Cechov, quella vita sospesa alle aste portaflebo

Francesca Gemma e Umberto Terruso in una scena di «Vania» (foto di Matteo Gilli)

Francesca Gemma e Umberto Terruso in una scena di «Vania» (foto di Matteo Gilli)

CASTROVILLARI – L’azione è trasferita in una casa della «bassa» lombarda. Tutte le lampadine che illuminano i punti-chiave della scena sono appese ad aste portaflebo: perché il padrone, sebbene il dottore insista a dire che la situazione è sotto controllo, si trova in uno stato prossimo al coma; e infatti non lo vedremo mai, solo il suo respiro ansante sarà il metronomo dell’esistenza grigia e ineffettuale che si trascina in quell’appartamento di provincia.
Ecco, basterebbero questi pochi particolari a dimostrare l’intelligenza e la precisione che connotano «Vania», lo spettacolo che la compagnia Òyes ha presentato nell’ambito della XVII edizione del festival «Primavera dei Teatri». Si tratta, ovviamente, di una rilettura di «Zio Vanja» di Cechov. E che cosa soprattutto la caratterizzi è dimostrato a sua volta dall’ingresso di Sonia: corre subito a vomitare in proscenio.
Siamo, in breve, di fronte a un’estrema radicalizzazione. E giova, al riguardo, premettere qualche cenno sulla commedia in questione.
I personaggi di «Zio Vanja» sono appena dei fantasmi, che nascono e muoiono nel limbo della rinuncia e della solitudine; e per loro – tra la nascita e la morte – esiste unicamente la condanna a un ruolo, immutabile e perennemente inutile: quello di onesto amministratore della tenuta (a beneficio di Serebrjakov) per zio Vanja, quello di umile ancella per la bruttina Sonja, quello di scienziato trombone per lo stesso Serebrjakov, quello di «predatrice» per la sua insoddisfatta moglie Elena, quello di ecologista ante litteram per Astrov…

Fabio Zulli nei panni di Vania (foto di Elio Scardovelli)

Fabio Zulli nei panni di Vania (foto di Elio Scardovelli)

Sono ruoli che, naturalmente, prendono il posto della vita vera, in un presente che – per riandare alla decisiva analisi di Szondi – «è oppresso dal passato e dall’avvenire, è un intervallo, un periodo d’esilio, dove la sola meta è il ritorno alla patria perduta».
Ebbene, come si sarà capito, Stefano Cordella, autore dell’adattamento e regista, equipara quel limbo per l’appunto a uno stato di malattia. Ma, non dimenticando che Cechov prescriveva di mettere in scena i suoi testi nei modi e con i ritmi del vaudeville, qui ci propone un Vania che, quale unico suo motivo di consolazione, ha il tifo sfegatato per il Milan. Mentre Sonia pensa di andarsene a Londra, dove c’è gente di tutte le razze e, quindi, uno ne acquista in ampiezza di vedute.
Aggiungo, poi, che un simile mélange di tragico e di comico, già esemplare di per sé, trova sbocco – sul piano strettamente spettacolare – in alcune sequenze assolutamente memorabili. Ne cito, tanto per fare un esempio, quella che si determina verso la fine dello spettacolo: dopo che un Vania stonatissimo s’è dato al canto nevrotico di

Vanessa Korn è Elena (foto di Matteo Gilli)

Vanessa Korn è Elena (foto di Matteo Gilli)

«Ancora ancora ancora» di Mina, un’Elena non meno sbarellata si lancia discinta – sull’onda di «Kozmic Blues» di Janis Joplin – in un ballo frenetico che tenta di sedurre, insieme, lo stesso Vania e il dottore; e s’è appena spento l’eco di tale tregenda che riprende il sopravvento l’immobilità, con Sonia che torna da Londra (ma, probabilmente, non ci è mai andata) e, gettando la parrucca bionda che aveva indossato partendo, ancora si paralizza nel ritornello stanco che ripete allo zio: «Aspettiamo, aspettiamo…».
Molto bello, davvero. E molto giusto. Non esito a concludere dicendo che, fra le tante «attualizzazioni» di «Zio Vanja» che mi è capitato di vedere, questa è sicuramente una delle più fondate e trascinanti. E buona parte del merito va attribuita, s’intende, ai quattro bravissimi interpreti: Fabio Zulli (Vania), Francesca Gemma (Sonia), Vanessa Korn (Elena) e Umberto Terruso (il dottore). Sono capaci di trasmettere di nuovo ciò che impareggiabilmente trasmise Cechov: tutto il riso e lo strazio della vita.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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2 risposte a Cechov, quella vita sospesa alle aste portaflebo

  1. Francesco Gerace scrive:

    La prossima volta che verrete a recitare in Calabria, avvertitemi qualche giorno prima. Sarei venuto volentieri a Castrovillari. Da lontano seguo la vostra compagnia teatrale Òyes.
    Francesco Gerace

  2. Enrico Fiore scrive:

    Sono contento che questo sito cominci a funzionare anche come mezzo per scambiare messaggi fra i teatranti e i loro “fans”. Cordiali saluti all’amico Gerace e alla compagnia Òyes, a cui rinnovo i complimenti.
    Enrico Fiore

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