Se Godot arriva moltiplicato in due

Anna Bellato e Leonardo Maddalena in una scena de «Gli uccelli migratori» (foto di Manuela Giusto)

Anna Bellato e Leonardo Maddalena in una scena de «Gli uccelli migratori» (foto di Manuela Giusto)

CASTROVILLARI – Guido, professore di italiano e latino, indossa pantaloni a quadri e porta i capelli raccolti in un ciuffo al centro della testa. Insomma, sembra proprio un clown. E la sorella Marta, con la quale vive da sempre, adesso è incinta.
Dunque, non ci sono dubbi: anche se qui siamo dentro una pineta invece che sotto un solo albero rinsecchito, i due personaggi citati costituiscono una riedizione del Vladimiro e dell’Estragone di «Aspettando Godot». E Godot – ne «Gli uccelli migratori», il testo di Francesco Lagi che la compagnia Teatrodilina ha presentato nell’ambito della XVII edizione del festival «Primavera dei Teatri» – stavolta arriva. Però si divide in due: Walter, un ingegnere di ponti che pare sia il padre della bambina che sta per partorire Marta, e Gerry, uno strambo studioso, appunto, del linguaggio degli uccelli.
Le cose, allora, sembrano andare un po’ meglio rispetto allo spettacolo iniziale del festival: poiché l’idea di un Godot moltiplicato e per ciò stesso irriconoscibile in quanto Godot è davvero notevole, rimandando, fra l’altro, al profluvio d’informazioni circa la realtà che oggi ci piovono addosso in numero tale da confonderla, quella realtà, e alla fine da cancellarla.
Ma non a caso ho scritto che le cose sembrano andare un po’ meglio. Il testo, via via, prende ad avvitarsi su se stesso, sempre più indeciso fra la riflessione filosofica, l’opzione dei sentimenti e il semplice divertissement. E non sa come concludersi, se dobbiamo badare ai molti sottofinali che snocciola. Sicché appare alquanto appiccicato e sbrigativo il messaggio (riguarda, è ovvio, il nostro tempo oppresso dalla chiacchiera) che Marta lancia verso la fine, quando invita gli altri ad andarsene da quella casa, portandosi via tutte le loro paure e le loro delusioni, perché – dice indicando il suo pancione – «lei ha bisogno di silenzio».
In effetti, quelli se ne vanno sul serio: nel senso che scendono dal palcoscenico e si allontanano attraverso la platea tenendo davanti a sé – un metafora facile facile, al pari del messaggio di Marta – la bussola che fino ad allora gli era rimasta in tasca.
Un identico discorso può farsi a proposito della regia, firmata dallo stesso Lagi: non riesce ad amalgamare i vari aspetti del testo a cui ho accennato, limitandosi ad esporli l’uno accanto all’altro sul banco del puro intrattenimento. E non resta, in ultima analisi, che la prova – per la verità molto apprezzabile – degl’interpreti: Anna Bellato, Francesco Colella, Leonardo Maddalena e Mariano Pirrello.
Credo, comunque, che questa compagnia sia in grado di fare di più e meglio. È lecito, perciò, attenderla a realizzazioni ulteriori.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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