L’«operetta burlesca» che si chiama vita

 

Carmine Maringola in un momento dell'«Operetta burlesca» di Emma Dante in scena al Bellini

Carmine Maringola in un momento dell’«Operetta burlesca» di Emma Dante in scena al Bellini

NAPOLI – È tutto un ossimoro «Operetta burlesca», lo spettacolo di Emma Dante in scena al Bellini. E lo dichiara la battuta che il padre rivolge a Pietro: «’A tò nascita fu un delitto». Come a dire la vita che comincia con l’uccisione della vita.
Infatti, abbiamo qui, perennemente, una compresenza determinata da opposti. Pietro, figlio unico di siciliani emigrati, confessa: «Tengo quarant’anni e ancora nun l’aggio trovata la dimensione mia». Perché sconta la maledizione di avere una natura di femmina imprigionata in un corpo di maschio; e sopporta, lì in quel paesino vicino Napoli, il rifiuto da parte del padre, che vorrebbe tenerlo a lavorare con sé alla pompa di benzina, e l’incomprensione da parte della madre, che vorrebbe vederlo accasato. Ma, di contro a tanto grigiore, s’accende la luce delle fughe di Pietro a Napoli, dove in via Duomo compra eclatanti vestiti da donna che poi indossa nel chiuso della sua stanza.
Ecco, dunque, il secondo ossimoro. Pietro «officia», nello stesso tempo, una quotidianità soffocante e un sogno rigeneratore: quello per cui al posto della pompa di benzina esce l’arcobaleno, e lui ci sale sopra e cammina in punta di piedi sui colori, piano piano per paura di cancellarli. È in questo, infatti, che si traduce la sua danza immemore quando indossa quei vestiti ornati, appunto, di mille colori.
Del resto, un simile scarto viene annunciato e sottolineato già dall’impianto scenografico, firmato dalla stessa Dante insieme con i costumi: al proscenio una fila di scarpe delle più varie fogge (simbolo dello spostamento e della transizione, ovvero della libertà) e sul fondo bambole gonfiabili con addosso i vestiti citati (simbolo di un corpo ridotto alla sua immagine e all’involucro che lo contiene e lo costringe, ovvero la società con le sue norme e i suoi divieti).

Da sinistra, Roberto Galbo e Carmine Maringola in un'altra scena di «Operetta burlesca»

Da sinistra, Roberto Galbo e Carmine Maringola in un’altra scena di «Operetta burlesca»

Tutto ciò, poi, trova riscontro – nel quadro di un sistema espressivo che mescola sapientemente il cabaret, la danza (in particolare il flamenco), la pantomima, l’avanspettacolo e, ovviamente, il burlesque – in sequenze memorabili, e tanto significanti quanto poetiche. Faccio, al riguardo, solo l’esempio di quella che, sull’onda dell’ironia impagabile e tragica innescata da «La canción del mariachi (Morena de mi corazón)» interpretata da Antonio Banderas: «Soy un hombre muy honrado / las mujeres no me faltan (Sono un uomo molto onesto / le donne non mi mancano)», oppone i corpi che ballano frenetici in primo piano al vorticare stanco delle bambole appese ai fili sul fondo.
Si sarà capito, a questo punto, che il primo degli ossimori in campo sta nella combinazione del titolo, evasivo e scherzoso, con il racconto, urticante e disperato, ch’è oggetto della rappresentazione. Mentre l’ossimoro decisivo, quello ad ogni effetto totalizzante, risiede nella coincidenza della brevità del testo e dello spettacolo che ne discende (55 minuti) con l’infinita gamma delle sensazioni, delle riflessioni e delle emozioni a cui gli stessi danno luogo. Sicché, in breve, ci rendiamo conto che l’«operetta burlesca» consiste puramente e semplicemente nella vita, ch’è insieme grido e sussurro, bestemmia e preghiera, dolcezza e ferocia, festa e funerale, follia e saggezza, sentimento e indifferenza, coraggio e vigliaccheria.
Si spiega, così, anche l’immissione nel testo di una comicità irresistibile e che solo in superficie può apparire contraddittoria: come nel caso delle dolorosissime sei paia di scarpe 41 comprate da Pietro, lui che porta il 42, quando conosce il suo grande amore Ciro nel negozio di cui è titolare. E l’ultimo ossimoro, per concludere, s’identifica con l’equazione stabilita fra la donna che compare nella stanza di Pietro, proiezione del suo desiderio di femminilità, e il cardillo che lo stesso Pietro ha incontrato in sogno sull’arcobaleno: l’una è il canto di un uccello in gabbia, l’altro è l’ipotesi (purtroppo solo l’ipotesi) del canto di un uccello che la gabbia non sa che cosa sia.
Inutile, adesso, sprecare parole sugli straordinari interpreti in azione: Carmine Maringola (Pietro), Francesco Guida (il padre e la madre), Viola Carinci (la parte femminile di Pietro) e Roberto Galbo (Ciro). Andate al Bellini. Una scheggia di vita vi colpirà diritto al cuore. E cadrà qualche goccia di sangue, ma saranno le lacrime di una pietà che, nonostante tutto, pretende rispetto per la dignità di esistere.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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