Il vero problema di Amleto sono i neomelodici

Da sinistra, Giuseppina Cervizzi, Valeria Pollice, Emanuele Valenti, Vincenzo Nemolato e Christian Giroso in una scena di «Hamlet travestie»

Da sinistra, Giuseppina Cervizzi, Valeria Pollice, Emanuele Valenti, Vincenzo Nemolato e Christian Giroso in una scena di «Hamlet travestie»

NAPOLI – Probabilmente sono arrivato buon ultimo, fra i critici, a vedere «Hamlet travestie», lo spettacolo che Punta Corsara presenta ancora oggi pomeriggio al Bellini. Però, mai come questa volta s’è confermata, e passatemi il gioco di parole, la verità del proverbiale meglio tardi che mai. Giacché parliamo di uno spettacolo nello stesso tempo divertente e intelligente, una merce sempre più rara nell’asfittico panorama teatrale corrente.
Si parte dall’omonimo testo di John Poole, la riscrittura ottocentesca in forma di parodia del capolavoro shakespeariano, e lo si fonde con il «Don Fausto» di Antonio Petito, che costituisce il suo complemento perfetto. E giova, nel merito, premettere qualche cenno di carattere teorico all’analisi specifica della messinscena in questione.
Con «Don Fausto» Petito approda, nel 1865, a una delle sue più riuscite e, insieme, più complesse parodie. Nella circostanza, infatti, il bersaglio è nientemeno che l’«Urfaust» di Goethe: poiché qui si racconta di un vecchio, Don Fausto Barilotto, che s’è perso nel sogno di trovare lo «spirito della terra». E la parodia sta nella burla che intorno a lui organizzano i parenti, calandosi nei panni dei vari personaggi evocati da quel sogno. Una burla – ecco lo scarto ideologico messo in campo da Petito – che non mira tanto, come si dichiara, a far rinsavire il vecchio, quanto, nella più pura logica borghese, ad ottenere da lui il consenso per il matrimonio, redditizio, tra la figlia Marietta e Don Crescenzino.
Ma Don Fausto non è pazzo, e il suo è un sogno squisitamente culturale; così come, di conseguenza, non costituisce un semplice prototipo farsesco: è, piuttosto, un «diverso» che realizza, per l’appunto nel sogno, la fuga da una realtà urbana ormai compromessa dagli asfissianti e ripetitivi meccanismi della civiltà capitalistica e pre-industriale. E in particolare, attraverso quella fuga Don Fausto sottolinea l’impossibilità, per lui, di accettare il ruolo sociale che gli altri vorrebbero imporgli.
A tutto questo corrisponde, nello spettacolo di Punta Corsara, una famiglia Barilotto che gestisce tra mille difficoltà una bancarella al mercato, è preda di un usuraio e si vede costretta – su consiglio del saccente Don Liborio, detto «’o prufessore» – a inscenare la recita della tragedia di Shakespeare come espediente per ricondurre alla ragione il suo giovane rampollo Amleto, sconvolto dalla morte del padre e fuorviato dal proprio nome a tal punto che s’è convinto di avere un destino identico a quello del principe di Danimarca.
Ebbene, a che cosa miri Punta Corsara si evince già dalla prima sequenza: scopriamo che per Amleto (il quale, rispetto alla tradizionale mise nera, indossa un pigiama rosso ed è avvolto in un «copertino» arlecchinesco) il vero problema non sta nell’«essere o non essere», ma nel come evitare che la sua ragazza, Ornella, continui a tormentarlo con la canzone neomelodica di Luciano Caldore «Per un’ora d’amore».
Dunque, fa ridere, e molto, «Hamlet travestie»; ma il pregio non comune dello spettacolo – ottimamente orchestrato dalla regia di Emanuele Valenti – è che attua un continuo scambio fra l’«interno» (il gioco scenico) e l’«esterno» (la città, con i suoi drammi, le sue carenze e le sue mitomanie sottoculturali). Per esempio, l’invettiva di Amleto contro Ornella/Ofelia – «Vatte a chiudere dint’a ‘nu cunvento, va’!» – ha come eco il coro dei richiami dei venditori ambulanti; e lo stesso Amleto se n’esce, a un certo punto, con la malinconica constatazione che «’o 47 in Danimarca nun ce arriva».
Per giunta, non mancano i riferimenti d’alto profilo: sempre a titolo d’esempio, annoto che l’esposizione da parte di Don Liborio del piano per far rinsavire Amleto mostra evidenti ricalchi di quella svolta dal dottor Genoni a proposito dello stratagemma teso a guarire l’Enrico IV pirandelliano. E bravissimi, infine, sono gl’interpreti: Giuseppina Cervizzi (Amalia Barilotto/Gertrude), Christian Giroso (Salvatore Barilotto/Spettro/Re), Vincenzo Nemolato (Ciro Liborio/Laerte), Valeria Pollice (Ornella Liborio/Ofelia), lo stesso Valenti (Don Liborio/Polonio) e Gianni Vastarella (Amleto Barilotto/Amleto principe di Danimarca).
Insomma, una puntata al Bellini vale proprio la pena di farsela. Occasioni del genere, ripeto, davvero non capitano spesso.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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