In ricordo di Rita Sala

Rita Sala

Rita Sala

È morta Rita Sala, per moltissimi anni critico teatrale de «Il Messaggero». Aveva sentimento e passione. La incrociavo talvolta in qualche aeroporto mentre si precipitava, ansiosa e gioiosa, a incontrare un suo grande amore greco. Ma per quanto mi riguarda personalmente, il ricordo di Rita è legato soprattutto a due momenti, che dicono entrambi della sensibilità, dell’impegno e, di più, del piacere che metteva nell’esercizio della professione.
Ai primi d’agosto del 1995 ci ritrovammo nel Teatro Antico per assistere, nell’ambito di Taormina Arte, alla «prima» de «L’opera dei centosedici» di Roberto De Simone. E al termine dello spettacolo lei m’invitò a bere qualcosa nel suo albergo. Alloggiavamo io al Taormina Park Hotel e Rita all’Hotel Villa Diodoro, sul lato opposto di via Bagnoli Croci. Però era già molto tardi, verso l’una. E io dissi che difficilmente avremmo trovato qualcuno del personale ancora in servizio. Ma lei riuscì ugualmente a farci portare due whisky. E cominciò a parlare: prima le mille domande che mi rivolse sul teatro napoletano e su De Simone, poi le considerazioni teoriche su autori e registi, infine i voli avventurosi sui territori situati a metà fra la cultura e la vita.
Passavano le ore, altri whisky non ne arrivarono. E io mi sentivo sempre più stanco. Rita no, il fervore con cui continuava a discorrere degli argomenti che le erano cari la faceva sembrare davvero fresca come una rosa. Finché, all’alba, gettai la spugna. Mi alzai e dissi: «Scusami, vado a dormire». E lei mi gettò uno sguardo di sottile rimprovero. Avrebbe voluto parlare ancora, e ancora e ancora.
Il secondo dei momenti che rievoco attiene al debutto di «Tatuaggi», la mia riscrittura di «Sorveglianza stretta» di Genet. Avvenne nello stesso anno a Casertavecchia, nell’ambito della rassegna «Settembre al Borgo». Aggeo Savioli, su «l’Unità», fu più tecnico, parlando di «un notevole pezzo di teatro» e aggiungendo fra l’altro: «Enrico Fiore (giornalista e critico, sia detto pure a onore della vituperata categoria) ha liberamente trasposto il testo, dall’impeccabile francese dell’originale, in un idioma partenopeo riccamente elaborato, che non nega arcaiche, nobili ascendenze, mentre poi vi trovano posto locuzioni e fraseggi di altre zone della Campania, nonché spunti tratti da gerghi diversi, inclusovi certo il “parlato” della malavita. Impresa non facile, ma riuscita: giacché quanto di “letterario” (e, a momenti, di sofisticato) essa implica non frena l’articolarsi, alla ribalta, di un discorso limpidamente teatrale, indenne dalla pura mimesi naturalistica, ma ancorato alla realtà».
Rita, invece, entrò direttamente nel cuore di «Tatuaggi». Aveva voluto leggere il testo, certo non agevole per lei che veniva da Bologna. E puntualmente si presentò alla «prima». La sua recensione, pubblicata su «Il Messaggero» il 6 settembre 1995, si concludeva così: «Laura Angiulli, della “Galleria Toledo”, ha voluto per il lavoro di Fiore, così multiforme e carnale, così prossimo al mondo di Raffaele Viviani, una regia al contrasto, di linee secche, asciutte, capaci di lasciare alla parola e all’ottima interpretazione degli attori tutto il peso della tridimensione. Il carcere – vuota gabbia di inferriate montata nel cortile del Castello Medievale di Casertavecchia, uno splendido spazio usato da Pasolini per il suo “Decameron” – […] mette a sua volta in primo piano l’estroversione, peraltro sempre controllata, di Lello Serao, Antonio Pennarella e Marcello Colasurdo. Ai quali va il merito di rendere credibile ogni palpito, ogni efferatezza, ogni oscura poesia dei personaggi. Le luci fioche e una struggente traccia di fisarmonica (suonata da Gaetano Piazzolla) accompagnano la storia, valletti muti di un’esequia pagana. E quando il giovane, effeminato Alfredo, che vorrebbe trasformarsi in una rosa per essere colto, spira invece sotto le mani di Peppe, le antiche pietre delle rovine, all’intorno, rivestite d’edera come i cimiteri amati da Thomas Gray, mormorano assieme al Marinaio. Di compiaciuto orrore».
Ciao, Rita. E grazie. Spero che nella notte interminabile in cui sei entrata tu possa trovare ascoltatori più forti e pazienti di me.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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