Giochi di parole fra Sartre, Bergonzoni e l’Isis

I fratelli Dalla Via in «Drammatica elementare» (foto di L. P.)

I fratelli Dalla Via in «Drammatica elementare» (foto di L. P.)

CASTROVILLARI – I due interpreti si presentano stando in piedi su un banco di scuola e indossando la «divisa» dei prigionieri dell’Isis: tuta arancione e cappuccio nero sulla testa. E lasciano cadere, entrambi, dei foglietti su cui, come su una lavagna, sono scritte col gesso tutte le lettere dell’alfabeto, dalla «a» alla «zeta».
Dunque, è chiaro e dichiarato fin dall’inizio il tema di «Drammatica elementare», lo spettacolo proposto – nell’ambito della XVII edizione del festival «Primavera dei Teatri» – dalla compagnia Fratelli Dalla Via. Si tratta del linguaggio, considerato, innanzitutto, sotto specie di identità. Infatti, ecco il concetto fondamentale che i Fratelli Dalla Via dichiarano nelle loro note: «Siamo quello che parliamo. Le nostre parole sono la nostra casa».
Ma questo l’aveva già detto Sartre, sviluppando la teoria del linguaggio come «corpo verbale»: siamo linguaggio, il linguaggio che adoperiamo. E giusto nel solco di quella teoria si muovono, allora, Marta e Diego Dalla Via: agganciandola, però, da un lato (vedi la chiamata in causa dell’Isis) al fatto che il linguaggio può anche determinarsi come costrizione e, dall’altro, ai paradossi surreali e ai «nonsense» indotti dal profluvio delle parole specifiche che oggi ci si rovesciano addosso, senza tregua, in materia di scienza, economia, politica, religione, elettronica, terrorismo, banche, «social» e così via.
Nella circostanza, quindi, Sartre cammina a braccetto con Bergonzoni. Giacché risultano evidentemente mutuate dai giochi di parole tipici di quest’ultimo le allitterazioni su cui si fonda «Drammatica elementare»: allitterazioni che, prevalentemente, mettono in sequenza unità lessicali che hanno la stessa iniziale, tipo «Creeremo chiese con case chiuse», «Osama osannato Osama odiato» e, per chiudere con un esempio relativo all’intento polemico dello spettacolo, «Purtroppo Pier Paolo Pasolini protesta».
Aggiungo, nel merito, che un altro modello evidente dei due Dalla Via è il celebre «made in Italy» di Babilonia Teatri. E insomma, non è che Marta e Diego non siano intelligenti in quanto autori e bravi in quanto attori. È che la loro creazione sa troppo di già letto, già sentito e già visto: sicché mi tocca ripetere quanto ho rilevato circa «Giovanna d’Arco – La rivolta» di Hermit Crab, che siamo di fronte a qualcosa che non c’entra molto con un festival corredato del sottotitolo «nuovi linguaggi della scena contemporanea».
Tanto, infine, a prescindere dalle lungaggini, dalle ripetitività e dai cali di ritmo che i fratelli Dalla Via non sanno evitare in quanto registi.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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