confusione di un pezzo di vita e di un ectoplasma digitale: ciò che rinviava allo scarto fra la realtà e la riproduzione e/o la manipolazione della stessa da parte dei media.
Infine, occorre rilevare, come ha fatto sul «Corriere del Mezzogiorno» anche Mirella Armiero, che «Kiss & Cry» è già andato in scena a Torino Danza 2015. Per un Festival come quello napoletano, che pretende d’essere un grande Festival, arrivare in seconda battuta non sembra il massimo.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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