Oskar Schindler, un flashback
sulla follia e l’orrore della Shoah

 

Carlo Giuffré nei panni di Oskar Schindler

Carlo Giuffré nei panni di Oskar Schindler

Questa l’idea di Francesco Giuffré e Ivan Russo, autori dello spettacolo, «La lista di Schindler», che la Diana OR.I.S. presenta al Nuovo: Oskar Schindler, l’industriale tedesco che, pur avendo aderito al nazismo, in seguito salvò dalle camere a gas ben milleduecento ebrei, è ormai anziano, e ha solo voglia di dimenticare; ma viene costretto a ricordare da un fanatico neonazista che cerca informazioni utili a far nascere un quarto Reich.
Lo spettacolo, dunque, consiste in un lungo flashback sui momenti capitali della vicenda in parola. Ma proprio l’idea che lo muove ne costituisce il limite. E mi spiego in breve.
Se è colta nel suo farsi, ovvero in sé, la vicenda di Schindler può anche prescindere dal contesto storico-politico a lui in quanto individuo estraneo. Ma se sulla vicenda medesima si esercitano la memoria, e quindi la riflessione e il giudizio, allora quel contesto non si può fare a meno di prenderlo in considerazione. Perché, se tra i nazisti ci fu l’«anomalia» (così nel testo) di Schindler, tra gli ebrei ci fu l’«anomalia» di quanti non accettarono passivamente di essere condotti al macello.
In altri termini, se qui si sente in sottofondo la sentimentale «Lili Marleen», bisognava che si sentisse pure «Mir zenen do (Noi siamo qui)», il canto dei partigiani del ghetto di Varsavia che è il più noto inno della Resistenza ebraica polacca: «Questo canto è scritto con il sangue, non con l’inchiostro. / Non è il canto di un uccello in libertà: / questo l’ha scritto un popolo fra muri che crollavano, / l’ha cantato con i mitra in mano».
Comunque, Francesco Giuffré, in quanto regista, impagina uno spettacolo che – sgranando il rosario delle ordinarie follie e degli ordinari orrori legati alla Shoah – riesce a non farsi prendere la mano né dalla retorica né dal pietismo di circostanza. Ed essenziale è anche la prova offerta dai giovani interpreti in campo: Valerio Amoruso (Itzhak Stern), Caterina Corsi (Emilie Schindler), Pietro Faiella (Amon Goeth) e Riccardo Francia (un Uomo).
Ma, naturalmente, gli applausi son tutti per lui: per un Carlo Giuffré che, indossando pudico i panni di Oskar Schindler, distilla l’intera sapienza degli accenti e dei gesti maturati nel corso della sua lunghissima e prestigiosa carriera. E non è senza significato che oggi quella carriera si stacchi per un attimo dal teatro di rappresentazione e si volga al teatro fondato sulla testimonianza civile. Solo un interprete che ha grande coscienza di sé e del proprio carisma può fare un «salto» del genere.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 31 gennaio 2015)

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