NAPOLI – È tutto un ossimoro «Operetta burlesca», lo spettacolo di Emma Dante in scena al Bellini. E lo dichiara la battuta che il padre rivolge a Pietro: «’A tò nascita fu un delitto». Come a dire la vita che comincia con l’uccisione della vita.
Infatti, abbiamo qui, perennemente, una compresenza determinata da opposti. Pietro, figlio unico di siciliani emigrati, confessa: «Tengo quarant’anni e ancora nun l’aggio trovata la dimensione mia». Perché sconta la maledizione di avere una natura di femmina imprigionata in un corpo di maschio; e sopporta, lì in quel paesino vicino Napoli, il rifiuto da parte del padre, che vorrebbe tenerlo a lavorare con sé alla pompa di benzina, e l’incomprensione da parte della madre, che vorrebbe vederlo accasato. Ma, di contro a tanto grigiore, s’accende la luce delle fughe di Pietro a Napoli, dove in via Duomo compra eclatanti vestiti da donna che poi indossa nel chiuso della sua stanza.
Ecco, dunque, il secondo ossimoro. Pietro «officia», nello stesso tempo, una quotidianità soffocante e un sogno rigeneratore: quello per cui al posto della pompa di benzina esce l’arcobaleno, e lui ci sale sopra e cammina in punta di piedi sui colori, piano piano per paura di cancellarli. È in questo, infatti, che si traduce la sua danza immemore quando indossa quei vestiti ornati, appunto, di mille colori.
Del resto, un simile scarto viene annunciato e sottolineato già dall’impianto scenografico, firmato dalla stessa Dante insieme con i costumi: al proscenio una fila di scarpe delle più varie fogge (simbolo dello spostamento e della transizione, ovvero della libertà) e sul fondo bambole gonfiabili con addosso i vestiti citati (simbolo di un corpo ridotto alla sua immagine e all’involucro che lo contiene e lo costringe, ovvero la società con le sue norme e i suoi divieti).
Tutto ciò, poi, trova riscontro – nel quadro di un sistema espressivo che mescola sapientemente il cabaret, la danza (in particolare il flamenco), la pantomima, l’avanspettacolo e, ovviamente, il burlesque – in sequenze memorabili, e tanto significanti quanto poetiche. Faccio, al riguardo, solo l’esempio di quella che, sull’onda dell’ironia impagabile e tragica innescata da «La canción del mariachi (Morena de mi corazón)» interpretata da Antonio Banderas: «Soy un hombre muy honrado / las mujeres no me faltan (Sono un uomo molto onesto / le donne non mi mancano)», oppone i corpi che ballano frenetici in primo piano al vorticare stanco delle bambole appese ai fili sul fondo.
Si sarà capito, a questo punto, che il primo degli ossimori in campo sta nella combinazione del titolo, evasivo e scherzoso, con il racconto, urticante e disperato, ch’è oggetto della rappresentazione. Mentre l’ossimoro decisivo, quello ad ogni effetto totalizzante, risiede nella coincidenza della brevità del testo e dello spettacolo che ne discende (55 minuti) con l’infinita gamma delle sensazioni, delle riflessioni e delle emozioni a cui gli stessi danno luogo. Sicché, in breve, ci rendiamo conto che l’«operetta burlesca» consiste puramente e semplicemente nella vita, ch’è insieme grido e sussurro, bestemmia e preghiera, dolcezza e ferocia, festa e funerale, follia e saggezza, sentimento e indifferenza, coraggio e vigliaccheria.
Si spiega, così, anche l’immissione nel testo di una comicità irresistibile e che solo in superficie può apparire contraddittoria: come nel caso delle dolorosissime sei paia di scarpe 41 comprate da Pietro, lui che porta il 42, quando conosce il suo grande amore Ciro nel negozio di cui è titolare. E l’ultimo ossimoro, per concludere, s’identifica con l’equazione stabilita fra la donna che compare nella stanza di Pietro, proiezione del suo desiderio di femminilità, e il cardillo che lo stesso Pietro ha incontrato in sogno sull’arcobaleno: l’una è il canto di un uccello in gabbia, l’altro è l’ipotesi (purtroppo solo l’ipotesi) del canto di un uccello che la gabbia non sa che cosa sia.
Inutile, adesso, sprecare parole sugli straordinari interpreti in azione: Carmine Maringola (Pietro), Francesco Guida (il padre e la madre), Viola Carinci (la parte femminile di Pietro) e Roberto Galbo (Ciro). Andate al Bellini. Una scheggia di vita vi colpirà diritto al cuore. E cadrà qualche goccia di sangue, ma saranno le lacrime di una pietà che, nonostante tutto, pretende rispetto per la dignità di esistere.
Enrico Fiore